LE ORIGINI DELLA LOGICA MATEMATICA:

BOOLE E FREGE

 

lezioni 1993

 

Questi appunti tratti da alcune lezioni di storia della logica sono stati pubblicati, in forma leggermente diversa, in "Le origini della logica matematica: Boole e Frege" in L.Malusa (a cura di) Forme del sapere filosofico, CUSL, Genova, 1994 (pp.147-174). In quanto segue sono state eliminate tutte le note.



PRIMA PARTE

1. Gli algebristi inglesi e l'analisi matematica della logica di Boole
2. Logica dei termini nell' Analisi di Boole
3. La logica delle proposizioni in Boole
4. La Indagine sulle leggi del pensiero di Boole (1854)
5. Boole e la fondazione della semiotica

6. La Ideografia di Frege

SECONDA PARTE

7. Frege e il linguaggio logico universale
7.1. Capovolgimento della teoria del giudizio: la teoria del concetto come funzione;
7.2. Definizione del condizionale verofunzionale;
7.3 Derivabilità dei connettivi;
7.4. Quantificatori

8. Frege e il calcolo logico (l'apparato deduttivo)
8.1. Distinzione assiomi-regole: il Modus Ponens;
8.2. Diversi sistemi di assiomi?;
8.3. Gli assiomi dei Principi del 1893 e la contraddizione di Russell

9. Filosofia e teoria del significato: cos'è il significato di un enunciato?
9.1. Il significato come condizioni di verità: il Tractatus di Wittgenstein;
9.2. Tautologie e contraddizioni;
9.3. Il significato come metodo di verifica ;
9.4. Logica e filosofia

 


 

INTRODUZIONE

 

Nella storia della logica matematica due sono i nomi cui tutti si richiamano come autori che hanno segnato la svolta decisiva per la nascita della disciplina: Boole e Frege. E, se vogliamo trovare un progenitore comune, viene subito il richiamo alla figura di Leibniz, cui entrambi fanno esplicito riferimento. Leibniz ha anticipato molti dei risultati di Boole, anche se non si sa quanto Boole avesse letto di Leibniz, e anche se molti scritti logici di Leibniz rimasero comunque inediti fino a tempi successivi (e in parte sono inediti a tutt'oggi!). Leibniz per primo però ebbe la chiara intuizione che si possono fare calcoli non solo con numeri, ma in generale con simboli. Era il momento della nascita di nuovi calcoli, dalla geometria analitica di Descartes che si basava sugli sviluppi della notazione algebrica, al calcolo infinitesimale, la cui scoperta, nella differenza di notazioni, Leibniz condivideva con Newton. Tali calcoli non usavano solo numeri, ma diversi tipi di simboli: lettere, nomi di funzioni, ecc. Leibniz allarga l'ambito del calcolabile a qualsiasi tipo di simboli; di qui nasce il riconoscimento che anche la logica tradizionale può essere trattata come un vero e proprio calcolo, alla stregua del calcolo aritmetico o algebrico, i cui elementi sono simboli che rappresentavano non numeri ma classi e proposizioni. Le osservazioni di Leibniz passarono inosservate ai più, e gli stessi suoi allievi, come ad es. Wolff, non compresero l'originalità della sua impostazione in logica. I manuali di logica su cui studiarono i filosofi del '700 e degli inizi dell'800 rimasero così semplici rielaborazioni della sillogistica aristotelica, con qualche cenno alla logica proposizionale degli stoici. Kant, che aveva studiato sui manuali di Wolff, riteneva - come asserisce esplicitamente nell'Introduzione della Critica alla Ragion Pura - che la logica formale avesse avuto la sua formulazione definitiva in Aristotele, e non fosse passibile di alcun progresso. Quasi a confermare il punto di vista di Kant, uno storico della logica dell'800, Prantl, scrisse un'enorme storia della logica, cui ancora oggi è utile rifarsi come repertorio, per dimostrare che la logica non ha avuto alcuna evoluzione, e da Aristotele in poi non vi è stato altro che un chiarimento e diversi modi di esposizione di quello che si può chiamare la logica formale, cioè la logica aristotelica, in particolare la dottrina del sillogismo. [torna all'indice]


PRIMA PARTE


1. Gli algebristi inglesi e L'analisi matematica della logica di Boole

Non è dunque dai filosofi e dall'ambiente filosofico che vengono innovazioni nella logica, ma dall'ambiente dei matematici, e in particolare degli algebristi inglesi della prima metà dell'800. Qui, in reazione al dominio della notazione newtoniana del calcolo infinitesimale, alcuni matematici (tra cui Babbage e Peacock) fondarono nel 1812 la Cambridge Analytical Society, società il cui scopo era favorire la diffusione della notazione leibniziana, e di fatto favorire lo sviluppo dei metodi algebrici dei matematici continentali. Babbage divenne famoso per i suoi progetti di macchine di calcolo automatiche. Peakock, algebrista di Cambridge, sviluppò una concezione del calcolo come manipolazione puramente meccanica di simboli: l'attività combinatoria è distinta dall'interpretazione dei risultati ottenuti. Peakock è il primo a distinguere esplicitamente una "algebra aritmetica" e una "algebra simbolica". Negli anni '30, insieme a queste nuove idee, si sviluppò una grossa disputa tra il matematico Augustus De Morgan (membro anch'egli della Analitical Society) e il filosofo William Hamilton sulla priorità di alcune idee sul modo di trattare il sillogismo. La disputa mostrava dopotutto, sia pur in negativo, un primo intrecciarsi di interessi comuni tra filosofi e matematici, e portava l'attenzione del mondo accademico sulla logica. Ma Hamilton in seguito, alla fine degli anni '30, criticò aspramente l'irruzione della matematica nella logica, insistendo sul primato della filosofia sulla matematica e sull'idea che la logica è parte della filosofia e non della matematica.

Nel 1847 Boole entra nel vivo della discussione con L'analisi matematica della logica, dove, contro Hamilton, sostiene che la logica non deve associarsi alla metafisica, ma alla matematica. Boole reagisce alle posizioni di Hamilton e alla sua visione della filosofia e della matematica; ma questo non implica che Boole auspichi un divorzio tra logica e filosofia, anzi egli ha molta più attenzione per la problematica filosofica di quanta ne abbiano la maggior parte dei matematici a lui contemporanei. Dopo i cenni critici alle idee di Hamilton date nell'introduzione, l'opera di Boole presenta per la prima volta una vera e propria algebra della logica, un calcolo cioè interpretato sia come calcolo delle classi (o logica dei termini aristotelica) sia come calcolo delle proposizioni (o logica stoica). Non si deve cercare nel testo di Boole l'esatto corrispondente di ciò che oggi si chiama con il nome di "algebra di Boole" o di "operazioni booleane".

