(Stagira 384 a.C.- Calcide, 322 a.C.)
Dante definisce Aristotele “il maestro di color che sanno” cioè rispetto a coloro che sono sapienti, Aristotele è un sapiente dei sapienti. Con Dante Alighieri siamo al culmine del Medioevo e questo sta già a significare che Aristotele ha insegnato ai sapienti per migliaia di anni, ed in effetti possiamo considerare ancora oggi valida la logica di Aristotele; la sua zoologia sarà superata solamente nel 1700 dallo scienziato svedese Linneo, il grande escogitatore della nomenclatura degli esseri viventi, e altrettanto la fisica aristotelica è rimasta imperante fino ai primi del 1600.
Dunque in tutto il medioevo ed oltre per lo studio della natura si è fatto fede al principio Ipse Dixit “lo ha detto lui”, cioè per secoli ha fatto fede il testo di Aristotele.
Aristotele nasce a Stagira, al confine tra Grecia e Macedonia nel 384/3.
Dopo la morte del padre, a 17 anni, si reca all’Accademia platonica di Atene, di cui diventa una delle personalità di spicco per più di vent’anni.
Nel 347 muore Platone e si sostiene che Aristotele abbia avuto a quel punto una rottura con l'Accademia platonica perché gli viene preferito il fratello di Platone, Speusippo, come scolarca, come guida, dell'Accademia.
Nel 342 è precettore di Alessandro Magno, un incontro questo assai singolare tra uno dei più grandi intellettuali e uno dei maggiori condottieri e uomini politici della storia1) .
Nel 336 Alessandro sale al trono e poco dopo Aristotele torna ad Atene dove fonda il Liceo, la sua scuola, chiamata così perché sorta vicino ad un tempietto dedicato ad Apollo Licio.
Acquisirà in seguito anche un altro nome: il Peripato, per sottolineare l’abitudine dei suoi appartenenti di insegnare passeggiando (peripatèo = camminare)
Nel 323, alla morte di Alessandro, Atene diventa il centro di una reazione antimacedone, di cui il filosofo, legato alla dinastia regale di Macedonia, fa le spese. Infatti, accusato di empietà, viene condannato all’esilio.
Si reca quindi a Calcide nell’Eubea, lasciando a Teofrasto la direzione del Liceo.
A Calcide muore nel 322
Diogene Laerzio, in vite dei filosofi, sostiene che Platone avrebbe paragonato Aristotele ad un puledro di razza che scalcia e arriva a colpire con i suoi zoccoli anche la madre.
Per identificare rapidamente la differenza fondamentale tra Platone e Aristotele si può ricorrere al famoso dipinto di Raffaello presente nelle stanze del Vaticano: “la Scuola di Atene”: Raffaello dipinge tutti i grandi filosofi greci come se fossero coetanei in un porticato; al centro incedono, uno vicino all'altro, Platone e Aristotele. Platone indica il cielo, la trascendenza, l'iperuranio, il mondo delle idee e invece Aristotele indica la terra.
Raffaello ha colto genialmente con questa immagine la differenza tra i due filosofi: per Platone l'essenza delle cose, quello per cui le cose sono quello che sono, sta fuori delle cose stesse, sta nell'idea e l'idea è al di là delle cose sensibili. Ci sono le azioni giuste, oltre tutte le azioni giuste c'è la Giustizia; ci sono le cose belle e al di là tutte le cose belle, c'è la Bellezza; cioè le idee stanno trans, oltre; sono trascendenti.
Invece Aristotele all’idea platonica sostituisce in un certo qual modo la forma: lui sostiene che ciò per cui una cosa è quello che è, cioè la sua forma, è interna alla materia. La forma non è altro che la forma che assume un determinato nucleo di materie, quindi forma e materia sono inscindibili. La forma, cioè l'essenza di una cosa, sta all'interno della cosa stessa è immanente.
