La Scuola Ionica - TALETE DA MILETO

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Ionici, Testimonianze e frammenti, a cura di A. Maddalena, La Nuova Italia, Firenze 1963.

LA VITA

Apollodoro, che nel II secolo a.C. compose le Cronache, collocava la morte di Talete più o meno al momento della conquista di Sardi da parte dei persiani e della morte di Creso nel 546, faceva coincidere la sua acme con la previsione dell'eclissi attribuitagli da Erodoto, e calcolava la data di nascita, secondo la regola convenzionale che gli era propria, cioè ponendola quarant'anni prima. Diogene Laerzio (I, 37-38), nelle sue Vite dei filosofi pro­babilmente del III secolo d.C., citando Apollodoro, collocava la nascita di Talete nell'O­limpiade 35, 1 (640 a.C.) e la morte nell'Olimpiade 58 (548-545). Il riferimento all'eclissi permette di ricavare qualche indicazione sulle date attribuite a Talete. Ora si tende a collocare al 28 maggio 585 a.C., cioè nel terzo anno della 48" Olimpiade, l'eclissi che, secondo Plinio (Storia naturale II, 53), il quale forse segue Apollodoro, sarebbe accaduta nell'Olimpiade 48, 4 (cioè nel 585/584) e secondo altre fonti più tardi. Pertanto la data di nascita di Talete andrebbe collocata nell'Olimpiade 39, 1, cioè nel 624 a.C.

 La tradizione dossografica, sulla scorta di Aristotele, faceva nascere la prima scuola fìlosofica a Mileto, patria di Talete, press'a poco all'inizio del VI secolo a. C., e la faceva continuare fino ad Anassimene, alla fine del secolo. Di Talete aveva parlato, prima di Aristotele, Erodoto che gli attribuiva la previsione dell'eclissi di sole verificatasi durante una battaglia tra Medi e Lidi. Ma per Erodoto Talete sapeva anche di ingegneria e di politica: aveva suggerito agli ioni di costituire una specie di confederazione e aveva deviato il fiume Halys per consentire il passaggio dell'esercito di Creso#.

Anche Platone ci ha trasmesso un'immagine di Talete astronomo, un po' ironica: tutto preso a osservare il cielo, cade in un pozzo, attirandosi il motteggio di una spiritosa servetta trace. A questa tradizione doveva appartenere un altro episodio, narrato da Aristotele. A Talete era stata rimproverata la povertà che lo affliggeva; e lui, per dimostrare che la filosofìa non era inutile, si era servito delle proprie conoscenze astronomiche per arricchirsi. D'inverno aveva previsto un abbondante raccolto di olive, si era procurato a poco prezzo frantoi, che nessuno cercava, e aveva potuto affittarli vantaggiosamente quando tutti ne avevano avuto bisogno #.

Entrambi gli episodi si riferiscono alla discussione sulla vita contemplativa. Nonostante il tono umoristico, Platone non disprezza affatto la distrazione di Talete, che era considerato uno dei Sette Sapienti. I quali «tutti, o quasi, non sembra si siano occupati della vita politica»: austeri come spartani, incarnano la religiosità delfica e la morale tradizionale, fatta di brevi massime e aliena da qualsiasi interesse per la natura. Platone colloca accanto ai Sette Sapienti anche Anassagora, e Aristotele riprende questo collegamento, difendendo la devozione agli studi dall'accusa di insipienza e inesperienza#. Anassagora era considerato il tipico personaggio intellettuale nuovo, dedito al sapere naturalistico disinteressato, comparso nel V secolo sulla scena ateniese. La cosa dovette provocare discussioni e anche rifiuti; Platone e Aristotele ripresero e riformularono il tema della conoscenza intellettuale disinteressata, e l'ombra di Anassagora si proiettò all'indietro su Talete.