Le formulazioni originarie furono sottoposte ad analisi e revisione da tutta una scuola di pensiero i cui principali rappresentanti sono forse Schröder e Peirce. Ma, pur con i suoi difetti, L'analisi matematica della logica, dà un esempio di cosa si può intendere quando si parla di logica intesa come calcolo che non aveva pari tra gli scritti e gli accenni dei matematici a lui contemporanei. I principi generali del calcolo si possono riassumere nel modo seguente:

 

2. Logica dei termini nell' Analisi di Boole:

 

Dati: 1 il dominio di discorso

x la classe X

1-x la classe non-X (tutti i membri del dominio che non sono X)

xy la classe i cui membri sono sia X che Y

 

si hanno le quattro forme di proposizione categorica aristotelica:

 

A Tutti gli X sono Y xy=x oppure x(1-y)= 0

E Nessun X è Y xy = 0

I Qualche X è Y xy = u (vi è una classe U non vuota, i cui membri sono sia x che y)

O Qualche X non è Y x(1-y)=u (vi è una classe U non vuota, tra i cui membri vi sono degli X, e qualcosa di ciò che non è Y).

 

Oltre a dare una "traduzione" delle proposizioni categoriche aristoteliche secondo modalità logiche, Boole (i) definisce in termini analoghi le regole di conversione tramandate tradizionalmente in tutta la storia della logica da Aristotele in poi per questo tipo di proposizioni; (ii) dà esempi di sillogismi e mostra come le premesse e le conclusioni del sillogismo possono essere tradotte in termini di operazioni algebriche.

Diamo qui un esempio di sillogismo (di tipo bArbArA) trattato in termini di algebra booleana; le due premesse del sillogismo riguardano rispettivamente le classi X e Y, e Y e Z, e saranno tradotte in due equazioni con i simboli x, y e z. Eliminando la y (interpretabile come il termine medio del sillogismo) si ottiene una equazione che ha come simboli x e z, che sarà interpretabile come la conclusione del sillogismo:

 

Tutti gli X sono Y . . x(1-y) = 0

Tutti gli Y sono Z . . y(1-z) = 0

 

Un modo di vedere il funzionamento del sillogismo è il seguente:

Riscriviamo le due equazioni di cui sopra come:

(1) x = xy (tutti gli Xsono Y)

(2) y = yz (tutti gli Y sono Z)

moltiplichiamo ambo i membri di (2) per x e otteniamo 

(3) xy = xyz

d'altra parte, per (1), possiamo sostituire in (3) xy con x e otteniamo:

(4) x = xz

che equivale a x(1-z) = 0 che è interpretabile come Tutti gli X sono Z.

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3. La logica delle proposizioni in Boole

Dopo aver trattato la sillogistica, Boole fa un enorme passo in avanti: usa gli stessi simboli algebrici (lettere e segni di operazione) per trattare le proposizioni ipotetiche del tipo di quelle che si trovano nel sillogismo condizionale ("se A è B allora C è D; Ma A è B dunque C è D). Ma invece di trattare i termini del sillogismo, ritiene più utile trattare in generale la verità di proposizioni, cioè formule del tipo:

se X è vera allora Y è vera

In questo caso X e Y rappresentano non più classi, ma proposizioni. Occorre dunque dare ai simboli algebrici una interpretazione diversa da quella del calcolo delle classi, e cioè, prima di tutto, il simbolo "1" assume un significato diverso dal significato che ha nella logica dei termini, dove significa "dominio di discorso" (o insieme delle classi di cui si parla). Il simbolo "1" in questo caso significherà l'universo, che comprende tutti i casi e le congiunture di circostanze concepibili.

Se vi è una sola circostanza concepibile rappresentata da una sola proposizione X, allora vi sono solo due possibili congiunture: che X sia vera o X sia falsa; e Boole le esprime così:

x = la proposizione X è vera

1-x = la proposizione X è falsa

Se vi sono due circostanze concepibili rappresentate da due proposizioni X e Y, allora vi sono quattro possibili congiunture così simbolizzate da Boole:

X è vera Y è vera = xy

X è vera Y è falsa = x(1-y)

X è falsa Y è vera = (1-x)y

X è falsa Y è falsa = (1-x)(1-y) 

E così via con l'aumentare del numero delle proposizioni. In ogni caso l'insieme delle combinazioni (o congiunture) delle circostanze concepibili sarà sempre uguale all'Universo, cioè ad 1. Qui si vede come le operazioni algebriche elementari rispecchiano la validità dell'interpretazione logica. Date queste premesse, Boole applica le operazioni algebriche ai sillogismi ipotetici e alle proposizioni ipotetiche in generale.

4. La Indagine sulle leggi del pensiero di Boole (1854) 

Dopo aver presentato l'ossatura della sua analisi matematica della logica, Boole scrive un'opera di maggior respiro, densa di riflessioni filosofiche, e in cui all'interpretazione logica dell'algebra si affianca una ampia sezione dedicata alla teoria della probabilità, che avrà una grande influenza. In questo nuovo e più ampio libro, intitolato Indagine sulle leggi del pensiero, Boole presenta i risultati del lavoro precedente, con alcuni cambiamenti, e soprattutto propone il suo lavoro come una ricerca sulle leggi del pensiero, universali e valide per tutti, e soprattutto più generali dei principi logici cui tradizionalmente si attribuiva la massima universalità, come il principio di non contraddizione. Tali leggi generali sono le proprietà di alcune operazioni tipiche dell'algebra e che sono comuni anche alla logica, e cioè: 

1. xy = yx Proprietà commutativa del prodotto

2. x+y=y+x Proprietà commutativa della addizione

3.z(x+y)=zx+zy Proprietà distributiva della moltiplicazione risp. all'add.

4.z(x-y)=zx-zy Proprietà distributiva della moltiplicazione risp. alla sottr.

5 Sostitutività di elementi uguali rispetto a moltiplicazione, addizione e sottrazione

    se x=y allora: zx=zy , z+x=z+y , x-z=y-z

6.x2=x Legge degli indici.

 

(Cfr. Laws od Thoughts, cap.II,§§7-15). Nel primo capitolo dell'Analisi matematica della logica Boole presentava solo le prime due leggi e la sesta (sotto una forma parzialmente diversa, cioè xn=x). Queste leggi rappresentano dunque per Boole proprietà universali delle operazioni del pensiero. Di queste la più problematica è la sesta; Boole la spiega ricordando che (i) essa vale in aritmetica binaria, se si accettano cioè solo i numeri 1 e 0 che moltiplicati per se stessi seguono la legge; (ii) vale in logica dei termini dove l'intersezione di una classe con sé stessa non è altro che la classe medesima; (iii) vale in logica delle proposizioni dove la congiunzione di una proposizione vera con sé stessa non cambia per nulla il valore di verità della proposizione. "Piove e piove" è solo un modo rafforzato per dire "piove".