Aristotele quindi si pone agli antipodi rispetto a Platone e critica aspramente il maestro a partire da una riflessione che aveva fatto lo stesso Platone. Il tardo Platone nel dialogo Parmenide si pone il problema del rapporto tra le idee e le cose ed elabora il famoso argomento del terzo uomo, che viene sviluppato da Aristotele però in chiave non di problematizzazione delle idee, ma di demolizione del mondo delle idee. Sostiene Aristotele che Platone per spiegare l'individuo, per spiegare Socrate, come essere umano concreto, ricorre all'uomo in sé, all’uomo con la U maiuscola. L’umanità con la U maiuscola è la perfezione dell'uomo, è l'idea di uomo che vive nel mondo intelligibile. Quindi per spiegare l'uomo sensibile, Socrate, si fa ricorso all'uomo intelligibile. Proprio seguendo però le tracce di Platone, dice Aristotele, fatta questa affermazione si complica indefinitamente la realtà invece di spiegarla. Per quale motivo? perché bisognerà immaginare un rapporto tra l'uomo empirico, Socrate, e l'uomo con la U maiuscola; ora se formalizziamo questo rapporto, come ama fare Aristotele, e chiamiamo Socrate con la lettera A e l'uomo con la U maiuscola con la lettera B, ci troviamo due termini A e B; ma tra A e B ci sarà un rapporto che chiameremo C; questo rapporto può essere di somiglianza, di uguaglianza e disuguaglianza, di esclusione, di ostilità, di maggiore, di minore, ecc.. in ogni caso se io ho due cose A e B, inevitabilmente avrò C che sarà la relazione tra A e B. Aristotele sta alla base del famoso detto non c'è due senza tre, cioè posti due termini necessariamente si deve porre un terzo termine. Però Aristotele a questo punto sostiene che questo tipo di ragionamento può proseguire all'infinito; perché se adesso mi trovo a B e C tra e B e C ci sarà un altro rapporto che sarà E, quindi ognuno di questi rapporti dà vita ad altri rapporti e questo naturalmente può proseguire all'infinito. Aristotele vuol dire che Platone invece di spiegare il mondo delle cose sensibili ha prolungato all'infinito la difficoltà di afferrare questo mondo.
Nella Metafisica Aristotele è molto polemico: quelli che pongono come causa le idee, naturalmente si tratta di Platone e dei platonici, cercando di cogliere le cause degli esseri reali ne introducono altrettanti di nuovi, cioè per spiegare una cosa devo introdurre un'altra cosa, come se uno dovendo contare degli oggetti credesse di non poterlo fare finché sono pochi e di riuscirvi aumentando il numero, cioè si dice c'è l'uomo Socrate, poi c'è l'uomo in sé ma quest'uomo in sé non è altro che un secondo uomo, è una moltiplicazione si pensa di spiegare Socrate aumentando il numero; l'origine del loro errore sta in ciò che essi non sanno dire, in che consistono tali sostanze incorruttibile al di fuori di quelle particolari e sensibili, essi le pongono quindi identiche per la specie a quelle corruttibili che noi conosciamo e quando dicono l'uomo in sé, il cavallo in sé, altro non fanno che aggiungere alle cose sensibili l'espressione in sé. Probabilmente questo è uno dei brani più drastici contro Platone; Aristotele scrive, anche un po’ ironia, che aggiungendo la dicitura in sé Platone pensa di cavarsela e du spiegare le individualità sensibili.
Invece per Aristotele bisogna cercare l’essenza o la sostanza della realtà - sostanza nel senso letterale quello che sta sotto - nelle cose stesse, non fuori o al di sopra di esse. Dunque il fondamento della realtà è nelle cose stesse.
Scrive Aristotele con una famosissima frase si può usare la parola essere in molti modi: ma sebbene la parola essere si usa in tanti sensi è evidente che l'essere principale è l'essenza, in quanto significa sostanza, cioè io posso dire Socrate è uomo, Socrate è greco, Socrate è anziano, ma al di là di tutti questi modi, che chiama accidenti, io la prima cosa che devo ipotizzare di dire è che Socrate è. L’essere si predica in molti modi, posso dire i tanti modi in cui si dà che Socrate, ma soprattutto devo dire che Socrate è quindi l'essere prima di tutto è la sostanza: ossia deve esserci una specie di base, qualche cosa che sta sotto l'essere greco, l'essere intelligente, l'essere anziano, qualche cosa che sta sotto e su cui si appoggiano tutti questi accidenti, cioè tutte queste qualità
Continua Aristotele: poniamo che uno domandi se il camminare, l'essere sano, lo stare seduto e similmente qualche altra cosa di tal fatta sia o non sia un essere, nessuno di essi esiste in sé per natura, né può essere separato dalla sostanza, cioè non posso dire che esiste il camminare, esiste l’essere sano, bensì c'è qualcuno che cammina, qualcuno è camminante, qualcuno è sano; se dunque di quelli diciamo che sono, a maggior ragione sarà un essere chi cammina, chi sta seduto, chi è sano. Quelli intanto appaiono reali in quanto vi è qualcosa di determinato che fa un loro da sostrato, cioè ripetendo, l'intelligenza, l'anzianità, l'essere greco, eccetera hanno una qualche cosa di determinato che fa loro da base, cioè una sostanza; tale appunto è la sostanza o individuo il quale appare in tale categoria.
