ANASSIMANDRO

LA VITA

Apollodoro diceva che Anassimandro aveva sessantaquattro anni nell'Olimpiade 58,2 (547/546) e che morì poco dopo (DL 11,2). Diogene Laerzio aggiunge anche che raggiunse l'acme sotto la tirannide di Policrate di Samo. Diels suppose che Anassimandro avesse dichiarato in uno scritto la propria età e che Apollodoro, da qualche accenno contenuto in quello scritto, avesse ricavato la data; la supposizione, accolta da Zeller, è passata nella storiografia canonica. La collocazione della sua morte poco dopo il 547/546 potrebbe farla coincidere con la caduta di Sardi e la morte di Creso, e perciò con la morte di Talete. Il collegamento della morte di Anassimandro con la tirannide di Policrate è di solito considerato arbitrario, perché Policrate arrivò al potere solo verso il 540. Può darsi però che quel collegamento voglia suggerire un rapporto tra Anassimandro e Pitagora.

Ad Anassimandro veniva attribuita la guida dei milesi nella fondazione della colonia di Apollonia, una notizia che, destituita di fondamento, è spesso considerata segno della sua importanza politica. Si è creduto inoltre che a lui si riferisse il resto di una statua trovata a Mileto, ora attribuita a una donna. Un'altra notizia collegava Anassimandro a Sparta, dove egli avrebbe costruito un orologio solare (DL II, 1); Plinio (Storia naturale II, 187) attribuiva l'impresa ad Anassimene. Secondo Cicerone (De divinatione I, 50, 112) Anassimandro avrebbe salvato gli spartani da un terremoto predicendolo.

L'OPERA
Per il suo scritto ci sono pervenuti più titoli, come Sulla natura, Giro della terra, Le stelle fisse, La sfera (Suda, s.v. «Anassimandro»; 12A2 DK). E’ probabile che si tratti dei titoli applicati dai bibliotecari di Alessandria a parti di un unico scritto. Il titolo Sulla natura potrebbe risalire al massimo al V secolo, ne’ comunque è verosimile che nell'età di Anassimandro gli scritti avessero un titolo.
Edizioni e traduzioni

I frammenti sono editi in DK e tradotti in DK it e inoltre in:

Ionici, Testimonianze e frammenti, a cura di A. Maddalena, La Nuova Italia, Firenze 1963.

Studi critici

C. Kahn, Anaximander and the Origins of Greek Cosmology, Columbia University Press, New York 1960.

Cfr. anche supra, sez. IlI e V, 2.

A un altro milesio, Anassimandro, venivano attribuite alcune delle scoperte come lo gnomone e la sfera celeste, che Erodoto, senza far particolari riferimenti, considera apprese dai greci in Oriente. Con maggiore precisione si diceva che Anassimandro avesse costruito una carta geografica della terra. Oggi è difficile ammettere che Anassimandro potesse aver usato lo gnomone come orologio o calendario ed Erodoto rideva delle carte geografiche antiche, che raffiguravano il mondo circondato da un fiume circolare — Oceano, il cui percorso sembrava tracciato con un compasso — e che rappresentavano l'Europa grande come l'Asia. Una carta del genere poteva esser quella di Anassimandro o di Ecateo. Doveva essere costruita in legno o in bronzo, come quella portata a Sparta da Aristagora di Mileto nel 499-498, per chiedere aiuto contro la Persia#. Una carta simile è conservata su tavoletta ed è di età neobabilonese o persiana. Perciò anche Anassimandro potrebbe essere un personaggio dalla fisionomia labile, cui si potevano attribuire scoperte e importazioni, come avveniva con Talete. Senonché su di lui possediamo qualche informazione maggiore. A lui risalirebbe il primo documento scritto della cultura di Mileto# che, letto e utilizzato da Aristotele e Teofrasto, conterrebbe una vera e propria cosmologia.

All'origine della vita ci sono due princìpi: l'umidità originaria, dalla quale nascono gli animali, e il sole, che produce l'evaporazione. I primi animali vivevano nell'acqua, circondati da una corteccia spinosa; poi con il passare del tempo, via via che l'umidità evaporava, sono passati alle parti asciutte dell'universo e sono sopravvissuti per poco tempo cambiando tipo di vita. Anche l'uomo era in origine simile a una creatura marina e non poteva dedicare alla prole le lunghe cure delle quali essa ha bisogno nello stato presente#.