La legge degli indici è particolarmente importante per la sua generalità, anche perché da essa si ricava il principio di non contraddizione; infatti da

x2=x si deriva x-x2 = 0, che si può anche riscrivere come: x (1-x) = 0

Quest'ultima formulazione si può interpretare, ad es. nella logica dei termini, nel seguente modo, dando al simbolo x, per aiutare la comprensione, la particolare interpretazione di "uomini"; allora "1-x" è interpretabile come la classe di tutto ciò che non è un uomo; quindi la formula dice che l'intersezione degli uomini e dei non uomini è vuota, cioè che non è possibile essere al tempo stesso uomo e non uomo. Più in generale la formula rappresenta

"l'impossibilità, per un essere, di possedere e non possedere una medesima qualità nel medesimo tempo. Ma questo è esattamente quel principio di contraddizione che Aristotele ha descritto come l'assioma fondamentale di tutta la filosofia [segue citazione di Met.III,3]. Quello che è stato comunemente ritenuto l'assioma fondamentale della metafisica non è altro che la conseguenza di una legge del pensiero, matematica quanto alla sua forma." (Laws of Tought, cap.3,§15). 

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5. Boole e la fondazione della semiotica

Il progetto generale della logica di Boole si può dunque riassumere nella visione di una scienza universale dell'uso dei simboli, che ha alla base (i) il riconoscimento di alcune proprietà generali di certe operazioni; (ii) la possibilità di interpretare tali operazioni, e i simboli ad esse connessi, in modi diversi, secondo uno schema di questo genere: 

CALCOLO UNIVERSALE DEI SIMBOLI

LEGGI universali del pensiero

commutatività e associatività

 

SEGNI
INTERPR. MATEMATICA
INTERPRETAZIONE
LOGICA
LOG.TERMINI
LOG. PROPOSIZIONI
x, y, ...
numeri 
classi 
proposizioni
+
addizione
unione
disgiunzione (OR)
X
moltiplicazione 
intersezione 
congiunzione (AND)
1
1
Dominio
Vero
0
0
Classe Vuota 
Falso

Chi più di ogni altro ha sviluppato gli aspetti filosofici del progetto booleano è probabilmente il filosofo americano Charles S. Peirce, che in una serie di saggi orami famosi, ha insistito sulla necessità di elaborare una scienza generale dei segni, una "semiotica" che dovrebbe porsi come base e presupposto per ogni scienza. Ma mentre negli Stati Uniti Peirce sviluppava la sua idea di semiotica che tanto ha avuto eco anche nella nostra cultura filosofica, in Europa Gottlob Frege rifletteva su alcuni problemi legati al progetto booleano e presentava alcune idee alternative che condurranno alla nascita della logica matematica moderna.  

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6. La Ideografia di Frege

Il problema di Frege con l'algebra di Boole è, a tutta prima, piuttosto semplice: Frege è un matematico che cerca di eliminare dal ragionamento matematico le approssimazioni, le vaghezze e l'arbitrarietà che spesso nascono dal ricorso all'intuizione; vuole in una parola rendere rigoroso il ragionamento matematico; ha dunque bisogno di uno strumento formale, un linguaggio logico, per esprimere il ragionamento matematico in termini rigorosi. Questo linguaggio non può essere però l'algebra di Boole, perché in essa operazioni diverse sono rappresentate dallo stesso segno, e si creerebbero continue ambiguità: quando il segno "+" rappresenta la somma aritmetica, e quando la unione di classi o la disgiunzione di proposizioni? Quando il segno "1" rappresenta un numero e quando un dominio di discorso? In una parola, la possibilità di usare gli stessi segni (con le stesse regole) con interpretazioni diverse, che era il punto di forza dell'algebra di Boole, diviene, nell'ottica di Frege, un segno di debolezza. Frege si richiama a Leibniz che voleva unire a un calcolo una vera lingua universale in cui parlare di qualsiasi scienza: il progetto leibniziano era unire una lingua, o "characteristica universalis" a un "calculus ratiocinator": è a questo ideale che Frege si richiama nel suo scritto del 1879, il cui titolo Begriffsschrift ("Scrittura concettuale" o "Ideografia"), richiama l'ideale leibniziano con lo stesso termine suggerito da Trendelenburg, un filosofo tedesco che discuteva a quei tempi il progetto leibniziano. Il limite di Boole, rispetto al progetto di Leibniz, è che l'algebra della logica ci fornisce solo un calcolo; la risposta di Frege è di accoppiare il calcolo a una lingua universale, secondo uno schema che potremmo inquadrare, come si fa solitamente in molti manuali di logica, nel modo seguente:

 

 

SISTEMA FORMALE


LINGUAGGIO
CALCOLO (Apparato Deduttivo)
Vocabolario
Assiomi
Regole di Buona Formazione
Regole di Trasformazione
Formule Ben Formate
Teoremi

 

Con il richiamo alla necessità di unire linguaggio e calcolo, Frege imposta una serie di rivoluzioni concettuali che differenziano il suo approccio da quello di Boole. La originalità della sua notazione e la stessa novità della sua impostazione non favorirono l'immediato diffondersi delle sue idee, che anzi furono osteggiate da matematici e da filosofi. Frege commentò brevemente la sua sfortuna dicendo che i suoi testi venivano accolti di solito con reazioni del tipo: "metaphisica sunt non leguntur! Mathematica sunt non leguntur!". Senza perderci nei dettagli storici della fortuna/sfortuna dei lavori di Frege vediamo i principali risultati della sua opera del 1879, usando anche i commenti dello stesso Frege scritti negli anni immediatamente successivi (e riportati nellÕantologia di scritti postumi, tradotta da Eva Picardi).

Dividiamo i risultati di Frege in quelli che riguardano l'elaborazione del linguaggio logico e quelli che riguardano l'apparato deduttivo (il calcolo). Seguono alcune riflessioni di carattere più generale.

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SECONDA PARTE


 

7. Frege e il linguaggio logico universale

 

In generale il capovolgimento proposto da Frege rispetto all'ottica booleana è simile al capovolgimento proposto dagli stoici rispetto alla logica aristotelica. Gli stoici distinguevano le proposizioni in semplici (come "piove", "c'è il sole", ecc.) e complesse (come "se piove allora mi bagno", "c'è il sole e non mi bagno", ecc.); le proposizioni che formavano le premesse del sillogismo aristotelico come

 

(1) "tutti gli uomini sono mortali"

 

non sono considerate proposizioni semplici dal contenuto complesso, ma proposizioni complesse, costituite da due proposizioni connesse con un condizionale, cioè:

 

(2) "se qualcosa è un uomo, allora esso è mortale"

Il lavoro di Frege (che peraltro non pare conoscesse queste idee della logica stoica) consiste nel dare rigore e sistematizzare intuizioni di questo genere; per Frege la (1) e la (2) sono enunciati con lo stesso contenuto concettuale, con lo stesso senso, ma la seconda formulazione è da prediligere alla prima perché rende più chiara la connessione logica. La critica di Frege a Boole tocca diversi aspetti del pensiero logico tradizionale, a volte criticandoli, a volte assumendoli e dando loro rigore. Vediamone alcuni.