Senza di esso nessuno direbbe è buono è seduto, ci vuole qualcuno che sia buono, ci vuole qualcuno che sia seduto, ora è chiaro che soltanto in grazia di questa categoria esiste ciascuno di quegli altri esseri; così che l'essere primo, ossia non uno l'altro modo di essere, ma ciò che è semplicemente, sarà la sostanza.
La sostanza che cosa sarà? sarà l'individuo a cui possono inerire, a cui si possono aggiungere, tutte queste note: il fatto che cammina, che suona, che parla, che è intelligente, che è stupido, eccetera eccetera. La sostanza è l'individuo, siamo agli antipodi rispetto a Platone:: per Platone la sostanza, l'essenza, sono le idee universali; per Aristotele la sostanza è individuo; individuo proprio nel senso letterale del termine che non si può dividere perché se si potesse dividere, ci sarebbe qualche cosa di più sostanziale, di più basilare.
Che cos'è particolarmente caratterizzato dall’individualità? l'organismo, perché le cose inerti si possono spezzare, una trave di legno si può spezzare, si riduce in mille schegge; un macigno si spezza, si riduce in schegge; ma invece l'organismo è individuo: l'organismo non si può dividere; quindi per Aristotele la sostanza è l'individuo, ovvero l'organismo; è stato detto che Aristotele è un grande filosofo della vita ed è vero, perché l'altro grande problema che lui si pone è quello del divenire.
La sostanza è data da individui, da organismi che sono continuamente in movimento; la realtà è fatta da cose individuali che si muovono, che cambiano. Di ogni cosa si può predicare che è, come ha detto Parmenide dell'essere; però ogni cosa è anche in mutamento, in divenire, come ha detto Eraclito.
Da che cosa sono caratterizzate le cose? dal fatto di essere individui, di essere qualche cosa di non confondibile con gli altri, di essere perfettamente identificate e abbiamo detto che Aristotele usa una parola specifica: sinolo . Quindi l'essere è sostanza, la sostanza è l'individuo, l'individuo è organismo; l'individuo è sinolo (dal greco syn=con olos=tutto, totalità) per cui l'individuo è una totalità organica di materia e forma.
La forma, quella che Platone ha chiamato idea separandola dai corpi, è la forma che hanno i corpi, quindi le cose sono sinoli cioè unione di materia e forma; sono materie che hanno preso una certa forma. Alla materia, Aristotele, associa una nuova dimensione: la potenza; alla forma associa l'atto e questo gli permette di spiegare il divenire: Aristotele sostiene che ogni cosa, è se stessa, però potenzialmente si può trasformare in un'altra cosa, non in un'altra cosa qualsiasi ma in un'altra cosa specifica. Facciamo degli esempi banali: l’uovo di gallina è un uovo attualmente ha raggiunto cioè una certa forma, è un certo sinolo; però potenzialmente è un pulcino, e il pulcino è potenzialmente una gallina; la ghianda è ghianda attualmente, cioè in atto ha la forma di ghianda, però potenzialmente è una quercia.
Tutta la realtà è fatta di sinoli, cioè di individui, cioè di organismi, che hanno materia e forma; però la materia è potenza cioè è possibilità di svilupparsi; la forma è atto, è la configurazione, la conformazione, la forma che attualmente ha preso una cosa. Quindi tutte le cose sono forma e materia, potenza e atto. Aristotele ha la chiave del divenire: tutto è fatto di materia, tutto è fatto di potenza, tutto quanto tende a trasformarsi cioè a cambiare forma e diventare da quello che è un'altra cosa in atto. Mentre Parmenide, come vi ricorderete, aveva escluso il divenire, perché l'essere è, il non essere non è; per Aristotele il divenire è possibile, il divenire è il passaggio da una forma di essere a un'altra forma di essere, è un passaggio dalla potenza all'atto.