Per l'universo nel suo complesso forse Anassimandro impiegava più o meno le medesime spiegazioni o le medesime metafore. I venti sono costituiti dalla parte più fine dell'aria, che si separa, si raccoglie e si mette in movimento, mentre la pioggia è costituita dall'evaporazione prodotta dal sole. Al vento sono dovuti tuoni, lampi, temporali ecc. Il mare sarebbe un residuo dell'umidità originaria, rimasta dopo che il sole ha fatto evaporare gran parte dell'umidità che circondava la terra. L'azione del sole continua, e un giorno il mare sarà tutto disseccato#. Forse gli stessi movimenti del sole e della luna sono dovuti ai venti, che si generano per evaporazione, anche se non è escluso che per Anassimandro il sole si nutra dell'umidità e che, alla ricerca del nutrimento, raggiunga il mare al tramonto (e perciò si levi all'alba) in luoghi diversi secondo le stagioni#.

Questi particolari non sono del tutto chiari e ci potrebbero essere confusioni con dottrine di Anassimene o Diogene di Apollonia. Spesso si osserva che se il sole si nutre dell'umidità, il fuoco non potrebbe essere il principio dal quale traggono origine gli astri. Infatti proprio il fuoco sarebbe al centro della visione astronomica di Anassimandro. «Una sfera di fuoco si distese intorno all'aria che avvolgeva la terra, come corteccia intorno all'albero; spaccatasi poi questa sfera e separatasi in alcuni cerchi, si formarono il sole, la luna e gli astri.» La terra ha la forma di un cilindro, simile al tamburo di una colonna, e la sua profondità è un terzo della larghezza; ci sono forme di vita e di civiltà su entrambe le superfìci della terra, anche se noi conosciamo solo quelle della superficie superiore. La terra «sta ferma per omogeneità»#. Non avrebbe cioè bisogno di sostegni, come poteva essere l'acqua per Talete, ma semplici ragioni astratte e geometriche ne garantirebbero la posizione. Questo farebbe pensare che la terra è al centro dell'universo.

Gli astri sono raffigurati come ruote di un carro. Però mentre queste hanno un corpo di legno e sono circondate da un cerchio di ferro, le ruote astrali hanno il corpo di aria e sono circondate da un cerchio di fuoco, isolato dal fuoco cosmico e chiuso di nuovo all'esterno da un altro anello di aria. Ci sono «degli sfiatatoi, una sorta di tubi a forma di flauto, da cui appaiono le stelle». Con la chiusura e l'apertura di questi sfiatatoi si spiegano le eclissi e le fasi lunari. L'apertura dalla quale si vede il fuoco interno del sole è grande come la terra, il diametro del cerchio solare è 27 o 28 volte la terra, mentre quello della luna è 18 o 19 volte la terra. Le stelle fìsse sono ruote di raggio minore rispetto a quelle del sole e della luna#.

E difficile dire se tutte queste dottrine, tramandate da testimonianze assai tarde, risalgano effettivamente ad Anassimandro e non siano state deformate dalle fonti che ce le hanno trasmesse. In particolare non è escluso che per Anassimandro avvenisse nella parte alta del cielo quello che accade quando spirano i venti o scoccano i fulmini, che egli considerasse i fenomeni celesti dello stesso tipo di quelli meteorologici e vedesse nei corpi celesti, soggetti anch'essi ai venti, all'umidità e al calore, qualcosa di simile ai pesci e agli uomini; solo più tardi quel modo di vedere le cose potrebbe essere stato assorbito in un'immagine astronomica dell'universo, che nel frattempo si era formata. Allora le ruote astrali e la corteccia d'aria che si screpola finirono con il diventare simili a orbite circolari celesti, il fuoco si trasformò in un principio e Aristotele, che aveva in mente le considerazioni del Fedone platonico, potè pensare che per Anassimandro la terra stesse ferma per pure ragioni astratte di omogeneità. Per attribuire ad Anassimandro un'astronomia' dominata dalla figura del cerchio, sarebbe comodo farla derivare dalla cultura babilonese; ma ogni tentativo del genere è assai azzardato, perché probabilmente gli stessi babilonesi non avevano costruito un'immagine geometrica precisa del cielo e una classificazione attendibile degli astri. Del resto perfino i meno ambiziosi richiami agli egizi, ai fenici o ai babilonesi, per spiegare la considerazione dell'acqua quale origine della vita e la considerazione del mondo come una serie di strati di terra, acqua, vapori e fuoco, o l'immagine della terra come vasca e degli uomini come pesci, si reggono su analogie generiche e semplici supposizioni.