E Talete andò a occupare il primo posto nella storia della filosofia greca. Fu un effetto della 'confutazione del naturalismo', che costituisce una parte importante della cultura filosofica tra V e IV secolo e delle dottrine di Platone e Aristotele. In opposizione a un naturalismo che faceva derivare gli uomini dal fango e considerava gli astri come corpi naturali, Platone e Aristotele pensavano che il vero principio del mondo fosse una divinità immateriale; ma, per confutarlo, Platone e Aristotele costruirono, essi, un'immagine ideale del naturalismo. Nessuno si era azzardato a proporre la terra come principio dal quale far derivare tutto l'universo, ma, dopo la terra, l'acqua sembrava il principio più lontano dalla vera divinità, quello più vicino alla materia: per questo Aristotele pose all'inizio della vicenda filosofica una spiegazione che faceva ricorso all'acqua e l'attribuì a Talete. In realtà Aristotele riconosceva allo stesso 'pensiero primitivo' uno sviluppo interno. Originariamente c'era uno strato, che egli considerava «popolare», espresso da Esiodo e da altri poeti antichi, i quali ammettevano entità primarie come il Caos, la Terra, la Notte, il Cielo, l'Oceano, anteriori al governo divino del mondo. Solo in séguito sarebbe emersa una cosmologia 'colta' vera e propria, che avrebbe posto come principio l'acqua. I suoi inizi si potevano trovare in Omero e in Esiodo o più esplicitamente nelle cosmogonie di tipo orfico, che riconoscevano una divinità acquatica, l'Oceano, prefigurazione dell'acqua intesa come principio ed elemento. Questo permetteva di collegare Talete e la sua cosmologia acquatica a quegli autori «antichissimi» che «rappresentarono Oceano e Teti come genitori del divenire»#.

Nell'esposizione di Aristotele l'acqua di Talete diventava un «principio», era «materia», ciò da cui tutte le cose derivano e in cui tutte si dissolvono, un «soggetto» che rimane costante, mentre mutano le sue proprietà, e insieme un «elemento» costitutivo delle cose. Il linguaggio è tutto aristotelico. Del resto Aristotele non conosce direttamente Talete, e si limita a riferire la tradizione secondo la quale la terra «rimarrebbe ferma perché galleggerebbe» sull'acqua «come un legno o alcunché altro di simile». Nel quadro generale delle teorie sulla terra quella di Talete appariva ad Aristotele come la posizione più antica. Talete si sarebbe fatto guidare dall'analogia della terra con i corpi galleggiante, e l'avrebbe collocata sull'acqua, perché l'aria non è in grado di reggere corpi solidi. Ad Aristotele l'analogia non pareva granché: infatti non si vede che cosa dovrebbe poi tener su l'acqua che, anch'essa, ha bisogno di un sostegno. E attribuiva a Talete un altro tipo di inferenze: egli sarebbe partito da analogie di tipo biologico, osservando che l'umidità è importante nei cibi e nei semi. Aristotele non nascondeva che questa era una sua spiegazione personale del pensiero di Talete; ma dopo di lui Teofrasto attribuì direttamente a Talete l'analogia biologica#.

La rilevazione di temi biologici e vitalistici in Talete poteva ricollegarsi a un altro aspetto della 'leggenda taletiana'. Prima di Aristotele anche Ippia di Elide aveva parlato di Talete. Secondo Diogene Laerzio «Aristotele e Ippia dicono che dette una parte di anima anche alle cose inanimate, arguendolo dalla calamità e dall'ambra». Questa testimonianza dimostra che già prima di Aristotele si attribuivano a Talete considerazioni sul magnetismo; ma non conosciamo il contesto entro il quale Ippia dava la notizia. Aristotele riferiva a Talete l'opinione che «l'anima sia qualcosa atto a muovere, se ha detto che la pietra è dotata di anima in quanto muove il ferro». A questo tema collegava anche la massima «tutte le cose son piene di divinità», attribuita a Talete, considerandola come un modo metaforico per riconoscere un'anima a ogni cosa#. Infatti se si ammette la presenza di un'anima perfino in una pietra come il magnete, si è autorizzati a supporne l'esistenza anche in altre cose apparentemente inanimate. L'interpretazione aristotelica non ci aiuta, e anzi rende tutto più diffìcile. Aristotele ha infatti collocato due cose distinte, che potrebbero appartenere a contesti diversi, come le considerazioni sul magnetismo e la massima sugli dèi, entro un abbozzo di teoria dell'animazione universale.

 

IL SAPERE ORIENTALE

     Mentre Aristotele aveva ricondotto a fonti mitologiche greche il pensiero di Talete, Plutarco avrebbe suggerito una probabile origine egizia della cosmologia acquatica taletiana e il riferimento ai miti egiziani fu ripreso da Simplicio. Già Erodoto aveva parlato di origini fenicie di Talete e questa tradizione arrivò fino a Diogene Laerzio. Nel frattempo Aezio aveva riferito di un viaggio di Talete in Egitto, un motivo leggendario consueto per figure di questo genere, e gli aveva attribuito addirittura una delle spiegazioni delle origini del Nilo menzionata da Erodoto. Se per Aezio Talete in Egitto si era limitato a esercitare la filosofia, secondo Proclo vi aveva imparato la geometria e l'aveva portata in Grecia#.