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7.1. Capovolgimento della teoria del giudizio: la teoria del concetto come funzione

Nella logica tradizionale, cui Boole aderisce in pieno, è usuale distinguere:

dottrina dei termini

dottrina delle proposizioni

dottrina del sillogismo

Usualmente inoltre tale suddivisione della logica andava unita a una teoria della conoscenza che considerava le operazioni della mente in modo coerente con la tripartizione della logica e cioè:

apprensione semplice di concetti o idee

giudizio

ragionamento

Si avrebbe cioè dapprima l'operazione di astrazione che dall'esperienza trae i concetti (gli universali) e dalla unione e separazione di tali concetti ne forma altri nuovi; il giudizio consisterebbe nel porre in relazione tali concetti dati; infine il ragionamento comporrebbe assieme diversi giudizi. Ciò che Frege ritiene fuorviante in questa prospettiva è la riduzione della formazione dei concetti al procedimento dell'astrazione; se la formazione di nuovi concetti si riduce alla semplice combinazione di concetti preesistenti, non si riesce mai a creare alcun concetto effettivamente nuovo. Con una mossa che già Kant aveva abbozzato, Frege capovolge l'ordine di priorità e pone i giudizi prima dei concetti: è dai giudizi che traiamo i concetti e non viceversa. Questa idea fregeana detta "tesi della priorità dei giudizi sui concetti", si riflette nella strategia fregeana del "principio di estrazione delle funzioni". Frege esemplifica questa mossa con un esempio elementare: prendiamo un giudizio come

"Catone uccise Catone"

Da questo giudizio possiamo "estrarre" diverse funzioni o diversi concetti, ad es. i tre concetti di "assassinato da Catone", "assassino di Catone" e "suicida", che possiamo considerare come strutture o forme comuni a più enunciati:

(1) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .(2) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .(3)

Catone uccise (x) . . . . . . . . . . .(x) uccise Catone . . . . . . . . . . . (x) uccise (x)

forma comune a: . . . . . . . . . . . .forma comune a: . . . . . . . . . . . .forma comune a:

Catone uccise Nerone . . . . . . . .. Nerone uccise Catone . . . . . . . . Catone uccise Catone

Catone uccise Seneca . . . . . . . . .Seneca uccise Catone . . . . . . . . .Seneca uccise Seneca

 

La forma comune a tutte queste classi di enunciati è la forma (x) uccise (y), e la (3) è ovviamente un caso particolare di quest'ultima. Si nota subito che Frege qui equipara concetti e funzioni. In un articolo del 1891 ritorna su questa equiparazione in dettaglio mostrando come per lui un concetto non è altro che un tipo particolare di funzione. Frege, cioè, generalizza il concetto di funzione (che era stato fondamentale per gli sviluppi del calcolo infinitesimale) al calcolo riguardante simboli in generale, e in particolare le espressioni linguistiche. Il concetto di "assassino di Catone" è cioè analogo a una funzione (x) uccise Catone che ha un posto di argomento che quando viene saturato da un'espressione dà come valore della funzione non un valore numerico come per le normali funzioni matematiche, ma un "valore di verità". Frege con questa mossa anticipa una distinzione oggi usuale: se pensiamo allo schema della funzione che si usa comunemente in matematica,

f (x) = y

possiamo distinguere due tipi diversi di espressioni funzionali; da una parte i funtori che sono espressioni che come valori danno oggetti di un certo tipo (ad es.numeri) e dall'altra i predicati (cioè le espressioni linguistiche che stanno per concetti o relazioni), che danno come valori valori di verità. Questo risultato permette di unificare in un'unica notazione concetti e relazioni (la cui differenza era particolarmente rilevante nella discussione tradizionale sugli universali); semplicemente i concetti saranno analoghi a funzioni con un argomento e le relazioni a funzioni con più argomenti. Concetti come "pari", "dispari", "saggio", ecc. verranno rappresentati come predicati monadici, o a un posto d'argomento, del tipo P(x), D(x), S(x); relazioni come "maggiore di", "ama", "odia", ecc. verranno rappresentati come predicati diadici,o a due posti d'argomento, del tipo M(x,y), A(x,y), O(x,y). E così via. Tutte queste espressioni sono analoghe a funzioni e hanno come valori valori di verità.

Sulla base dell'analogia con la funzione quindi Frege definisce il concetto come "una funzione che ha come valore un valore di verità". Quello che Frege chiama "concetto" sarà chiamato da Russell "funzione proposizionale"; con questo nome Russell intende una funzione che, quando saturata, dà luogo a una proposizione il cui valore è Vero o Falso. Questi cenni sull'idea fregeana della formazione dei concetti vanno letti sullo sfondo della sua invenzione dei quantificatori (vedi poi), che è strettamente connessa a questa notazione funzionale; in questo modo, mostra Frege, è possibile costruire concetti effettivamente nuovi utilissimi per lo sviluppo della matematica, e che non si possono ricondurre al procedimento di astrazione.

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7.2. Definizione del condizionale verofunzionale

La definizione fregeana del condizionale è quasi identica a quella data a suo tempo da Filone il megarico; date due proposizioni qualsiasi, A e B, Frege ricorda che si hanno solo quattro possibilità di combinazione (come già Boole; cfr. § 3 più sopra):

A vero B vero

A vero B falso

A falso B vero

A falso B falso 

Asserire "se A allora B", in simboli "A -->B", significa che si esclude la seconda di questa combinazioni. Perché questa scelta? Frege ritiene che questo modo di usare il simbolo per "se...allora" sia particolarmente utile per la perspicuità della deduzione logica, in particolare per le dimostrazioni per assurdo (ove si ritiene che il tutto sia falso se da una premessa assunta come vera si deriva il falso). Non vuole con questo catturare tutte le sfumature dell'espressione "se...allora" nel linguaggio naturale, ma dare una convenzione precisa cui attenersi, precisare il significato con cui si deve intendere il simbolo "--> " nel linguaggio formale. Torneremo su questo nel § 9. Qui basta ricordare che anche il segno "--> " è analogo a una funzione; in questo caso una funzione che ha come argomenti (coppie di) valori di verità e come valori valori di verità. Da Frege in poi si usa dunque chiamare i connettivi logici o le proposizioni composte con essi anche "funzioni di verità".

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7.3 Derivabilità dei connettivi - Definito il significato del simbolo "_ " Frege mostra che, dato che esso è definito rigorosamente dai suoi valori di verità, può servire, come base per definire altre forme di composizione di enunciati, cioè altri connettivi come "e" ed "o". E' quanto Frege fa, dopo aver definito la negazione "non" come una funzione con un posto di argomento. L'argomento è elementare: un enunciato A può essere Vero o Falso (principio di bivalenza). La sua negazione è una funzione che, se ha per argomento il Vero dà come valore il Falso e viceversa.

