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umanesimo:umanesimo_e_rinascimento

DALLA FILOSOFIA GRECA ALL'UMANESIMO

EREDITÀ DELLA FILOSOFIA GRECA

Il grande apporto della filosofia greca alla civiltà si può condensare nel concetto di logos, che segnala l’omogeneità tra la razionalità implicita nella realtà, nelle cose, nella natura e la razionalità propria della mente, dell’intelletto dell’uomo. Quindi tra l’oggetto e il soggetto, tra la natura e la mente umana ci sono elementi in comune. La razionalità presente nella natura si rispecchia nella razionalità dell’uomo; di conseguenza l’uomo può conoscere la natura e, con la tecnica, può dominarla. Questo è il grande patrimonio che la Grecia ci ha lasciato e senza il quale la civiltà europea occidentale e la civiltà mondiale stessa non sarebbero quali sono.

L'ETÀ MODERNA

Qual è il nuovo problema che ci porta l’età moderna? Si può dire che sia quello che riguarda l’altra metà dell’uomo. Nella storia della filosofia l’uomo tradizionalmente è diviso tra conoscenza ed azione, teoria e prassi. La Grecia ha dato un contributo decisivo alla teoria; la parola “teoria” è appunto di origine greca. I Greci ci hanno insegnato che la mente è perfettamente in grado di capire la realtà, che è logica, razionale. I Greci quindi ci hanno dato il contributo della teoria. Per i piú grandi filosofi greci l’ideale supremo era un ideale di carattere conoscitivo. Il motto di Socrate era: “Conosci te stesso”. Per Platone l’ideale cui l’uomo deve tendere è la contemplazione delle idee. In Aristotele non soltanto l’uomo deve aspirare al conoscere come supremo ideale, ma Dio stesso è pensiero di pensiero. Nei tre filosofi classici greci il fine dell’uomo in un modo o nell’altro è il conoscere.

Che cosa succede per cui si apre il problema della pratica, dell’agire dell’uomo, che viene messo a punto nell’età moderna?

ROMA E IL CRISTIANESIMO

Tra i Greci ed i moderni ci sono Roma e il Cristianesimo. Il grande patrimonio che Roma ha lasciato all’umanità è il diritto. Nessun altro popolo è stato capace di coordinare i rapporti pratici tra gli uomini come il popolo romano. Roma ha creato una grandiosa civiltà del diritto: tutte le azioni umane, tutti i rapporti umani, sono regolati da leggi che hanno una loro coerenza, hanno un loro fondamento ragionevole. Questo patrimonio ci è stato tramandato grazie al grande lavoro dei giuristi che hanno messo insieme l’enorme raccolta del Corpus juris civilis promosso da Giustiniano (482-565). Dai Romani ci è venuto dunque l’ordinamento dei rapporti pratici.

Il problema dell’azione viene posto dal Cristianesimo. Il virtuoso greco aveva come compito quello di contemplare, invece il Cristianesimo introduce la carità, la charitas, il doversi prodigare per il prossimo, il doversi guadagnare la salvezza eterna e per guadagnarsi la salvezza bisogna agire, bisogna compiere opere buone. Per il Cristianesimo è fondamentale il problema della salvezza, per salvarci dobbiamo agire bene. Viene investito in maniera centrale il problema dell’operare, della pratica, dell’agire virtuoso.

L’influenza del Cristianesimo nell’accentuazione dell’importanza della pratica, recepita dall’Umanesimo italiano, è riassunta da Eugenio Garin con una espressione molto incisiva. Eugenio Garin, nel suo celebre libro L’Umanesimo italiano, dice che fu Assisi a vincere nella lotta tra le varie correnti medievali e a dare l’impulso all’Umanesimo italiano. Che cosa vuol dire che fu Assisi a vincere? La spiritualità francescana per la quale non c’è un netto distacco tra l’uomo e Dio (basti pensare al Cantico delle creature: tutta la natura è animata dalla presenza della divinità, siamo affratellati a tutte le cose), dà una spinta verso una religiosità di tipo immanentistico, per la quale non bisogna rinnegare la natura.

La cultura umanistica alla base del Rinascimento implica una forte rivendicazione della bellezza, dell’armonia della natura, che è parte dell’uomo. Questo non deve allontanarsi dalla natura e dalla corporeità per realizzare se stesso, anzi si può realizzare meglio proprio tenendo presente di essere anche corpo: è anche materia e non solo anima. Inoltre nella filosofia francescana si presenta il concetto di volontà, estraneo al mondo greco, un concetto nuovo, che si ritrova nell’Umanesimo civile. Il problema della pratica percorre tutta la civiltà moderna. Consideriamo ora questo primo deciso spostamento sul terreno dell’azione da parte dell’Umanesimo.

