Francesco Bacone (Francis Bacon) nasce a Londra nel 1561. Il padre è uno stretto collaboratore della regina Elisabetta I così Bacone ha modo di frequentare sin da piccolo gli ambienti politici e di studiare in università prestigiose come quella di Cambridge e di Parigi. Ma è con l’ascesa al trono di Giacomo I Stuart che ottiene i suoi primi veri incarichi politici: diventerà lord guardasigilli, cioè ministro della giustizia del regno d’Inghilterra. Assetato di potere e di denaro, nel 1621 viene accusato di corruzione per aver ricevuto doni in denaro nell’esercizio delle sue funzioni: si riconosce colpevole e viene condannato ad una multa e alla reclusione nella Torre di Londra. Il re decide di perdonare Bacone ed evitargli i castighi ma la sua carriera politica ha termine. Si ritira a vita privata e muore nel 1626.
Bacone è considerato il profeta della tecnica perché fermamente convinto che il sapere scientifico offra agli uomini un enorme potere sul mondo, che essi hanno il dovere di sfruttare. Come sarà anche per Galilei e Cartesio, dunque, Bacone incarna perfettamente lo spirito scientifico del ‘600. In questi filosofi è evidente l’esaltazione della scienza come organo di libertà umana, di emancipazione dai vincoli della natura, ma anche come strumento per porre quest’ultima a servizio delle finalità dell’uomo.
Questa idea della scienza come potenza rappresenta una sorta di anticipazione di quel sostrato culturale a cui appartiene l’uomo occidentale e arrogante che strutta la natura senza scrupoli e non vede se stesso come parte della natura.
Obiettivo della scienza deve essere quindi il dominio dell’uomo sulla natura. Questo potrà avvenire solo grazie a una rivoluzione del sapere che riporti la mente a contatto con le cose. Secondo Bacone infatti la maggior parte delle invenzioni sono state fatte nei tempi antichi, quando gli uomini avevano un contatto diretto con la realtà, non mediato dalla cultura dei libri e dall’autorità delle tradizioni. Pertanto auspica per gli uomini il ripristino del contatto diretto della mente con la realtà se vogliono progredire nella via della verità.
Per recuperare questo contatto, la ricerca scientifica deve applicare il metodo sperimentale a tutti gli ambiti del sapere, sviluppando delle applicazioni tecniche che permettano all’uomo di controllare, prevedere e volgere a suo vantaggio i fenomeni della natura.
Testimonianza di questa concezione è l’opera la Nuova Atlantide, pubblicata postuma, in cui Bacone ricorre allo stratagemma letterario dell’utopia e in cui descrive un’isola sconosciuta come “paradiso della tecnica”, una sorta di grande laboratorio sperimentale in cui la scienza è il principio che governa l’azione politica e tutte le invenzioni vengono usate per aumentare il benessere della comunità.
Ma il progetto più grandioso che Bacone ha in mente è la stesura di un’enciclopedia delle scienze che avrebbe rinnovato completamente la ricerca scientifica. In quest’opera cerca di strutturare il sapere in modo metodico ed enciclopedico appunto, suddividendolo in diverse forme, collegate alle tre facoltà umane di base. La prima facoltà è la memoria, alla base delle discipline storiche. La seconda facoltà è la fantasia che produce i diversi tipi di poesia. La terza facoltà è la ragione. Siamo nei secoli del razionalismo, i pensatori si immolano ad essa. La ragione produce la filosofia. La filosofia per Bacone è scientifica ed essendo figlia della facoltà della ragione, è la disciplina più elevata: contiene in sé la prospettiva scientifica.
Come le altre discipline, anche la filosofia si divide in vari rami: la filosofia prima, che si occupa dei principi primi, degli assiomi comuni a tutte le scienze; la filosofia divina, cioè la teologia; la filosofia naturale che si occupa della natura e della fisica e la filosofia umana che si occupa dei meccanismi dell’anima e del corpo degli uomini.
L’opera tuttavia rimane incompiuta e l’unica parte che Bacone riesce a terminare è il Nuovo Organo, pubblicato nel 1620 e in cui prova a spiegare la logica sottesa al procedimento scientifico.
Nel Nuovo Organo Bacone contrappone la nuova logica del procedimento tecnico scientifico a quella aristotelica: con la vecchia logica si vince l’interlocutore avversario, ma con la nuova logica si vince la natura. La vecchia logica mirava a sistematizzare la scienza, la quale doveva essere solo uno studio disinteressato della natura. Per Bacone invece non si fa scienza per la bellezza, la scienza non è un’arte, una speculazione fine a se stessa, ma è utile.
