LA SAPIENZA COME LIBERTA'
|
Attivo
nel periodo di passaggio tra la civiltà greca e la civiltà
ellenistica, Aristotele persegue l'idea di una filosofia sistematica
e libera dalle necessità immediate della vita, che effettua
quindi una sorta di divinizzazione dell'uomo. Si tratta di una
concezione che da un lato è debitrice di analoghe posizioni
platoniche, dall'altra è antesignana di quell'idea di
saggezza come distacco dalla passioni civili che sarà
frequente nei secoli seguenti. Il rapporto di continuità
e discontinuità con Platone è evidente fin dal
primo gruppo di opere di Aristotele, dedicate alla logica: in
essa viene portato avanti un programma di riforma e rigorizzazione
della dialettica platonica, che dà vita ad uno studio
puramente formale delle leggi del pensiero. Esso viene esaminato
nel suo costituirsi a partire dai termini del discorso fino
a giungere ai «sillogismi», ai ragionamenti cioè
che da premesse vere deducono conseguenze necessariamente vere.
In ogni scienza è necessario quindi un insieme di princìpi
che non possono essere dimostrabili, pena un regresso all'infinito:
essi devono essere raggiunti solo per strada «induttiva»,
cioè scoprendo il dato universale nell'esperienza sensibile.
Nella metafisica Aristotele intraprende il progetto di una scienza
di «ciò che è in quanto è»,
che cioè abbracci l'intera reltà per individuarne
i princìpi. L'itinerario parte da una ricognizione dei
vari usi del verbo «essere» nel linguaggio comune,
per trovare tra essi i significati più originari. Aristotele
individua il primo senso dell'essere nelle ousíai (o
sostanze), vale dire nelle realtà che sono portatrici
di proprietà. Esse non possono essere né identificate
con la materia (come volevano i materialisti) né con
gli universali (come sosteneva Platone): ousía è
invece la singola cosa determinata. Per questo si può
dire che per ogni cosa «essere» ha un senso diverso,
perché indica il raggiungimento della propria specifica
configurazione e finalità. La meta è raggiunta
però solo quando viene anche individuata la causa motrice
prima della realtà: questa ultima tappa viene compiuta
con la dimostrazione dell'esistenza di Dio, concepito come vita
pensante e perfettamente felice.
SIGNIFICATO E STRUTTURA DEL SAPERE
|
La
tradizionale contrapposizione tra Platone e Aristòtele
è certamente esagerata: non esiste pressoché nessun
campo in cui le affermazioni del secondo non possano essere connesse
ad intuizioni e soluzioni del primo. Del resto, è molto
probabile che gli elementi fondamentali della filosofia di Aristòtele
siano stati elaborati già dall'epoca della sua permanenza
nell'Accademia, e andrebbero dunque compresi come una forma particolare
di platonismo più che come un divorzio da esso. Fu probabilmente
soprattutto la polemica con i successori di Platone e la decisione
(forse conseguente) di fondare una nuova scuola, il Liceo, a far
apparire come contrapposte due forme di pensiero con molte affinità.
Ciò che piuttosto va sottolineato è che, malgrado
la piccola distanza temporale, Aristòtele fa parte di un
mondo spirituale differente da quello di Platone, ormai molto
più vicino all'ellenismo che alla grecità: la scrittura
si è ormai affermata senza remore come strumento di cultura
e ha aperto la possibilità di una discussione dettagliata
delle opinioni dei pensatori concorrenti; la scienza e la tecnica
cominciano a fare registrare i loro primi successi, tanto da far
parlare talvolta di una vera «rivoluzione scientifica»;
si diffonde un'idea profondamente razionalizzata della religione,
che lascia poco o nessuno spazio a quegli elementi di irrazionalità
tanto importanti in Platone.