Aristotele edifica la concezione della realtà che è passata nel Medioevo e che troviamo tutt’oggi nei libri di scuola elementare: esistono i regni della natura, esiste una sorta di piramide, la realtà è una gerarchia ordinata: alla base di tutto c'è la materia pura, priva di forma; al vertice c'è Dio, come atto puro, come forma pienamente compiuta; ai livelli intermedi ci sono: il regno minerale, vegetale, animale, umano, ci sono tutta una serie di sinoli che hanno sviluppato determinate potenzialità e sono attualmente delle cose che tendono a diventare altro.
Quindi c’è una base, che la materia pura e c’è un vertice, che è Dio, atto puro; la materia pura è un'astrazione dice Aristotele, noi non abbiamo mai a che fare con la materia pura, anche l'argilla, la sabbia, la materia apparentemente informe ha comunque una forma.
Al vertice c'è Dio, Dio è atto puro e forma pura; perché Dio deve essere definito in questo modo? perché se Dio non fosse atto puro, se non avesse sviluppato tutto, se avesse una potenza sarebbe imperfetto; cioè avere una potenza, una possibilità, significa non essere già attualmente qualche cosa. Il bambino è potenzialmente adulto, ma vuol dire che manca di qualche cosa, manca della maturità dell'adulto, cioè la potenza implica sempre una mancanza; allora Dio se deve essere concepito come la perfezione, non può avere qualche cosa in potenza. Ma la potenza è materia e quindi in Dio non c'è materia, Dio non è materiale è forma pura, è atto puro. Se in Dio non c'è la potenza, non c'è neppure il movimento perché il movimento, abbiamo detto, è il passaggio dalla potenza all'atto; in Dio non c’è nessun passaggio dalla potenza all'atto, perchè è sviluppato tutto in atto. Dio a questo punto è immobile, Dio è un motore immobile e attira verso di sé il mondo, ma non si muove verso il mondo. Il Dio aristotelico, anche se Aristotele trapassa in San Tommaso e con una rilettura cristiana diventa una base del pensiero cristiano, è molto diverso dal Dio cristiano perché quest’ultimo è provvidenziale, si preoccupa della salvezza dell’uomo; invece il Dio di Aristotele è un motore immobile, quindi non agisce, non si muove verso il mondo è come una calamita che attira il mondo verso di sé e pensa.
Dio è atto puro, forma pura, motore immobile e pensiero e che cosa potrà pensare? pensa la perfezione, non può pensare qualche cosa di potenziale, pensa alle forme pienamente in atto cioè è pensiero di pensiero.
Abbiamo detto che la realtà ha alla sua base la materia pura, poi ci sono gli esseri intermedi e al vertice Dio che è forma pura. Abbiamo detto che all'interno di questa piramide c'è movimento, c'è un dinamismo. Quello che rende Aristotele il filosofo greco che si pone al culmine dell'età classica è il fatto che questa struttura piramidale, con i suoi movimenti interni, è perfettamente rispecchiata dal pensiero umano: cioè la struttura sia fisica sia metafisica della realtà è rispecchiata dal pensiero umano, cioè dalla logica.
Introduciamo dunque due parole problematiche ossia, metafisica e logica; problematiche proprio nel senso della genesi della parola: metafisica è un termine che viene dall’ ordinamento filologico ad opera di Andronico di Rodi nel I secolo a.C. dei testi di Aristotele. Andronico, nel riordinare i libri in cui Aristotele parla di filosofia prima, li sistema dopo quelli in cui affronta la realtà fisica; ma per una felice coincidenza, il termine metafisica è un nome felice perché viene dal greco metà tà physikà che significa quello che sta oltre la fisica, oltre la natura e quindi la metafisica è lo studio delle strutture e della realtà che stanno oltre il mondo visibile, oltre la natura.
Anche la parola logica non è un termine aristotelico, esso è stato coniato dalla scolastica medievale per indicare quelle opere in cui Aristotele si occupa di analitica e analisi. Tali opere sono state tutte unificate con il titolo di Organon, cioè strumento: in quanto la logica rappresenta il modo di procedere, lo strumento appunto, della mente umana.