La scienza, come si accennava, dev’essere posta interamente al servizio dell’essere umano, e l’essere umano diventare ministro e interprete della natura, colui che la governa. Con l’esperienza e la riflessione l’uomo comprende l’ordine naturale, le leggi della natura, e grazie a questa conoscenza estende il proprio potere su tutto il mondo: “sapere è potere”.
Ma l’intelligenza umana ha bisogno di strumenti efficaci per penetrare la natura e questi strumenti sono gli esperimenti, pensati e adattati allo scopo che si deve raggiungere.
Infatti, gli organi di senso da soli non bastano per una reale conoscenza: essi registrano passivamente ciò che la natura comunica, mentre nell’esperimento è lo scienziato ad interrogare attivamente la natura, in modo tale che essa riveli i suoi misteri. Gli esperimenti quindi sono i veri interpreti della natura. Ma perché la mente non faccia errori deve liberarsi dai pregiudizi dovuti all’anticipazione.
L’anticipazione della natura è un meccanismo spontaneo della mente umana, una generalizzazione non fondata. Essa prescinde dall’esperimento e consiste in un passaggio teorico immediato dall’esperienza dei casi particolari alle regole generali. Questo procedimento è spesso alla base della tradizione, del sentito dire, delle opinioni tramandate acriticamente.
L’interpretazione della natura invece è il procedimento corretto, che si basa sul metodo sperimentale. Si addentra con ordine e rigore e con gli strumenti giusti nell’esperienza e scende gradualmente dai casi particolari alle leggi più generali, al fine di comprovare delle ipotesi. Con l’interpretazione si passa dagli eventi particolari ad assiomi gradualmente più generali, grazie agli esperimenti. Un esempio di ipotesi generale che non supera le prove sperimentali e dunque non può diventare un assioma è l’omeopatia, perché gli studi scientifici non hanno mai comprovato l’efficacia dei metodi omeopatici. Essa pertanto non può essere considerata una scienza.
La via dell’anticipazione è inutile e sterile: gli assiomi che stabilisce non servono ad inventare nulla di utile. La via dell’interpretazione, cioè quella dell’approccio laboratoriale sperimentale, è utile e feconda: gli assiomi che deduce dai casi particolari portano a nuove conoscenze, applicabili e produttive.
Per delineare la nuova scienza dell’interpretazione, Bacone deve identificare ed eliminare le “anticipazioni” della mente. A questo obiettivo è dedicato il Nuovo Organo.
Per indicare le anticipazioni della mente, Bacone usa il termine idòla, termine che nella filosofia antica indicava le immagini degli oggetti sensibili che colpiscono gli organi di senso. Le anticipazioni sono infatti dei “simulacri” della realtà, dei pre-giudizi che anticipano l’esperienza, quindi degli ostacoli alla conoscenza.
Bacone ne distingue quattro tipi, in base alla loro origine.
Gli idòla tribus o “idoli della tribù”, sono quei pregiudizi che dipendono dalla natura dell’intelletto umano (della tribù o famiglia umana) e dalla limitatezza dei nostri sensi ai quali sfuggono le più profonde forze della natura. Essi, pertanto, sono inclinazioni naturali comuni a tutti gli esseri umani. Alcuni esempi sono la tendenza a intravedere nel mondo un’armonia e un ordine maggiori rispetto a quelli realmente esistenti. Essendo i nostri sensi insufficienti, non facciamo mai esperienza della natura nella sua totalità, ma solo di singoli eventi: l’orizzonte, un certo suono, una pallina che rotola, certe caratteristiche fisiche, alto, basso, caldo, freddo ecc. Eppure il nostro intelletto “anticipa” un giudizio universale, globale.
Altri esempi sono la disposizione a dare più importanza a ciò che colpisce da vicino la fantasia piuttosto che a ciò che è nascosto e lontano, a negare l’esistenza di ciò che la mente umana non riesce a spiegare nell’illusione che essa non abbia limiti ecc.
Gli idòla specus o “idoli della spelonca” dipendono dalla mente, dal corpo e dalla personalità dei singoli individui, e pertanto sono legati all’educazione ricevuta, alle abitudini acquisite nel tempo, ai casi fortuiti e alle esperienze vissute da ciascuno. Ad esempio, se all’esperienza x è sempre seguita l’esperienza y tenderò a credere che anche stavolta sarà così. Queste idee, assorbite nel tempo, le usiamo per giudicare le cose che avvengono e per anticipare le cose che avverranno.