Tutto ciò provoca un differente orientamento della filosofia,
che diventa sempre più una scienza sistematica e autonoma,
attenta ai diversi campi dell'attività umana ma proprio
per questo chiaramente distinta da essi. È così
che in Aristòtele il tema platonico della «meraviglia»
viene rielaborato per significare la gratuità e libertà
della sapienza, possibile solo in una società che è
riuscita a risolvere i problemi immediati della sopravvivenza:
“È
a causa della meraviglia che gli uomini, sia ora sia un tempo,
iniziarono a far filosofia, all'inizio meravigliandosi delle cose
strane sotto mano, poi procedendo così un po' alla volta
e ponendosi domande anche su cose più grandi: per esempio
sui fenomeni della luna e del sole e degli astri e sulla nascita
dell'universo. Ma colui che si pone domande e si meraviglia ritiene
di ignorare (per questo anche l'amante dei miti è in un
certo senso filosofo, perché il mito è composto
di cose meravigliose). Dunque se davvero coltivarono la filosofia
per fuggire l'ignoranza, è evidente che perseguirono la
scienza per il conoscere stesso e non per una qualche utilità.
Ciò è testimoniato dai fatti accaduti: infatti quando
quasi tutte le cose necessarie erano presenti, e anche quelle
per la comodità e il benessere, allora cominciarono a cercare
tale saggezza. È evidente dunque che non la cerchiamo per
nessun'altra utilità: ma come l'uomo libero -- affermiamo
-- è fine a sé stesso e non è di un altro,
così anch'essa è l'unica libera delle scienze: infatti
solo essa è fine a sé stessa (Metafisica I.2, 982
b12-28)”
Tale
origine sociale della ricerca filosofica ha del resto la sua radice
in una tendenza innata dell'uomo, come dichiara il celebre esordio
della Metafisica:
“Tutti
gli uomini per la loro natura desiderano conoscere. E segno ne
è l'amore per le sensazioni: infatti anche senza che abbiano
utilità sono amate per sé stesse, e sopra tutte
le altre le sensazioni date dagli occhi. Infatti non solo per
poter agire, ma anche quando non abbiamo intenzione di far nulla
preferiamo il vedere -- per così dire -- a tutti gli altri
sensi. E la causa è che questo senso ci fornisce conoscenza
più degli altri e ci mostra molte differenze (Metafisica
I.1, 980 a21-27)”.
La
sistemazione delle scienze filosofiche, che in Aristòtele
si afferma per la prima volta e permette lo sviluppo di una prassi
scientifica fondata sulla specializzazione, rispecchia in buona
parte questo criterio della «inutilità». Al
primo posto sono le scienze teoretiche, al secondo quelle pratiche,
al terzo quelle tecniche (con termini latini: speculative, morali,
produttive). Le prime sono dirette al solo sapere, le seconde
all'agire, le terze al produrre qualcosa. All'interno dei primi
due gruppi la gerarchia è determinata dal raggiungimento
della finalità intrinseca: il conoscere muove da ciò
che è evidente (il mondo naturale) per raggiungere ciò
che è più nobile nell'universo, cioè il divino
(Aristòtele cita come elemento intermedio la matematica,
ma con scarso entusiasmo e probabilmente solo per influenza dell'orientamento
accademico); l'agire parte dai problemi della felicità
individuale per farli confluire nel benessere della comunità,
trattato dalla politica. Il terzo gruppo delle scienze, quelle
tecniche, sono di minore interesse filosofico; tuttavia, la distinzione
introdotta tra tecniche che portano a compimento la natura (fabbricazione
di utensìli ecc.) e tecniche che la imitano (poesia, letteratura,
musica) permette di assegnare a queste ultime lo spazio di una
riflessione filosofica, in quanto i loro oggetti sono fini a sé
stessi. In conclusione, questo è lo schema effettivo delle
scienze filosofiche:
Scienze
teoretiche
Fisica
Teologia (= metafisica)
Scienze pratiche
Etica
Politica
Scienze tecniche
Tecniche che compiono
Tecniche imitative |