Constitutio de feudis

Nel 1036 l'imperatore Corrado II si recò in Italia per sostenere le richieste delle città e della piccola nobiltà feudale contro i potenti grandi feudatari. Seguendo l'esempio del capitolare di Quierzy di Carlo il Calvo, stabilì, con la Constitutio de feudis (1037), l'ereditarietà in linea maschile di tutti i feudi, compresi quelli minori. Con questo editto, Corrado II indebolì il potere dei grandi feudatari, sia laici che ecclesiastici, restituendo prestigio all'imperatore, che tornava ad essere l'unico arbitro nelle dispute tra i vassalli maggiori e quelli minori.

Nel nome della santa ed individua Trinità, Corrado II, per grazia di Dio augusto imperatore dei Romani. 1. Vogliamo sia noto a tutti i fedeli della Santa Chiesa di Dio e ai nostri, così presenti come futuri, che noi, al fine di riconciliare gli animi dei signori e dei milites, sì che si possano vedere sempre gli uni con gli altri concordi e servano devotamente con fedeltà e perseveranza, noi ed i loro signori, ordiniamo e fermamente decidiamo: che nessun milite di vescovi, abati e abbadesse o di marchesi o conti o chiunque altro che tenga un beneficio dei nostri beni pubblici o dalle proprietà della Chiesa o che lo ha tenuto anche se ora lo ha ingiustamente perduto, appartenga egli ai nostri valvassori maggiori o ai loro militi, non debba perdere il suo beneficio senza colpa certa e dimostrata e se non a tenore delle costituzioni dei nostri predecessori e per giudizio dei loro pari. 2. Se nascerà contesa fra signori e militi, benché i suoi pari abbiano giudicato che il milite debba essere privato del beneficio, se egli dirà che ciò fu deciso ingiustamente e per odio, manterrà il beneficio finché il signore e chi ha promossa l'accusa coi pari suoi verranno alla nostra presenza e qui la causa sarà giustamente decisa. […] E ciò sia osservato per i valvassori maggiori. 3. Per i minori, invece; nel regno, le cause siano decise dinanzi al signore o dinanzi al messo nostro. 4. Ordiniamo altresì che quando un milite, fra i maggiori od i minori, lascerà questa vita terrena, il figlio suo ne erediti il beneficio. Se invece il milite non avrà un figlio ma lascerà un nipote da figlio, questi abbia in pari modo il beneficio, con l'osservanza dell'uso praticato dai valvassori maggiori nella consegna dei cavalli e delle armi ai loro signori. Che se nemmeno un nipote lascerà ed avrà un fratello legittimo e consanguineo, se questi avrà offeso il signore e vorrà fare ammenda e diventare suo milite, abbia il beneficio che fu giù del padre suo.

in G. Galasso, Critica e documenti storici, v. 1, Martano, Napoli-Firenze 1972