Per questa notizia Proclo si rifaceva a Eudemo, uno scolaro di Aristotele, che aveva scritto storie della geometria e dell'astronomia. Nella sua storia della geometria Talete acquistava una posizione importante, perché diventava il tramite tra l'Egitto, paese in cui la geometria era stata inventata, e la Grecia#. E nella storia dell'astronomia Eudemo gli attribuiva lo studio delle eclissi solari e dei solstizi#. Il primo posto, che Aristotele aveva riservato a Talete nella storia del sapere in generale, gli veniva assegnato da Eudemo anche nella storia della geometria e dell'astronomia. La tradizione del viaggio in Egitto era perfettamente compatibile con l'opinione di Aristotele che il sapere matematico fosse nato in quel paese.

Sono stati espressi forti dubbi sulla natura del sapere astronomico e geometrico attribuito a Talete. Sembra che egli non possedesse una teoria significativa delle eclissi, ne è facile immaginare che cosa potesse sapere del percorso del sole e in generale dei corpi celesti. Può darsi che la tradizione gli attribuisse pratiche quali la misura indiretta delle distanze, da effettuarsi eventualmente con tavole, come quelle che permettevano di mettere in rapporto l'ombra di un oggetto con la sua altezza, a ora costante; è più difficile ammettere che Talete avesse formulato i teoremi che permettono di stabilire le relazioni generali tra le grandezze in gioco#.

Spesso la critica moderna ha ripreso il riferimento all'Oriente: qui c'erano conoscenze astronomiche o almeno raccolte sistematiche di osservazioni, che permettevano di fare previsioni, magari grossolane, o di riportare fenomeni osservati a fenomeni già accaduti#. Anche per la geometria l'Oriente è il luogo in cui Talete avrebbe potuto apprendere le pratiche di misura che gli si attribuivano. Le sue pretese innovazioni sarebbero, come la sua cosmologia, frutto di inferenze posteriori: gli si ascrivevano cioè quelli che in séguito sarebbero risultati i presupposti teorici delle pratiche di misura che gli erano state attribuite. E diffìcile dare una soluzione accettabile al problema dei rapporti tra Talete e l'Oriente, dal momento che non si hanno notizie sicure su di lui. In generale i greci pensavano di dover qualcosa all'Oriente. Erodoto riteneva che il debito religioso dei greci verso l'Egitto fosse grande e che la geometria, inventata per misurare i campi dopo ogni inondazione del Nilo, dall'Egitto fosse passata in Grecia; dai babilonesi invece i greci avrebbero appreso la rappresentazione del cielo con una sfera, l'uso dello gnomone e la divisione del giorno in dodici parti#. Anche Fiatone assegnava agli egizi l'invenzione dei numeri, del calcolo, della geometria e dell'astronomia, e attribuiva loro un grande sapere. Ma aggiungeva che erano attaccati alle ricchezze e per questo capaci di stravolgere perfino la matematica, facendone una pura arte applicativa#. In questo giro di idee doveva muoversi Aristotele quando attribuiva ai sacerdoti egiziani, che potevano fruire dell'ozio, l'invenzione del sapere disinteressato. Probabilmente il riferimento ai sacerdoti, che è sempre presente anche in Fiatone, serve a distinguere, già in Egitto, una matematica applicativa da una teorica, che i greci avrebbero ripreso e sviluppato.

I greci possono aver ricevuto dall'Oriente nozioni di carattere matematico; e certamente Mileto, un insediamento ionico molto antico sulla costa sud-occidentale dell'Asia Minore, era proprio per la sua posizione particolarmente favorita. Essa aveva stabilito moltissime colonie, dal Mar Nero a Naucrati in Egitto, ed era al centro di fiorenti commerci, che si estendevano fino alla Sicilia, alla Mesopotamia e all'Egitto. Ma non sappiamo con certezza quali fossero le conoscenze disponibili nel Medio Oriente al tempo di Talete, ed è comunque diffìcile attribuire agli egiziani o ai babilonesi una scienza matematica o un'a scienza astronomica, che sorgeranno più tardi, o addirittura la costruzione di vere e proprie teorie matematiche. A meno che non si voglia fare di Talete lo scopritore di autentici teoremi complessi, pensando che ai greci sia toccata in sorte la capacità di praticare lo studio disinteressato, si può supporre che a Mileto fossero noti metodi di calcolo diffusi in Egitto o nozioni astronomiche e tecniche di previsione dei fenomeni celesti proprie della cultura mesopotamica.