A . . .non A

-----------------

V . . . . .F

F . . . . .V

Componendo il condizionale ("--> ") con la negazione (" - ") Frege ottiene le tavole di verità del VEL ("o" disgiuntivo), dell'AUT ("o" alternativo) e dell'AND (anche se egli non le chiama così, e le esprime con il suo simbolismo bidimensionale senza dare le tavole di verità nella forma in cui si danno attualmente). Definisce cioè per la prima volta nella logica ciò che si chiama una "base di connettivi", cioè i connettivi sufficienti a definire tutti gli altri. Russell e Whithehead useranno per il suo sistema, i Principia Mathematica, una base di connettivi che consiste nella negazione e disgiunzione. Wittgenstein e Post nel 1921 useranno un unico connettivo, chiamato "funtore di Sheffer"(oggi si chiamano NAND e NOR).

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7.4. Quantificatori -

Frege è passato alla storia come l'inventore dei quantificatori; il problema era da tempo nell'aria, ma nella scuola booleana non si arrivava a una definizione esatta del problema. Frege la diede nel 1879. Ed è quella che permette la fusione della logica proposizionale di tradizione stoica con la logica dei termini di tradizione aristotelica. Abbiamo visto (inizio § 7) che gli stoici consideravano la proposizione universale "tutti gli uomini sono mortali" come un insieme di due proposizioni, cioè "se qualcosa è un uomo, allora esso è mortale". Ma questo non permetteva di trattare correttamente il sillogismo aristotelico, le cui regole erano organizzate per il primo modo di considerare la proposizione. Il problema sta nella interpretazione dei termini che i medioevali chiamavano "sincategorematici" (cioè tali da connettere insieme diverse categorie), in particolare "tutti" e "qualche", che chiameremo "espressioni di generalità". Per Frege tali termini possono essere considerati come una specie di operatori, o funzioni di secondo livello, come egli stesso diceva, che "vincolano" i posti di argomento delle funzioni cui si riferiscono. L'idea fregeana si può cogliere meglio tramite esempi (Frege usa un simbolismo speciale per la quantificazione che nessun altro userà in seguito. Il simbolismo attuale e altri simbolismi usati derivano dalle scritture di Peano e Peirce).:

 

 

(1) tutti gli uomini sono mortali si può riscrivere: " x (Ux -->Mx)

che si può leggere: "per tutte le x, se x è un uomo, allora x è mortale"

(2) tutti i ragazzi amano qualche fanciulla si può riscrivere

" x$ y (Rx &Fy -->Axy), che si può leggere:

"per tutti gli x, esiste un y tali che, se x è un ragazzo e y una ragazza, allora x ama y"

Si può notare l'uso del condizionale. Ai tempi di Frege, alcuni booleani avevano suggerito l'uso del condizionale, ma limitatamente alla logica enunciativa; nel 1883 inoltre Peirce introduceva un'analoga notazione per i quantificatori, ma al di fuori del contesto di sistema formale che era presente invece in Frege. La grandezza di Frege è la sua sintesi unitaria in cui tutti gli spunti che stavano faticosamente chiarendosi nella scuola booleana vengono alla luce in un sistema unitario in cui viene definitivamente abbandonata la separazione tra logica proposizionale e logica dei termini (che da Frege in poi viene considerata come una sottoparte della logica o calcolo dei predicati). La logica proposizionale diviene più fondamentale perché più generale; ma il modo in cui è costruita permette la sua estensione naturale alla logica dei termini. Alla fine del primo capitolo della Ideografia Frege presenta la tavola delle opposizioni aristotelica con la sua scrittura:

(A) tutti gli F sono G . . . .(E) nessun F è G

"x (Fx --> Gx) . . . . . . . ."x (Fx --> - Gx)

Per tuttix,se x è F è G . . . . . . . .. Per tuttix,se x è F non è G

 

(I) qualche F è G . . . . . . .(O) qualche F non è G

$ x (Fx &Gx) . . . . . . . . . . .$ x(Fx & - Gx)

Per qualche x, x è F ed è G . . . . . . . Per qualche x, x è F e non è G

 

Se solo questo fosse stato il risultato, sarebbe già abbastanza. Perché Frege qui non si limita a ricostruire, come Boole, la logica dei termini di Aristotele, ma la costruisce come estensione propria della logica proposizionale: parte dagli stessi segni e le stesse regole della logica proposizionale (i connettivi logici e le regole di composizione verofunzionale) e aggiunge a questi la notazione dei quantificatori che si integrano perfettamente nelle regole di composizionalità. Ma la notazione della quantificazione permette anche qualcosa di più della semplice traduzione del calcolo aristotelico dei termini; permette infatti anche di esprimere in modo non ambiguo anche frasi in cui compare più di una espressione di generalità, del tipo "tutti i ragazzi amano una fanciulla"(il problema delle espressioni con generalità multipla era stato molto discusso nel medioevo e nel rinascimento senza trovare adeguata soluzione). La trovata di Frege sta nell'idea di ambito, da lui sviluppata con chiarezza nei suoi Principi fondamentali dell'aritmetica (1893). La frase (2) sopra riportata è infatti ambigua, potendo significare che: (a) ciascun ragazzo ha una fanciulla da amare e (b) una qualche fanciulla è amata da ogni ragazzo. Per distinguere le due letture Frege cambia l'ordine dei quantificatori, rispettivamente:

(2a) " x (Rx --> $ y (Fy --> Axy)

(2b) " y (Fy -->$ x (Rx -->Axy)

(L'esempio di ragazzi e ragazze che si amano è di Peirce, non di Frege)

L'ordine dei quantificatori cioè determina l'ambito in cui essi funzionano, costituisce cioè una specie di filtro: se il quantificatore universale precede l'universale, si ha una lettura "distribuita"; se il quantificatore particolare o esistenziale precede il quantificatore universale, cambia l'interpretazione. Il quantificatore che precede viene detto avere "ambito" o "raggio d'azione" più ampio" di quello che segue. Tramite l'uso dell'ordine dei quantificatori Frege riesce a costruire concetti matematici complessi che non possono essere ridotti a una mera relazione tra concetti data con le regole booleane.

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8. Frege e il calcolo logico (l'apparato deduttivo)

 

8.1. Distinzione assiomi-regole: il Modus Ponens

Per la prima volta nella storia della logica Frege fa una distinzione esplicita che diverrà fondamentale nel XX secolo; quella tra assiomi logici e regole logiche (tale distinzione è alla base del famoso apologo di Achille e la Tartaruga di Lewis Carroll , scritto negli anni in cui Frege scriveva i Principi, e pubblicato nel 1893). Frege richiama la necessità di regole per realizzare la deduzione; gli stoici e Aristotele ne avevano tramandate diverse, a volte sotto forma di principi primi. Frege distingue le regole dagli assiomi in modo netto, anche nella scrittura. Gli assiomi sono asserti, punti di partenza del sistema logico; le regole non sono asserti, ma strategie inferenziali. Ma dell'elenco di regole che si potevano recuperare dalla tradizione Frege riconosce che una sola è sufficiente, la regola del MODUS (ponendo) PONENS, o regola di separazione.