L'UMANESIMO

La parola “Umanesimo” ha avuto una grande fortuna. Essa indica un fenomeno storico circoscritto, preciso, ma ha anche un significato piú ampio, si parla infatti di “Umanesimo perenne”. C’è un Umanesimo classico, senza aggettivi, che ha le sue radici in Terenzio, il commediografo romano, il quale, in una formula ripresa da Cicerone, esprime l’essenza dell’Umanesimo perenne: Homo sum, humani nihil a me alienum puto, “sono uomo e non considero niente di umano estraneo a me”, faccio parte della stirpe umana, tutto quello che è umano mi appartiene. A partire da questa celebre affermazione sono state elaborate varie posizioni filosofiche, visioni del mondo che mettono l’uomo al centro della realtà e che si possono in qualche modo fregiare del titolo di umanista. Per esempio in tempi recenti si è parlato di Umanesimo liberale, di Umanesimo socialista, e Jean Paul Sartre ha parlato di un Umanesimo esistenziale. Si usa quindi la parola Umanesimo in un senso che va al di là dei suoi confini storici.

Proviamo invece a concentrarci su quello che è l’Umanesimo storicamente considerato. Anche qui nascono problemi. In proposito è opportuno considerare le posizioni di due grandi interpreti dell’Umanesimo, *Paul Oskar Kristeller* ed *Eugenio Garin*.

L’Umanesimo storicamente inteso è un fenomeno che inizia verso la fine del ‘300 e prosegue per tutto il ‘400, con una linea di separazione precisa: intorno al 1450 finisce l’Umanesimo civile, quello di Coluccio Salutati, di Leonardo Bruni, di Matteo Palmieri, l’Umanesimo impegnato nella vita civile fiorentina, e si sviluppa un Umanesimo di corte, che si impregna fortemente di teorie platoniche e ha come massimi rappresentanti Marsilio Ficino e Pico della Mirandola.

Possiamo dire che l’Umanesimo è un fenomeno essenzialmente quattrocentesco, che nella prima metà del secolo, fino al 1450, è Umanesimo civile, legato alla Libertas florentina. Dopo il 1450 nasce un Umanesimo legato soprattutto alla corte dei Medici, impregnato di neoplatonismo.

Questa svolta si spiega anche col fatto che nel 1453 Costantinopoli cade in mano ai Turchi e molti dotti di lingua greca emigrano da Costantinopoli, dalle terre bizantine, in Italia e insegnano il greco agli umanisti italiani. Nel 1468 Marsilio Ficino completa la traduzione dei Dialoghi di Platone, poi volge in latino anche l’opera di Plotino e di altri neoplatonici.

Alla fine del ‘400 l’Umanesimo innesca la civiltà rinascimentale. Qual è la differenza tra Umanesimo e Rinascimento? L’Umanesimo è la ripresa della civiltà classica sulla base delle humanae litterae. Le humanae litterae non sono altro che le opere della letteratura latina al cui studio si dedicano gli uomini di cultura del ‘400, mentre il Medioevo si era concentrato sulle sacrae litterae, sulle Sacre Scritture. L’Umanesimo è quindi un fenomeno di letterati, di persone colte e di filosofi, invece il Rinascimento è la ripresa di tutta la civiltà nel suo complesso, ripresa che è stata messa in moto dal ritorno al momento di maggiore fulgore dell’uomo, al momento della civiltà greco-latina. Dopo la spinta dell’Umanesimo, dopo il ritorno agli antichi indotto dall’Umanesimo, il Rinascimento sboccia come civiltà complessiva, di cui fanno parte anche Leonardo, Michelangelo, Brunelleschi, Ariosto, Machiavelli, pittori, scultori, architetti, poeti, scienziati: non si tratta di un fenomeno letterario o filosofico, ma di un fenomeno di civiltà complessiva. Riepiloghiamo ancora. Il '400, secolo dell’Umanesimo, come fenomeno di ripresa delle lettere latine e in parte greche, che ispirano un ritorno all’antico. Questo ritorno all’antico fiorisce pienamente nel ‘500 come Rinascimento, appunto come nuova nascita. L’umanità sbocciata in Atene e Roma, torna, dopo i secoli bui del Medioevo, a nascere di nuovo.

A questo punto è opportuno affrontare le grandi discussioni su qual è l’essenza dell’Umanesimo italiano del ‘400, attraverso le posizioni di Paul Oskar Kristeller ed Eugenio Garin. Kristeller sostiene che bisogna vedere l’Umanesimo come un fatto circoscritto, tecnico: la ripresa di testi antichi da parte di letterati che si sono poi cimentati a rimetterli filologicamente in ordine. Kristeller sostiene che l’Umanesimo è un fenomeno letterario molto importante, ha dato luogo alla nascita della filologia, ma non ha molto di filosofico. In Il pensiero italiano del Rinascimento egli scrive:

L’Umanesimo fu in fondo un movimento culturale letterario ed erudito […]. Alcuni storici cominciano il Rinascimento col Cinquecento, altri col Quattrocento, altri vanno ancora piú indietro, ed il loro concetto del periodo sarà diverso secondo questi assunti cronologi […]. Io preferisco usare la definizione piú larga dell’Umanesimo e di estenderlo press’a poco dal 1280 al 1600, e di trattare come primo Umanesimo tutto il periodo che va dal tardo Dugento alla fine del Quattrocento.