Abbiamo detto che la realtà ha una struttura piramidale con movimenti interni e secondo Aristotele la logica dell'uomo riesce a cogliere questi movimenti e riprodurre la struttura della realtà. Il mondo della metafisica è perfettamente rispecchiato nel mondo della logica umana: l'uomo ha un intelletto potente che riesce a conoscere la natura, la physis, e anche quello che sta oltre la natura, metà tà physikà, la metafisica appunto.
Le opere di logica Aristotele, raccolte nell’Organon, partono prima di tutto dall’analisi dei termini singoli: come nella realtà ci sono prima di tutto gli individui, così nella logica ci sono prima di tutto i termini singoli. I termini singoli però non sono tutti equivalenti si distinguono fra di loro per comprensione ed estensione; questa distinzione crea una gerarchia delle parole, così come c'è una gerarchia, una piramide delle cose. Che cosa significa? un termine ha una certa comprensione, cioè comprende determinate note caratteristiche; e ha una certa estensione, cioè si può estendere a un certo numero di cose. Facciamo degli esempi: prendiamo il termine parallelogramma, il parallelogramma ha una certa comprensione, cioè comprende determinate caratteristiche, comprende per esempio due figure geometriche che hanno due lati paralleli e uguali a due a due. Nel termine di parallelogramma che comprende queste note caratteristiche, c'è una certa estensione, cioè si può estendere ai rettangoli, ai rombi, ai quadrati. Il termine quadrilatero è un termine più estensivo di parallelogramma però comprende meno note caratteristiche, cioè per esempio quadrilatero può essere pure un trapezio. Allora parallelogramma è un termine che ha una certa comprensione, una certa serie di note caratteristiche, ma una minore estensione; invece quadrilatero ha una minore comprensione, perché non comprende dei lati paralleli, però ha una maggiore estensione perché per esempio, il trapezio rientra nei quadrilateri.
Il termine animale per esempio ha estensione notevole, perché può riguardare l'essere umano, il volatile, il rettile; il termine uomo invece ha una comprensione maggiore, cioè comprende molte più note caratteristiche, ma si estende a meno esseri.
Quale sarà il termine che ha la massima comprensione e la minima estensione? (così vediamo il parallelo tra logica e la realtà) il termine che ha la massima comprensione, il massimo numero di note caratteristiche e la minore estensione possibile è l'individuo; cioè il termine Socrate ha comprensione enorme: comprende quanti capelli ha in testa Socrate, quante cose ha visto, quante parole ha detto, quante azioni ha compiuto, quante esperienze ha fatto, eccetera eccetera; quindi comprende moltissime note caratteristiche, però si estende solamente a una persona cioè a Socrate stesso; quindi alla massima comprensione corrisponde la minima estensione.
Quindi anche dal punto di vista logico alla base di tutto ci saranno gli individui, cioè i soggetti. I soggetti potranno essere solo soggetti delle proposizione non potranno essere predicati: cioè se prendo la sostanza, l'individuo, Socrate, io posso dire che Socrate è buono, è cattivo, è greco, posso dire tantissime cose di Socrate; di questo soggetto predicare innumerevoli predicati ma non lo posso usare come predicato: cioè non posso dire questo tavolo o un'altra cosa è Socrate. Dunque anche dal punto di vista logico si organizza una gerarchia: l'individuo è il fondamento di tutto poi per astrazione si arriva a dieci termini generalissimi (la sostanza, la qualità, la quantità, la relazione, il dove, il quando, il giacere, l'avere, l'agire, il subire) cioè le dieci categorie generalissime ed ogni elemento della realtà può essere fatto rientrare in una di queste categorie. Quindi, ripetiamo, nella logica c’è un rispecchiamento della struttura piramidale della realtà.
Secondo Aristotele conosciamo quando connettiamo un termine con un altro, cioè quando formuliamo un giudizio: per esempio Socrate è uomo, Socrate è greco, il tavolo è rosso. Più giudizi messi assieme formano l'embrione del ragionamento: cioè il sillogismo.
Aristotele ha inventato la teoria del sillogismo che dà luogo a tutta una serie di varianti: quello più semplice e notorio è quello che ha come modello l'affermazione: l'uomo è mortale- Socrate è uomo- dunque Socrate è mortale.