Frege la presenta così: dato |- (A --> B) e dato |- A si può derivare |-B, o, in colonna:

|- (A--> B)

|- A

--------------

|- B

Si noti il segno " |- " che non corrisponde esattamente al segno di derivazione oggi usuale, ma è un segno speciale usato da Frege e chiamato "segno di asserzione". Serve a ricordare che nella prima riga non si asserisce né A né B ma solo la verità del condizionale A --> B. Si asserisce cioè che dei quattro casi possibili si esclude il secondo:

1. A vero B vero

2. A vero B falso

3. A falso B vero

4. A falso B falso

Restano dunque validi gli altri tre casi. Se si asserisce la verità di A si escludono a loro volta gli ultimi due casi. Resta dunque solo il caso 1. E in questo caso B è Vero. Dunque la conclusione è confermata.

 

8.2. Diversi sistemi di assiomi?

Una volta definita la distinzione assiomi-regole Frege passa presentare il suo calcolo formale elencando gli assiomi. Frege riconosce che questi assiomi non sono gli unici possibili; altri assiomi possono essere dati in modo tale da derivare le stesse leggi del pensiero; il sistema di Assiomi dell'Ideografia di Frege consiste dei seguenti assiomi:

 

1. p -> (q ->p)

2. p -> (q ->r) -> ((p ->q) -> (p-> r)

3. (p -> (q -> r)) -> (q -> (p -> r)) (scambio dell'antecedente)

4. (p ->q) -> (- q -> - p) (contrapposizione)

5. - - p -> p

6. -> - - p

7. (x = y) -> (Px -> Py)

8. x = x

9. " x Px -> Py

 

Si può notare l'assioma 8, il principio di identità; il principio di non contraddizione è invece un teorema derivabile. E' da notare anche che Frege usa 6 assiomi per il calcolo proposizionale; il sistema di Russell dei Principia Mathematica usa 5 assiomi; nel 1921 il logico polacco Lukasievicz mostra che il sistema di assiomi di Frege è equivalente (ha la stessa capacità di generare teoremi) di un sistema con tre soli assiomi: i primi due di Frege e un terzo che viene così formulato

 

(- p -> - q) -> (q -> p)

 

Una formulazione di un sistema assiomatico moderno, il Bell-Machover (manuale pubblicato nel 1977), usa i seguenti tre schemi di assiomi:

 

1. p -> (q -> p)

2. p -> (q -> r) -> ((p -> q) -> (p - > r)

3. (- p -> q) -> (( - p -> - q) -> p).

 

Come si può notare esso ha come primi due assiomi gli assiomi del sistema fregeano, il primo sistema assiomatico del calcolo proposizionale e predicativo della storia della logica.

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8.3. Gli assiomi dei Principi del 1893 e la contraddizione di Russell

 

L'opera maggiore di Frege venne pubblicata nel 1893. Essa presentava un sistema di assiomi con assiomi specifici per la aritmetica; era il primo sistema assiomatico di logica "applicata". Ma non era esente da problemi; Russell individuò infatti nel sistema fregeano la possibilità di derivare non solo teoremi, ma una contraddizione. E, dato che secondo un famoso principio detto dello "pseudo-Scoto" (dimostrabile anche nel sistema di Frege), da una contraddizione si può derivare qualsiasi cosa ("ex falso quodlibet), il sistema veniva minacciato di "banalità". Frege reagì con grande compostezza e ammirazione per la critica di Russell: pubblicò il secondo volume del suo lavoro insieme alla lettera in cui Russell presentava la contraddizione e un suo tentativo di soluzione. Abbandonò poi ogni tentativo di soluzione (forse si rese conto che il suo tentativo non funzionava, come dimostrò più tardi Lukasiewicz) e dedicò gli ultimi anni della sua vita a riflettere sui problemi filosofici più generali connessi alla definizione di cosÕè la logica (il problema della negazione, della riducibilità dei connettivi, del significato degli enunciati, ecc.).

Data la eco che ha avuto nella storia della logica, vale la pena presentare una versione semplificata della contraddizione di Russell. Il sistema di Frege assume il principio, chiamato Principio di Comprensione, per cui, data una proprietà, si può assumere l'esistenza di un insieme ben determinato che corrisponde a questa proprietà. Russell mostra che non è detto che, dato un concetto o una proprietà, si possa sempre definire un insieme ad esso corrispondente, senza cadere in contraddizioni. L'argomentazione base di Russell è un'argomentazione per assurdo: assumiamo che a qualsiasi proprietà corrisponda un insieme. Prendiamo come proprietà quella definita come "non appartenere a se stessi", cioé x Ïx. Vi sarà, per il principio di comprensione, una classe definita da questa proprietà, cioè la classe di tutte le classi che hanno la proprietà di non appartenere a se stesse. Nomineremo questa classe R per ricordarci il nome del suo inventore. La domanda di Russell è la seguente: la classe R appartiene a sé stessa o no? Gode cioè essa stessa della proprietà che la definisce? Vi sono due casi possibili:

1) la classe R appartiene a sé stessa (R Î R); quindi gode della proprietà che caratterizza la classe R (la classe delle classi che non appartengono a se stesse) e quindi non appartiene a se stessa:

  R Î R Æ R Ï R

2) la classe R non appartiene a se stessa (R Ï R); quindi gode della proprietà sopra definita, quindi fa parte delle classi che appartengono alla classe R, costituita per definizione da tutte le classi che non appartengono a se stesse; in simboli:

R Ï R Æ RÎ R.

Da cui RÎ R ´ R Ï R che è una palese contraddizione.

(Una scorciatoia è definire la classe R così: "x appartiene a R se e solo se x non appartiene a se stesso": cioé XÎ R ´ X ÏX. Sostituendo X con R si ha immediatamente la contraddizione voluta:R Î R ´ R Ï R ).

La risposta di Russell e della maggior parte dei logici successivi a questa contraddizione è che occorre porre restrizioni al principio di comprensione. Frege ritenne la teoria degli insiemi responsabile della confusione che si era creata (e Wittgenstein seguì Frege su questo punto) e giunse, negli ultimi anni della sua produzione scientifica, a sostenere - contro le sue idee originarie su cui aveva fondato il suo progetto di ideografia - che non si può fondare l'aritmetica sulla sola logica, perché tramite la logica sola non abbiamo la certezza che ci venga dato alcun oggetto. Il dibattito sui fondamenti della matematica seguì la strada di Russell, anche se a tutt'oggi la discussione è ancora viva.

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9. Filosofia e teoria del significato: cos'è il significato di un enunciato?