E a Mileto Talete poteva essere considerato un personaggio al quale si potevano ascrivere le scoperte senza una precisa paternità. Tutto questo non produce uno scontro tra spirito greco e mentalità orientale, a meno che non si faccia di Talete il primo filosofo e di Mileto la culla della filosofia, un fatto fittizio creato da Aristotele e dalla dossografia posteriore. La Mileto di Talete è ampiamente immersa nella civiltà mediorientale, della quale la cultura greca, in particolare quella ionica, fa parte, e la contrapposizione tra Grecia e Oriente compare relativamente tardi, dopo la creazione dell'impero persiano, la chiusura dell'Oriente e il conflitto fra greci e persiani. Il predominio di schemi dossografìci ci ha privato di notizie precise sulla cultura greca proprio in un punto delicato della connessione tra Grecia e Oriente; su questo vuoto si sono gettate le mitologie storiografìche costruite sul 'miracolo greco' e sull'originalità dello spirito ellenico.

 

MITOLOGIA E COSMOLOGIA

Aristotele aveva riconosciuto agli egizi la scoperta della matematica, ma rivendicava ai greci e alla loro mitologia l'elaborazione delle teorie cosmologiche. Il rapporto tra la tradizione mitologica e la filosofia greca è rimasto un problema storiografico fondamentale, sul quale ancora una volta l'impostazione aristotelica ha esercitato un forte condizionamento. Anche se non sono mancati storici che hanno interpretato la filosofia presocratica come un tentativo di costruire semplici, ma autentiche, teorie/scientifiche, si è ammesso che la cosmologia milesia dipendeva dalla cosmologia mitologica e non poteva essere considerata una scienza vera e propria, fornita di spirito critico in senso moderno. Essa poteva essere semmai una. filosofia della natura e la sua nascita poteva essere descritta come un passaggio dal mito alla ragione: il concetto generico di 'ragione' permetteva di ricuperare l'essenza dell'interp relazione aristotelica, che faceva appunto nascere la filosofia nel momento in cui si usciva dal mito per cercare princìpi e cause.

Come abbiamo visto, per costruire un distacco dolce della filosofia dalla mitologia, Aristotele aveva dovuto usare qualche accorgimento, come la distinzione tra una cosmologia popolare, che ammette Terra, Notte, Cielo o Caos, e una cosmologia che conferisce un primato a Oceano. E stato osservato che l'attribuzione a Omero di una cosmologia acquatica ha scarse basi#. E neppure Esiodo poneva Oceano e Teti ai primi posti della genealogia divina, come invece fanno i versi orfici citati da Fiatone nel Cratilo#. Proprio Esiodo, che appartiene agli inizi del VII secolo, costituisce la nostra fonte più sicura per le idee cosmologiche diffuse nella cultura greca. Egli riconduceva il mondo e i suoi aspetti a forze divine primigenie e a divinità vere e proprie, che derivano le une dalle altre, più o meno come le generazioni o i mèmbri di una famiglia. Le forze divine sono il Caos e la Terra, che generano direttamente nuove entità, come l'Èrebo, la Notte, il Cielo e il Mare. Solo a partire dall'unione della Terra con il Cielo gli dèi si riproducono sessualmente; e solo in questo secondo stadio compare Oceano. E probabile che la Teogonia di Esiodo raccogliesse diverse tradizioni mitologiche e le giustapponesse, non sempre sistematicamente. Proprio come faceva Aristotele, si è talvolta cercato di ricavare da Esiodo, soprattutto attraverso il confronto con Omero, una sorta di cosmologia 'ingenua', che dovrebbe poter essere attribuita alla cultura diffusa e alla mentalità greca originaria. In questa cosmologia la terra sarebbe un corpo piatto con lunghe radici, che sprofondano in luoghi bui, come l'Ade, l'Èrebo e il Tartaro. Sopra la terra il cielo sarebbe considerato una semisfera solida e lucente nella quale l'etere, ossia l'aria luminosa e infuocata, sovrasta l'aria vera e propria, cioè la nostra atmosfera umida e nebbiosa. Intorno alla terra l'oceano, una specie di fiume circolare, sarebbe l'origine di tutte le acque.