L'INFINITO

Prima di Aristotele non ci sono notizie su Anassimandro. Lo avrebbe scoperto Aristotele stesso, anche se lo nomina assai raramente in modo esplicito#, e non lo colloca nella storia del sapere costruita nella Metafisica. Quel che Aristotele e Teofrasto potevano leggere di Anassimandro potrebbe essersi riflesso nei resoconti di Ippolito, pseudo-Plutarco e Simplicio, che attingeva a Teofrasto, direttamente o attraverso Alessandro di Afrodisia#. La parte più sicura della testimonianza di Simplicio attribuisce ad Anassimandro l'affermazione che la nascita e la morte delle cose avvengono «secondo necessità». Esse «pagano il fio e reintegrano il torto che commettono le une alle altre secondo l'or dine del tempo»#. Nell'interprelazione tradizionale la nascita è già una colpa, perché è una separazione dal tutto; e le cose devono espiarla ritornando a dis-solversi. Adesso si pensa piuttosto che Anassimandro considerasse la colpa come la prevalenza di una cosa sulle altre e che vedesse nella punizione un modo per reintegrare i rapporti di equilibrio tra le singole cose. Anassimandro attribuiva alle cose e al mondo rapporti di tipo umano. Questo linguaggio appariva arcaico forse già a Teofrasto, se egli stesso o Simplicio osservavano che Anassimandro si esprimeva usando «vocaboli alquanto poetici».

Proprio per rendere questa dottrina comprensibile Simplicio (o forse Teofrasto) la esponeva in un linguaggio aristotelico, come se una cosa, per trasformarsi in un'altra, restituendo quel che aveva in più, dovesse prima dis-solversi negli elementi che la costituiscono e che darebbero poi vita alla nuova cosa. Aristotele definiva gli elementi fondamentali che costituiscono le cose (terra, acqua, aria e fuoco) attraverso coppie di proprietà contrarie: la terra e l'acqua sono fredde, l'aria e il fuoco sono caldi, l'acqua e l'aria sono umide e la terra e il fuoco sono secchi. Effettivamente Anassimandro nominava termini contrari. C'era «dall'eternità un germe del caldo e del freddo, che con la generazione di questo mondo si è separato»#. Nella testimonianza di Simplicio, che potrebbe risalire a Teofrasto, i contrari erano intesi come semi, sicché forse Anassimandro si serviva di una metafora biologica. Invece l'in-terpretazione formulata in linguaggio aristotelico ha messo in ombra gli aspetti biologici. Aristotele considerava Anassimandro un naturalista sul tipo di Empedocle e Anassagora, e perciò riteneva che ricavasse le cose per separazione da una mescolanza anziché per sviluppo da un seme. Del resto anche l'impiego che Anassimandro aveva fatto dell'infinito induceva Aristotele ad attribuirgli una teoria della mescolanza#.

La dottrina dell'infinito è un altro punto sul quale disponiamo di qualche informazione che potrebbe risalire allo scritto anassimandreo. Ma mentre possiamo forse ancora leggere le parole dello stesso Anassimandro sulla dottrina che istituisce relazioni 'di giustizia' tra le singole cose, le testimonianze sull'infinito sono meno precise. Dominate da Aristotele e da Teofrasto, le fonti dicono che per Anassimandro l'infinito era il principio e l'elemento. «Per primo introdusse questo nome del principio», esse affermano#; ma non è affatto chiaro se Anassimandro abbia per primo introdotto il termine 'principio' o se per primo abbia chiamato il principio 'l'infinito'. E del tutto impossibile che Anassimandro usasse un termine come 'elemento' e anche gli storici più ottimisti riconoscono che comunque egli avrebbe usato il termine 'principio' in un significato diverso da quello aristotelico.

Ma Aristotele aveva dato una chiave per intendere il concetto anassimandreo di infinito, servendosi della mescolanza. Se, come vogliono i naturalisti, l'infinito deve essere un corpo, allora dovrà essere o uno dei quattro elementi o un corpo intermedio tra essi. Ma un elemento infinito non può esistere, perché assorbirebbe gli altri, ne ci può essere qualcosa di intermedio tra i corpi semplici ultimi. Aristotele poteva allora supporre che l'infinito fosse una mescolanza così come la intendeva Anassagora. Dal punto di vista aristotelico questo era l'unico modo per dare veste materiale a un infinito considerato «ingenerato e incorruttibile, immortale e indistruttibile, come asseriscono Anassimandro e la maggior parte dei fisiologi»#.