Nel nostro approcciarci alla conoscenza della natura, ognuno di noi mette in campo le sue propensioni per il vecchio o per il nuovo, per ciò che è semplice o per ciò che è complesso, per le somiglianze o per le differenze ecc. Come se ogni soggetto avesse dentro di se una spelonca, una caverna che distorce la luce proveniente dal mondo esterno.
Bacone porta l’esempio di Aristotele che ha letto la fisica con le lenti della logica da lui inventata, rendendola sterile. Lo stesso afferma di Gilbert, medico e scienziato inglese, che eresse un’intera filosofia sulle sue scoperte nel campo del magnetismo. Ma possiamo pensare anche alla cultura popolare, alle superstizioni, alla falsa medicina o semplicemente alla nostra tendenza a collegare eventi che si sono sempre presentati in associazione in passato.
Gli idola fori o “idoli della piazza”, luogo di commerci e relazioni, dipendono dal linguaggio, cioè dalle convenzioni linguistiche necessarie per consentire la comunicazione tra esseri umani. Bacone osserva che gli uomini credono di dominare il linguaggio imponendo le loro regole ma talvolta sono le parole a dominarli.
Alcune parole infatti, col tempo, acquistano un significato indipendente e lontano da quello originario e questo genera equivoci e incomprensioni. Questi pregiudizi dipendono dall’uso di termini che designano cose inesistenti (ad esempio “fortuna” o “primo mobile”, termini originati da false teorie) o dall’uso di termini che designano cose esistenti ma definite in modo confuso e vago (ad esempio “umido”, “generare”, “corrompere”, “leggero”, “denso”, “grave” ecc.), che non hanno una precisa aderenza alla realtà e ognuno le usa a modo suo. Le lingue stesse, poi, non sono neutre, ogni lingua implica un’interpretazione della realtà e quelle parole portano con sé concetti e visioni del mondo.
Con questi concetti relativi e queste parole imprecise non costruiamo conoscenze ma approssimazioni e produciamo pregiudizi linguistici.
Gli idòla theatri o “idoli del teatro” derivano da dottrine erronee o dimostrazioni fallaci, diffuse da grandi personalità che si sono imposte nel tempo. Si tratta delle grandi narrazioni, le filosofie e le religioni, elaborate nella storia che influenzano la nostra visione del mondo. Ad esempio l’ideologia platonica, cristiana, ebraica, aristotelica… sono delle lenti attraverso cui guardiamo il mondo. Bacone li chiama così perché paragona questi sistemi filosofici a vere e proprie favole o rappresentazioni teatrali, per tanto fittizie.
Classifica queste false teorie in tre categorie: la filosofia sofistica, di cui il maggior esempio è il sistema di Aristotele che cercò di adattare il mondo naturale a categorie logiche create apriori, facendo derivare tutte le sue letture della realtà da definizioni logico-verbali e senza cercare la vera natura delle cose; la filosofia empirica ad esempio l’alchimia, la magia o il pensiero di Gilbert che pretendono di spiegare la natura mediante pochi e ristretti elementi e reazioni chimiche; la filosofia superstiziosa che mescola la razionalità alla teologia, come accade in Pitagora o in Platone, ed è la categoria più pericolosa. Bacone, infatti, definisce Platone un cavillatore pieno di sé, che ha duplicato il mondo attraverso un’astrazione, nulla di scientifico.
Una delle principali cause per cui gli uomini non riescono a liberarsi da questi pregiudizi è l’atteggiamento reverenziale che si ha nei confronti della sapienza antica. Ma dovrebbe essere il contrario: è nella nostra epoca che la conoscenza è più vasta e più certa rispetto al passato, poiché raccoglie tutti gli esperimenti e le osservazioni arricchiti e perfezionati nel tempo. Noi siamo nani sulle spalle di giganti e per questo riusciamo a vedere più lontano di loro: una persona qualunque che vive nostro tempo può avere conoscenze molto più solide di un’enorme autorità del passato. Pertanto, la verità è “figlia del tempo”, non dell’autorità, afferma Bacone.