 

Negli ultimi anni della sua produzione Frege si dedicò al chiarimento dei fondamenti teorici delle sue scoperte; nel frattempo le sue idee si erano diffuse, specie tramite i Principia Mathematica di Russell e Whitehead, pubblicati nel 1910, che presentavano, con la notazione di Peano, alcune delle idee fondamentali del pensiero di Frege, cui entro una certa misura erano giunti indipendentemente. Vi erano anche molti disaccordi con Frege, ma l'idea di fondo di un sistema assiomatico formale costituito da un linguaggio e da un calcolo era ormai consolidato; nel 1928 Hilbert e Ackerman presentano un sistema formale che, richiamandosi anche ai risultati di Frege e Russell, costituisce il prototipo dei sistemi assiomatici moderni. Finisce con questi lavori l'età eroica della logica, e inizia una nuova fase, in cui i logici si interrogano sul significato e sui fondamenti dei formalismi da loro inventati: a partire dagli anni '30 si sviluppa cioè la metalogica, lo studio delle proprietà dei sistemi logici: correttezza, coerenza, completezza. I primi risultati fondamentali, che riprendono lavori di logici precedenti, saranno dati dai lavori di Gödel sulla correttezza e completezza del calcolo dei predicati del primo ordine e sulla incompletezza del calcolo dei predicati di ordine superiore.

Un altro aspetto peculiare caratterizza lo sviluppo della logica dagli anni '30 in poi: due grandi correnti si affiancano nello sviluppo degli studi logici: la semantica modellistica, ossia lo studio della interpretazione semantica dei sistemi logici, sviluppata a partire dai lavori pionieristici di Tarski, e la teoria della dimostrazione, ossia lo studio delle strutture dimostrative a partire dai lavori di Hilbert e di Gentzen.

Questi lavori si intrecciano a una riflessione filosofica su cosa si intende per "significato", riflessione che Frege per primo aveva inaugurato con la distinzione tra "senso" (Sinn) e "riferimento" (Bedeutung). Carnap per primo cercò di definire in modo del tutto formale una differenza tra due aspetti delle espressioni del sistema formale, dando una explicatum dei concetti fregeani di senso e riferimento con i concetti di intensione ed estensione. Anche Quine contribuì a distinguere una teoria del senso da una teoria del riferimento. Una teoria del riferimento (o una teoria dell'estensione) è una teoria che, a ogni categoria semantica del sistema formale, fa corrispondere un determinato tipo di oggetti (ai termini singolari individui del dominio, a predicati classi, a enunciati valori di verità). Parlare di teoria del riferimento è in pratica parlare di semantica modellistica. Una teoria del senso (o dell'intensione) dovrebbe invece definire per ogni categoria semantica il suo senso. Dire in cosa consiste il senso di ogni espressione logico-linguistica è materia di dibattito attuale. Dal punto di vista storico sono però da ricordare due alternative ormai "classiche" che si sono differenziate per il modo di intendere il senso degli enunciati del nostro linguaggio (o il senso dei connettivi logici). Su questa contrapposizione sarà dunque utile fare alcuni cenni prima di lasciare spazio alla riflessione metalogica che rappresenta il contributo più cospicuo e decisivo della logica contemporanea.

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9.1 Il significato come condizioni di verità: il Tractatus di Wittgenstein -

Tra i principi fondamentali del lavoro di Frege vi è il principio di composizionalità (oggi detto "principio di Frege"): il senso di ogni espressione linguistica è funzione del senso delle parti; in particolare il senso di un enunciato è funzione del senso delle sue parti; e il senso di un enunciato complesso è funzione del senso degli enunciati componenti. Forse la enunciazione storicamente più famosa del principio di composizionalità per gli enunciati complessi (o principio di funzionalità) è data da Wittgenstein nel Tractatus Logico-Philosophicus del 1921, quasi trent'anni dopo la pubblicazione del primo volume dei Principi di Frege dove questo principio, pur non enunciato in modo così esplicito come nel Tractatus, era il motore che faceva funzionare il sistema. Il principio appariva comunque già negli scritti precedenti di Frege, e in particolare nell'articolo "Senso e Significato" del 1892. Nel Tractatus Wittgenstein definisce le tavole di verità come sono oggi usualmente intese, come una combinatoria formale di possibilità di verità/falsità di enunciati. Dati n enunciati vi sono 2 2n possibilità di combinazione dei loro valori di verità. Dati 2 enunciati vi sono 22 2 possibilità di combinazione, cioè 16. Wittgenstein elenca queste 16 possibilità e mostra come ciascuna di queste possibilità combinazioni di verità/falsità può essere intesa come il significato delle costanti logiche (o degli enunciati composti con esse). Si capovolge l'impostazione intuitiva che viene spesso presentata nei testi introduttivi ala logica: invece che partire dal significato intuitivo dei connettivi "e", "o", "se...allora", si parte dalle tavole di verità decidendo che esse sono il significato del connettivo; il significato di "se...allora" sarà dunque identificato con la tavola di verità del condizionale, che è semplicemente una delle sedici possibili combinazioni di due proposizioni atomiche:

p q . . . . p Æ q

V V . . . . .V

V F . . . . . F

F V . . . . .V

F F . . . . .V

 

Il significato di un enunciato (in questo caso l'enunciato "p Æ q) è perfettamente determinato quando è determinata la sua tavola di verità; questa esprime le condizioni a cui l'enunciato è vero o è falso. Dire che il significato di un enunciato sono le sue condizioni di verità è intuitivamente molto accattivante: pare infatti ovvio che conosco il significato di un enunciato quando so a quali condizioni esso è vero, anche se non ne conosco il valore di verità. Il valore di verità viene considerato il riferimento, o estensione, dell'enunciato; le condizioni di verità vengono considerate il suo senso o intensione (in semantica modellistica più precisamente l'intensione di un enunciato sarà una funzione da mondi possibili a estensioni, una funzione cioè che determina a quali condizioni un enunciato è vero a seconda di certi mondi possibili).

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9.2 Tautologie e contraddizioni -

Tra le condizioni di verità elencate in ogni combinatoria possibile (anche nella combinatoria di sedici possibili tavole di verità per due proposizioni) vi sono, nota Wittgenstein, due casi estremi: quando la tavola di verità ha sempre valore "vero" e quando ha sempre valore "falso". Wittgenstein, con una innovazione terminologica che si è ormai depositata nel linguaggio filosofico contemporaneo, chiama le proposizioni logicamente vere "tautologie" e quelle logicamente false "contraddizioni". Esempi classici sono, rispettivamente:

 

tautologia: p v - p

contraddizione p & - p

La logica consiste di questo tipo di proposizioni: i teoremi della logica sono proposizioni sempre vere; in questi casi non si può però propriamente parlare di "senso"; infatti non ho delle particolari condizioni a cui la proposizione è vera o falsa; essa è sempre vera o sempre falsa a prescindere da qualsiasi condizione, a prescindere da qualsiasi stato del mondo; le proposizioni della logica sono cioè indipendenti dall'esperienza; esse formano l'impalcatura della nostra descrizione del mondo (per questi motivi Wittgenstein chiame tali proposizioni "prive di senso").