Il paradosso, per cui Aristotele forse 'scopre' Anassimandro e poi gli nega un posto nella grande storia del sapere costruita nella Metafìsica, si spiega probabilmente con la teoria anassimandrea dell'infinito. Anassimandro era per Aristotele l'unico che assumesse l'infinito come principio e non ne affermasse l'esistenza solo implicitamente, quale presupposto delle proprie teorie, come avrebbe fatto per esempio Anassagora#. Forse Teofrasto considerò la censura aristotelica ingiustificata e ricollocò Anassimandro nel quadro storico costruito nella Metafìsica. Per farlo, lui o i dossografi posteriori hanno cercato di sot-trarlo all'ombra di Anassagora, senza tuttavia identificare il suo infinito con un elemento. In certi testi aristotelici si poteva trovare l'appiglio per sostenere che un principio materiale distinto dai quattro elementi fosse qualcosa di intermedio tra essi, mentre in realtà Aristotele aveva escluso sia che Anassimandro concepisse il principio come qualcosa di intermedio, sia che un corpo intermedio, da Aristotele per altro considerato inesistente, potesse essere infinito. Eppure già con Alessandro di Afrodisia la teoria della «sostanza intermedia» serviva per reintegrare Anassimandro nella storia del sapere data nella Metafisica#. E da allora questa interpretazione ha costituito una tentazione costante per gli storici ed è assai diffusa anche tra i critici contemporanei.

La teoria dell'infinito poteva assumere anche un altro aspetto. La pluralità di deli e di mondi, attribuita ad Anassimandro, era in certi casi intesa come una pluralità infinita#; un'interpretazione che non si trova in Aristotele, ma che può esser derivata dagli schemi aristotelici. Infatti, per Aristotele, chi avesse fatto derivare l'universo da un principio infinito avrebbe dovuto ammettere l'infinità dei mondi#. Già Zeller mostrò che questo ragionamento derivava da un'indebita estensione di presupposti atomistici. L'indicazione di Zeller fu ampiamente accolta e anzi sviluppata. Non solo Anassimandro non avrebbe parlato di un'infinità di mondi, ma termini come 'cielo' e 'cosmo' non avevano nel suo linguaggio lo stesso significato che avrebbero assunto nella cultura fìlosofica al tempo di Aristotele. I cieli sono per lui ruote come quelle dei carri e non è detto che egli usasse il termine 'cosmo', presente solo da Eraclito in poi, nel senso di 'universo'. Il suo interesse andava, più che all'universo nel suo insieme, alle regioni geografiche del mondo, che solo gli interpreti successivi intesero come infiniti mondi, ciascuno con i propri cieli. Heidel ha osservato che già ai bibliotecari alessandrini lo scritto di Anassimandro doveva apparire molto simile a quello di Ecateo di Mileto, e cioè come un'opera di geografia. Del resto eminentemente geografiche dovevano essere le scoperte attribuite ad Anassimandro, che si servì di riferimenti astronomici per descrivere la terra, più che il cielo, e per costruire una carta geografica. Il termine 'principio', se compariva nelle sue opere, aveva forse un senso diverso da quello che ha nel linguaggio aristotelico, e cioè doveva indicare l"inizio' e l"origine'. Anassimandro probabilmente seguiva una scansione temporale, cioè descriveva lo sviluppo del mondo come si faceva nei poemi epici o nella Teogonia di Esiodo, nell'Antico Testamento e nelle opere cosmogoniche indiane e mediorientali.

L'interprelazione geografica sottrae Anassimandro a ogni tentativo di farne il vero e proprio iniziatore della filosofia greca, della teologia filosofica o della scienza naturale antica. Coloro che sostengono questa interpretazione osservano che egli avrebbe usato, forse per la prima volta, il termine 'principio' e lo avrebbe specificato con un aggettivo sostantivato, 'l'infinito', che denota un termine astratto. In realtà l'infinito di Anassimandro è per noi poco più di una parola, se non ci si vuole fidare delle considerazioni aristoteliche o delle loro derivazioni dossografiche. Già Zeller osservava che l'infinito doveva essere non una materia determinata e neppure una mescolanza materiale, ma un principio corporeo vivente. E in séguito si è cercato di proiettare la cosmologia anassimandrea verso quello che pareva uno sfondo mitico e primitivo, interpretando l'infinito come il caos o l'abisso di Esiodo oppure come una massa inesauribile.

In realtà è difficile collocare in una sintesi unitaria le dottrine particolari di Anassimandro e l'impiego che egli fa dell'infinito. Di lui Aristotele non ci ha lasciato un'interpretazione sistematica, anche se i dossografi hanno cercato di costruirne una, utilizzando la teoria aristotelica dell'infinito. Probabilmente quella sintesi ha oscurato il contenuto dello scritto anassimandreo, mettendo in ombra l'idea di un equilibrio generale tra le cose o di una concezione ciclica dei fenomeni naturali, che forse in quello scritto comparivano. Si è finito così con l'attribuire ad Anassimandro vere e proprie teorie cosmologiche o filosofiche, facendo di lui volta a volta un autore primitivo legato al mito oppure il primo filosofo o scienziato.