Cioè il sillogismo è un ragionamento che nasce da due premesse: una maggiore -l'uomo è mortale- , una minore - Socrate è uomo- e facendo scomparire il termine medio -uomo- si giunge alla conclusione - Socrate è mortale.
Qual è l'importanza del sillogismo? è che permette di avere delle conoscenze certe su qualche cosa che non si verifica empiricamente.
Aristotele è un grande empirista, ha fondato tutte le scienze e e ha improntate per 1500-1600 addirittura 1800 anni, ma allo stesso tempo ha anche creato il meccanismo deduttivo del sillogismo: con un'operazione mentale, come quello che abbiamo appena enunciato, posso sapere che Socrate morirà, ma io non assisterò alla morte di Socrate. Allora si può essere assolutamente certi di un’affermazione che non si potrà verificare empiricamente, dunque si può allargare l'orizzonte delle conoscenze sicure senza doverle sottoporre a verifica sensibile, a verifica empirica.
Quindi il sillogismo è un ferreo strumento deduttivo per estendere le conoscenze però a questo punto nasce un problema: le conclusioni del sillogismo sono vere se le premesse sono valide, ma io come faccio a dire che l'uomo è mortale? l'ho verificato per via induttiva; quindi il metodo di Aristotele intreccia insieme induzione e deduzione. Il sillogismo è deduttivo ma le premesse generali del sillogismo sono raggiunte per via induttiva.
Aristotele comprende però che l'induzione è un fatto problematico, perché in filosofia, in scienza miro ad avere delle conoscenze universali, sicure, valide sempre; e come faccio a raggiungere conoscenze universali sulla base di accumuli di conoscenze particolari? tendenzialmente dovrei impiegare un tempo infinito e non si può mai essere sicuri di aver analizzato tutti i casi particolari, per fare un esempio: come faccio a dire che il mare è salato per via induttiva? teoricamente dovrei assaggiare tutti i sorsi di mare possibili il che è assurdo; allora Aristotele sostiene che ci sono dei casi in cui vale l'intuizione intellettuale il nous, come lo chiama lui. La parola nous, intelletto, è alla base del termine annusare, cioè il cane annusa una cosa, la conosce per meccanismo intuitivo immediato, noi pure annusiamo, cioè abbiamo delle intuizioni di carattere immediato. C’è una base di carattere intuitivo che sembrerebbe pre-logica ma non lo è , perché per Aristotele il nous è una facoltà umana.
Grazie ad all’intuizione possiamo cogliere i principi della logica, principi del ragionamento che sono tutt’oggi a fondamento del linguaggio quotidiano e del linguaggio scientifico. Il primo fra tutti è il principio di identità (A è uguale ad A) che può sembrare una banalità, ma se non si considera che ogni cosa è sempre uguale a se stessa, non posso neppure di nominarla, quindi non posso parlare, né iniziare un ragionamento.
Poi abbiamo il principio di non contraddizione che come enunciato nella Metafisica afferma che è impossibile che la stessa cosa sia e non sia - non(A= non A)- cioè una proposizione non può essere contemporaneamente vera e falsa. Infine il principio del terzo escluso: è necessario affermare o negare di un medesimo soggetto uno solo dei contraddittori, qualunque esso sia: cioè una proposizione può essere o vera o falsa, terzo non dato- (una cosa è A o non A non c’è altra possibilità).
Per Aristotele ci sono le scienze teoretiche: la fisica, la metafisica, coadiuvate dalla logica che si fondano su verità necessarie; ed esistono anche le scienze pratiche, fondate su verità contingenti cioè che possono essere e non essere, e che riguardano il mondo umano della politica ed etica. L’etica è una parte della politica, perché ci permette la convivenza, lo stare insieme ed agire bene.