Non è un caso che Kristeller, che vede l’Umanesimo come un fatto erudito e tecnico, finisca con l’ampliare moltissimo le dimensioni cronologiche dell’Umanesimo, dal 1280 al 1600. Kristeller sostiene che gli umanisti sono coloro che si dedicano allo studio dei testi latini e cercano di ripristinarli nelle loro redazioni originarie. Ma questo aveva cominciato a farlo già Petrarca. Se si riduce l’Umanesimo all’amore per il testo antico - rileva Garin - si può risalire ancora piú indietro, invece l’Umanesimo non è semplicemente lo studio dei classici, ma è uno spirito diverso, è un atteggiamento diverso con cui si leggono i classici. Garin critica la affermazione del grande apologista cristiano Tertulliano secondo cui il Cristianesimo ha sostituito il portico di Atene con i templi di Gerusalemme. Una visione tradizionale è questa: la cultura greco-latina fu soppiantata dalla cultura cristiana. I portici di Atene, sotto i quali discutevano i filosofi greci, furono dimenticati e gli intellettuali nel Medioevo si rivolsero ai templi di Gerusalemme. Secondo Tertulliano, Gerusalemme ha sostituito Atene, invece Eugenio Garin dimostra che Atene e Roma erano ben presenti in tutto il Medioevo: i classici latini sono stati letti durante tutto il corso del Medioevo. Petrarca pare sia morto con un codice di Virgilio tra le mani. Il Medioevo non ha certo ignorato i classici latini. Scrive Garin:

Se vogliamo far coincidere l’Umanesimo con la lettura dei classici latini, dobbiamo anticiparlo addirittura ancora prima del 1280 e ci facciamo entrare dentro pure tutto il Medioevo.

La posizione di Kristeller:

Il concetto moderno di Umanesimo come lo adoperiamo per il Rinascimento è derivato dal termine “umanista” che ebbe la sua origine nel tardo Quattrocento, e questo termine umanista per conto suo fu derivato dal concetto degli studia humanitatis. Ora quest’ultimo termine risale all’antichità e fu semplicemente ripreso nel Quattrocento con un significato piú preciso. Il ciclo degli studia humanitatis (grammatica, retorica, poesia, storia e filosofia morale) è ben documentato dal Quattrocento in poi, e vi sono testimonianze meno esplicite ma sufficienti per provare che anche il Petrarca, per esempio, fu considerato dai suoi contemporanei come un praticante di queste discipline.

Kristeller

Il concetto moderno di Umanesimo come lo adoperiamo per il Rinascimento è derivato dal termine “umanista” che ebbe la sua origine nel tardo Quattrocento, e questo termine umanista per conto suo fu derivato dal concetto degli studia humanitatis. Ora quest’ultimo termine risale all’antichità e fu semplicemente ripreso nel Quattrocento con un significato piú preciso. Il ciclo degli studia humanitatis (grammatica, retorica, poesia, storia e filosofia morale) è ben documentato dal Quattrocento in poi, e vi sono testimonianze meno esplicite ma sufficienti per provare che anche il Petrarca, per esempio, fu considerato dai suoi contemporanei come un praticante di queste discipline.
Il concetto moderno di Umanesimo come lo adoperiamo per il Rinascimento è derivato dal termine “umanista” che ebbe la sua origine nel tardo Quattrocento, e questo termine umanista per conto suo fu derivato dal concetto degli studia humanitatis. Ora quest’ultimo termine risale all’antichità e fu semplicemente ripreso nel Quattrocento con un significato piú preciso. Il ciclo degli studia humanitatis (grammatica, retorica, poesia, storia e filosofia morale) è ben documentato dal Quattrocento in poi, e vi sono testimonianze meno esplicite ma sufficienti per provare che anche il Petrarca, per esempio, fu considerato dai suoi contemporanei come un praticante di queste discipline.

Ancora da riorganizzare….