E difficile ricavare una cosmologia da poemi come l'Iliade e l'Odissea e confrontare i loro riferimenti cosmologici, più o meno espliciti, con la cosmologia contenuta nella Teogonia di Esiodo, così come è difficile asserire che la cosmologia ricavabile da Omero rappresenti l'immagine diffusa del mondo, anche perché è ben problematica la stessa esistenza di un'immagine di questo genere. Si è sospettato che già nell'Iliade fossero rintracciabili spunti isolati e non rientranti nel quadro mitologico omerico, come la concezione di Oceano quale origine di tutte le cose e non solo delle acque: proprio il motivo che Fiatone sottolineava e che Aristotele utilizzava per collegare Talete alla tradizione mitica. Gli spunti omerici isolati e alcuni motivi presenti nel quadro composito costruito da Esiodo potrebbero rappresentare intrusioni orientali nella tradizione mitica greca. Temi come la separazione del cielo dalla terra o della luce dalle tenebre, la castrazione della divinità originaria e lo spargimento del suo seme# o il carattere originario di Oceano potrebbero essere derivati dall'Oriente. L'ultimo punto in particolare potrebbe risalire ai miti orientali, nei quali le grandi civiltà fluviali, come quella egiziana e quella mesopotamica, avevano espresso l'importanza accordata all'acqua come elemento dal quale sorgono la terra e la vita.

Così si ripresenta il problema del rapporto di Talete con la cultura orientale e della sua dipendenza da essa. Questa volta non si tratta più dell'importazione di nozioni scientifiche o tecniche, ma proprio del patrimonio mitologico. E Talete potrebbe non essere il principale veicolo dell'intrusione di temi cosmologici orientali, legati al primato dei fiumi ne necessariamente egli li avrebbe attinti da fonti di tipo esiodeo. Quei temi potrebbero essere arrivati in modi disparati e attraverso canali molteplici. La storia delle origini del sapere costruita da Aristotele avrebbe sostituito con una dubbia continuità, tutta greca, la presenza di uno sfondo mitologico, che non era più soltanto orientale, ma che forse nella cultura orientale aveva avuto origine. La ricomparsa dell'Oriente nella mitologia greca complica il problema della nascita della filosofia dal mito e rende meno facile rappresentarla come l'emergere della razionalità, se non addirittura della scienza, o anche soltanto come sostituzione dell'immagine diffusa del mondo con un'immagine di tipo diverso. Abbiamo detto quanto sia difficile parlare di un'immagine diffusa dell'universo e pretendere di trovarla in Omero o in Esiodo. E probabile che Anassimandro e Anassimene, se non Talete, abbiano cercato di dare un'immagine del mondo diversa da quella che si poteva trovare qua e là nell’Iliade o nella Teogonia. Ma non è detto che tutto questo possa esser descritto come passaggio dal mito alla ragione. Questa formula presuppone che si possa considerare la tradizione mitologica come qualcosa di omogeneo e unitario (come faceva Aristotele), rispetto alla quale i primi 'filosofi' o 'scienziati' si siano distinti. Non è detto che un'unità di quel genere esistesse, anche solo come miraggio creato da quei personaggi. Si potrebbe legittimamente supporre che Anassimandro o Anassimene abbiano abbandonato l'idea di ricostruire la storia del mondo come una successione di generazioni divine. Ma si potrebbe anche supporre che essi abbiano semplicemente abbandonato uno dei tratti della mitologia greca, magari sotto l'azione di quella orientale, già presente nel patrimonio mitologico greco. La cosiddetta 'razionalità' potrebbe semplicemente consistere nell'assunzione di schemi derivanti da una tradizione mitologica prima inglobata in un'altra e poi resasi autonoma.

In realtà il problema è ampiamente indeterminato: non siamo abbastanza informati per stabilire che posizione avessero all'interno della cultura greca o milesina i miti di tipo meteorologico e la divinizzazione delle entità naturali, come i fiumi, gli astri, la pioggia e il vento, e quale significato potesse avere la loro presenza. La scissione tra contenuti greci e contenuti orientali all'interno della mitologia greca può far risorgere il problema del rapporto generale tra Grecia e Oriente e le sue generalità arbitrarie. Del resto nulla ci autorizza a dire che Talete o i suoi presunti scolari volessero opporsi alle credenze religiose di qualcuno o volessero condurre un'impresa simile a quella che di solito viene indicata come 'critica razionalistica delle credenze religiose'. A Talete veniva attribuita una massima sulla presenza degli dèi che poteva benissimo avere un significato religioso e nulla ci fa pensare che le cosmologie di Anassimandro o Anassimene dovessero essere incompatibili con la mentalità religiosa tradizionale. Le metafore biologiche rintracciabili nelle loro spiegazioni non sono poi molto lontane da certi temi orfici. Ne si può supporre che il naufragio dei testi presocratici ci abbia privato di informazioni significative su questo punto, sia perché è scorretto arguire la presenza di un elemento così importante dall'assenza di qualsiasi indizio, sia perché quando quell'elemento compare in autori dei quali non sappiamo molto di più, come in Senofane o in Eraclito, esso è ben segnalato.