Per Aristotele la scienza pratica del bene, l'etica, dà luogo a due tipi di virtù: le virtù etiche e le virtù dianoetiche. L'anima è un accumulo di tre anime sopraggiunte l'una sull'altra: c'è l'anima vegetativa in comune con i vegetali, l'anima sensitiva in comune con gli animali e l'anima intellettiva propria dell’uomo. L’anima intellettiva è quella che deve guidare, come l'auriga della biga alata di Platone, le anime inferiori: cioè gli istinti animali, le tendenze abitudinarie e i meccanismi vegetali. L’anima intellettiva nel guidare le anime inferiori dà luogo a un insegnamento solo: cioè seguire la via intermedia, evitare l'eccesso e difetto; quello che Cicerone ha tradotto magistralmente con l'espressione in medio stat virtus. L'anima intellettiva guiderà le nostre parti animali, quindi il nostro comportamento, a una situazione sempre intermedia cioè ad avere misura, ad avere le capacità di non sconfinare nè nell’eccesso nè nel difetto. Colui che si getta nel pericolo senza pensarci è temerario, colui che si ritrae dal pericolo senza avere neppure saputo di che si tratta è vigliacco e vile; il coraggioso è colui che sta nel mezzo: cioè non è né temerario né appunto un vile, dunque non esagera né per eccesso e per difetto e così via.
Per Aristotele queste virtù quotidiane, che lui sottolinea sono frutto di una specie di sapere che si acquisisce con l'educazione dai genitori, dai maestri, dal costume, devono diventare un'abitudine; è molto interessante a questo proposito che Aristotele ha inventato anche il proverbio una rondine non fa primavera: cioè non è che l'uomo buono è quello che fa una sola azione virtuosa ; l'uomo buono è quello che si comporta ogni giorno bene cioè che ha un'abitudine a fare il bene quindi una rondine, un atto buono, non fa un uomo buono, ma bisogna acquistare l'abito alla medietà, alle virtù etiche.
Oltre a queste virtù etiche ci sono delle virtù intellettuali, cioè le virtù dianoetiche che sono proprie dell’anima intellettiva. Aristotele, che è il padre della logica e del rigore dei principi logici, ha fatto anche appello alla sfera dell'intuizione, dell’annusare, del sapersi orientare: sostiene che la virtù intellettiva suprema è la phronesis che i latini hanno tradotto con prudentia cioè la saggezza pratica. Nella vita umana non si danno casi esemplari, si danno sempre situazioni intermedie, situazioni non precise, caotiche, momenti di confusione; l'uomo buono è colui che usa la phronesis cioè ha la capacità di orientarsi, che ha una saggezza pratica, una prudenza nel senso latino di giurisprudenza, cioè la capacità di applicare le leggi al caso specifico e dunque ha anche una capacità intuitiva cioè un nous .
Aristotele sostiene che ci siano anche le scienze poietiche da poièo, che significa fare da cui viene la parola poesia, che è una creazione.
Ci sono le scienze che presiedono a saper fare le opere d'arte, Aristotele scrive una poetica che però è un'opera incompiuta, in cui cerca di individuare le leggi della creazione artistica. Platone aveva sostenuto che l'arte è una fuga dalla perfezione, perché il mondo è una copia del mondo delle idee e l'arte è imitazione della realtà, quindi è copia di una copia. Schematizzando si può dire che Platone condanna l'arte, perché l'arte allontana dal mondo delle idee, è copia di una copia. Invece per Aristotele l'arte ha una sua validità perché non è un’imitazione delle cose ma una ricerca dell'essenza delle cose: l'artista cerca non di raffigurare un uomo, che poi è la copia di un uomo reale, ma cerca di raffigurare l’essenza dell’uomo, cioè coglie l'universale e non fa una copia di un particolare.
Soprattutto Aristotele elabora una teoria della tragedia: la tragedia è l'arte suprema; essa deve avere unità, deve essere compatta, quindi non deve avere dismisura. Aristotele inventa le tre famose unità: di tempo, di luogo, e di azione. La tragedia deve comprendere un solo fatto: unità di azione; si deve svolgere in 24 ore: unità di tempo; e deve svolgersi in un solo luogo, cioè non deve frastornare il pubblico con cambiamenti di scenario; la tragedia deve trattare una cosa ben circoscritta.
La tragedia ha una funzione catartica: catarsi significa purificazione; la tragedia, in particolare, ha una funzione di purificare dalle passioni. Noi siamo travolti dalle passioni, siamo passivi perché le passioni ci rendono passivi, non le riusciamo a dominare; ma invece vedendole a distanza, sulla scena, oggettivate in personaggi, vedendo le conseguenze a cui portano l'invidia, la gelosia, lo spirito di vendetta, la cattiveria, noi le contempliamo a distanza e ce ne purifichiamo. L'arte quindi ha una funzione catartica e perciò in qualche modo anche una funzione educatrice.