Quindi l’Umanesimo come coltivazione degli studia humanitatis che si estende per oltre tre secoli e mezzo. Vediamo invece che cosa sostiene Eugenio Garin. In Educazione umanistica in Italia egli scrive: «Questa fu l’educazione umanistica: non, come a volte si crede, studio grammaticale e retorico fine a se stesso, bensí formazione di una coscienza davvero umana, aperta in ogni direzione, attraverso la consapevolezza storico-critica della tradizione culturale». Vuol dire un fatto molto preciso che riassume felicemente con un’affermazione apparentemente paradossale: la vera filosofia degli umanisti fu la filologia. Kristeller sostiene che gli umanisti sono filologi, Garin rileva che nella filologia, cioè nello studio, nel ripristino dei testi classici, gli umanisti furono filosofi, nel senso che lo sforzo di ripristinare i testi classici nella loro redazione originaria significa un fatto nuovo, implica l’avere senso storico, cosa che era mancata al Medioevo: ripristinare un’identità precisa e mettersi a dialogare con essa creandosi una propria identità. L’espressione piú bella di questa mentalità è testimoniata da Machiavelli nella sua lettera a Francesco Vettori. Confrontandomi con l’altro riesco a costruire una mia identità: la mia personalità diventa tanto piú forte, quanto piú forti sono le personalità degli altri con cui mi confronto. Machiavelli si confronta con Livio e Tacito. Il grande merito dell’Umanesimo è la prospettiva storica: Virgilio, Cicerone, Livio ecc. sono messi a distanza storica ed entrano in dialogo con l’umanista che si confronta con loro, e nel confronto fa crescere la propria personalità. Il Medioevo aveva appiattito tutto. Virgilio, per esempio, veniva letto nel Medioevo, ma era visto come un precursore del Cristianesimo; la pietas di Virgilio veniva interpretata come una virtú precristiana. Il Medioevo aveva assorbito i classici latini nella dimensione cristiana, aveva quindi creato un’identità fittizia e non si era confrontato con i classici. Invece l’Umanesimo crea, dice Garin, la prospettiva storica: il classico è altro da me, lo rispetto perché è un grande interlocutore, ma è appunto interlocutore col quale mi confronto. Si pensi all’arte medievale e a quella rinascimentale. Nell’arte medievale - semplificando - tutte le prospettive sono schiacciate, non c’è il senso della profondità, invece uno dei grandi caratteri dell’architettura e della pittura rinascimentali è proprio il senso della prospettiva: gli oggetti sono in relazione spaziale reciproca e sono in relazione con il soggetto osservante che ha uno spazio profondo davanti a sé; gli oggetti sono distaccati dall’osservatore, dal soggetto. Quello che ha fatto la prospettiva rinascimentale in pittura l’hanno fatto gli umanisti nella cultura: hanno messo i classici a distanza da sé, li hanno collocati nella loro dimensione storica, ma nel fare questo li hanno fatti diventare grandiosi interlocutori di grandi intelletti. Veramente Firenze è diventata una seconda Atene, una seconda Roma. Continuiamo a leggere Garin: «Le litterae sono appunto il mezzo per dilatare la nostra personalità oltre la puntualità di una situazione, per metterla in rapporto con le esperienze esemplari della storia degli uomini. Infatti, e c’è qui un altro errore da correggere, gli autori alla cui scuola si viene mandati non sono solo greci e romani: sono i Padri della Chiesa o i moderni come Dante e Petrarca; sono tutti gli uomini veri». Garin contesta che l’Umanesimo sia nato solo dall’analisi di Cicerone e di Livio, in quanto gli umanisti leggevano e si confrontavano anche con i testi della Patristica oppure con Dante e Petrarca, che erano considerati i nuovi classici. Questo inquadramento di Garin riesce a spiegare meglio la costituzione delle biblioteche degli umanisti. Gli umanisti non leggevano solo Cicerone, ma anche Sant’Agostino e Petrarca, e pertanto nella formazione umanistica rientra tutta una serie di classici cristiani oltre ai classici latini. «Quel che conta è una preparazione morale fatta non di precetti, ma della conquista effettiva di una consapevolezza critica della propria umana condizione», cioè non la precettistica medievale, non l’autorità medievale fondata sulla formula ipse dixit: lo ha detto Aristotele e quindi è vero senza che ci si ragioni sopra. «Quel che conta è l’avvio al colloquio con coloro che espressero tipi perfetti di umanità, con i maestri veri: perché per comprenderli e nel comprenderli, scaturisce in noi quanto c’è di piú alto…». In altri termini, per Garin l’Umanesimo non nasce dai contenuti dei libri antichi, ma dall’atteggiamento con cui gli umanisti leggono i testi. Non contano i testi latini studiati, che erano letti già nel Medioevo, ma conta l’atteggiamento con cui gli umanisti li leggono. Li leggono per porsi come interlocutori dei grandi del passato. «Quel che conta è l’avvio al colloquio con coloro che espressero tipi perfetti di um

umanesimo/umanesimo_e_rinascimento.txt · Ultima modifica: 2024/05/31 07:56 da luca