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9.3 Il significato come metodo di verifica -

 L'idea del significato di un enunciato come condizioni di verità si è imposta di fatto al mondo logico-filosofico come del tutto intuitiva e accettabile. Da Frege a Montague essa resta un paradigma di filosofia. Ma lo stesso Wittgenstein, intorno agli anni '30, iniziò a dubitare della validità universale di questa definizione, insistendo sul fatto che il significato di un enunciato deve essere identificato con il metodo della sua verifica o della sua giustificazione. Generalizzando queste idee giunse infine al famoso slogan "il significato è l'uso". Si è molto discusso su come interpretare queste riflessioni di Wittgenstein. Alcuni autori le mettono accanto alle riflessioni che Gentzen andava svolgendo negli anni '30 sulla deduzione naturale e sulla logica intuizionista, anche se non vi è un collegamento effettivo tra i due autori (si può forse parlare di "spirito del tempo").

Normalmente si contrappone la deduzione naturale di Gentzen al metodo delle tavole di verità: Gentzen infatti sosteneva che la definizione (e noi potremmo anche dire il "significato") delle costanti logiche era dato dal loro uso effettivo, che si rispecchiava ne modo in cui le costanti logiche vengono introdotte o eliminate in una argomentazione. Se ho una giustificazione indipendente di A e di B posso introdurre la loro congiunzione; se ho asserito "A e B" posso eliminare la "e" e asserire ogni congiunto indipendentemente, secondo schemi di questo tipo:

 

regola di introduzione della "&" regola dieliminazione della "& "

A . . . . . . .B . . . . . . . . . . . . .A&B . . . . . . . . .A& B

---------------- . . . . .. . . . . . . .-------- . . . . . . . --------

A& B . . . . . . . . . . . . . . . .. . . A . . . . . . . . . . . B

 

Si può dire che questo è un modo perspicuo per mostrare cosa si intende dicendo che il significato è l'uso: il significato di "A e B" è definito quando si chiarisce come viene usato il connettivo "e" (o "& "), cioè come viene introdotto e come viene eliminato nel corso di una argomentazione. Fin qui però abbiamo una visione del tutto corrispondente alla visione classica data con le tavole di verità. Gentzen trova però particolarmente utile il suo calcolo della deduzione naturale per la logica intuizionista, ove i connettivi della negazione e del condizionale hanno un significato del tutto particolare: negare un enunciato vuol dire che si può dimostrare che da esso segue un assurdo; analogamente asserire "p -> q" vuole dire che si ha una procedura che permette di passare da una dimostrazione di p a una dimostrazione di q. Nella interpretazione intuizionista in particolare "p o non p" vuole dire qualcosa come "p è dimostrabile o p non è dimostrabile (giustificabile, verificabile, asseribile)". Questo ovviamente non vale in assoluto, dato che - come la matematica e la logica insegnano - vi sono casi di enunciati indecidibili, che non si possono né dimostrare né refutare. Quindi il principio del terzo escluso non viene assunto tra i principi logici fondamentali della logica intuizionista. Ma questo è un principio fondamentale della logica classica; questo mostra come la logica classica sia strettamente legata all'idea del significato come condizioni di verità: infatti in logica classica non si ha alcun interesse a quali giustificazioni o dimostrazioni si possano dare di un enunciato: si ha una combinatoria di possibili verità e falsità e il senso di un enunciato è la condizione a cui è vero, a prescindere dal fatto che siamo in grado di venire a sapere se l'enunciato sarà mai vero. Ma se le condizioni di verità sono del tutto al di fuori della nostra capacità cognitiva, in cosa consiste conoscere il senso, conoscere le condizioni di verità? Una risposta che segue le idee del secondo Wittgenstein è la seguente: conosco il significato di un enunciato non quando conosco le sue condizioni di verità, ma quando ho un metodo per determinare qual'è la sua verità, quando ho un metodo di verifica o di giustificazione della verità di tale enunciato. Un enunciato di cui non ho alcun metodo di verifica è insensato, non deve far parte di un linguaggio scientifico rigoroso. Conosco il significato di un enunciato indecidibile non se conosco le sue condizioni di verità (infatti non è vero a nessuna condizione), ma se ho un metodo per la sua dimostrazione (che mi dimostra, appunto che non è né asseribile né refutabile).

 

9.4. Logica e filosofia - Da sempre logica e filosofia sono state strettamente intrecciate. Con la nascita della nuova forma in cui si è sviluppata la logica, cioè la logica matematica, questo legame ha continuato ad approfondirsi in diversi modi. Per usare uno schema ancora oggi valido didatticamente possiamo prendere come punto di riferimento il lavoro di Wittgenstein:

 

(i) Il Tractatus Logico-philosophicus è stato il primo lavoro di filosofia del linguaggio ispirato alla svolta logica di Frege. Esso ha avuto una grande influenza sullo sviluppo del neopositivismo e del neoempirismo: la distinzione delle proposizioni in logiche (tautologie e contraddizioni), empiriche e metafisiche e in particolare il problema della demarcazione tra enunciati sensati, e insensati è stato lÕinizio di una discussione che ha ripercussioni ancora oggi in filosofia della scienza. Il neopositivismo ha irrigidito la distinzione analitico/sintetico (proposizioni logico-matematiche e proposizioni empiriche), dando però ad essa un ruolo fondamentale nella discussione successiva, dalla critica di Quine, alla discussione di Carnap e ai più recenti dibattiti sulla difficoltà di distinguere tra dizionari ed enciclopedie. La visione del significato di un enunciato come condizioni di verità come definito nel Tractatus è inoltre uno dei paradigmi classici presenti in logica e filosofia.

(ii) La filosofia del "secondo" Wittgenstein ha influenzato prima di tutto ancora una volta il movimento neopositivista e neoempirista sul tema del significato di un enunciato come metodo della sua verifica. Il "verificazionismo" sviluppato in questo contesto, pur dando adito a molte critiche (tra le prime quelle di Popper) è stato il punto di origine di un dibattito estremamente fecondo, specialmente nellÕanalisi del linguaggio scientifico. Ma dal verificazionismo neoempirista si deve distinguere quella che si può chiamare "teoria verificazionista del significato", o anche "teoria antirealista" del significato, che nasce da una fusione dei temi wittgensteiniani con le problematiche della logica intuizionista e che è stata sviluppata da alcuni autori, tra cui prima di tutto Michael Dummett. Ne è nata una discussione su cosa si deve intendere per "realismo" oggi, e su come il dibattito metafisico deve impegnarsi in una discussione di cosa si intenda per "significato". Questo è solo un esempio. Altri temi si sono sviluppati, come ad es. il dibattito sull'essenzialismo aristotelico nato con la discussione della interpretazione semantica delle logiche modali data da Kripke, la discussione sugli atti linguistici e gli aspetti pragmatici del linguaggio, il ruolo dei nuovi formalismi informatici nello sviluppo della nostra visione della mente e della conoscenza, ecc. Dopo la svolta imposta dai lavori pionieristici di Boole e Frege, la logica e i suoi problemi tornano oggi ad avere un ruolo centrale nel dibattito attuale in filosofia.

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BIBLIOGRAFIA

 

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A. Bonomi 1971 (a cura di) La struttura logica del linguaggio, Bompiani, Milano.

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