L’approccio alla conoscenza della natura viene esemplificato da Bacone col ricorso a un’efficace metafora: da una parte ci sono i ragni, cioè i “razionalisti”, coloro che pretendono di trarre il sapere dalla stessa mente umana, come i ragni ricavano da se stessi la loro tela, e procedono per via deduttiva, usando solo l’intelletto. Dall’altra parte ci sono le formiche, cioè gli “empirici”, coloro che si limitano ad accumulare dati ed esperienze senza ordinarli e interpretarli adeguatamente e usano un metodo induttivo ingenuo, che non raggiunge risultati accettabili e universalmente validi. Tanto l’approccio dei ragni, quanto quello delle formiche sono inadeguati, bisogna invece prendere a modello le api, che raccolgono sì, materiale esterno, il polline, ma lo rielaborano come cera o miele: il metodo giusto è dunque quello dell’empirismo sperimentale, quello cioè di chi raccoglie i dati sensibili dal mondo esterno ma poi li ordina in modo da formulare ipotesi sulle loro cause e controllarle sperimentalmente.
Infatti, per Bacone la ricerca scientifica non può fondarsi né soltanto sull’intelletto, che produrrebbe nozioni arbitrarie e infeconde, né soltanto sui sensi, che darebbero indicazioni disordinate e inconcludenti. La scienza vera e feconda può nascere solo da una collaborazione tra esperienza sensibile e intelletto, tra osservazione e ragionamento. Il procedimento che meglio rispecchia questa collaborazione è l’induzione. Un’induzione scientifica si fonda sull’osservazione dei casi particolari, sulla scelta e la progressiva eliminazione di alcuni di essi grazie all’esperimento. Si tratta di un processo senza salti e per gradi, che risale dai fatti particolari ai principi via via più generali. Soltanto in questo modo si arriva a determinare la vera natura di un fenomeno.
Nello specifico, il metodo sperimentale si compone di diverse fasi. Innanzitutto lo scienziato deve procedere alla raccolta e alla descrizione dei fatti particolari. Questa fase è definita da Bacone “storia naturale e sperimentale”, perché assomiglia alla raccolta di dati in cui è impegnato lo storico, che però guarda agli eventi del passato anziché a quelli della natura. I dati vanno raccolti in modo empirico, direttamente in natura, ad esempio, si osserveranno attentamente i mammiferi, i pianeti, i fiori, i corpi che si muovono nel vuoto ecc.
Questa raccolta però non può avvenire in modo casuale, ma i fenomeni osservati devono essere ordinati e classificati. Questo è lo scopo dell’uso delle tavole, che sono dei cataloghi di tutti i casi che sembrano riferirsi allo stesso fenomeno e si dividono in diverse categorie.
-Le tavole della presenza raccolgono i casi in cui un certo fenomeno (ad esempio il calore) si presenta (ad esempio le fiamme, i raggi solari, i fulmini).
-Le tavole dell’assenza raccolgono i casi in cui quel fenomeno non si presenta, pur verificandosi in condizioni simili a quelle notate nelle prime tavole.
-Le tavole dei gradi o comparative raccolgono i casi in cui il fenomeno si presenta in diversi gradi di intensità.
Nelo studio degli insetti, ad esempio, essi vengono catalogati a seconda di presenza o assenza di antenne, di ali, alla gradazione nella grandezza, nel colore ecc.
Comparando queste tavole si avvia una prima fase negativa, che consiste nell’escludere quelle cause che risultano incompatibili col fenomeno in questione.
Dopodiché si procede alla “prima vendemmia”, cioè alla formulazione di una prima ipotesi sulla natura del fenomeno, ad esempio, tutti gli insetti con queste caratteristiche possono vivere in acqua ecc.
Questa ipotesi verrà poi messa alla prova mediante ripetuti esperimenti che Bacone chiama istanze prerogative. Con esse, lo scienziato “interroga” la natura, controllando empiricamente se si verifichino davvero i fatti particolari che si possono dedurre dall’ipotesi.
Tra le istanze necessarie per verificare un’ipotesi c’è l’istanza cruciale, la più importante. Quando si è in dubbio tra due o più possibilità che paiono ugualmente probabili, l’istanza cruciale risolve questa situazione di impasse, dimostrando la connessione tra il fenomeno e una delle due cause ipotizzate. Se l’esperimento cruciale prova l’ipotesi, lo scienziato potrà formulare una legge scientifica.
Riprendendo l’esempio del calore, dopo aver escluso che la sua causa sia la luce (poiché la luce lunare, ad esempio, è fredda), si può ipotizzare che la causa di tale fenomeno sia il movimento rapido degli elementi di un corpo, essendo questo movimento presente in ogni corpo caldo, e che esso aumenti o diminuisca la sua velocità in proporzione all’intensità del calore. Se questa ipotesi supererà le diverse istanze prerogative e l’istanza cruciale, allora si potrà ritenere corretta.
Così Bacone descrive il suo metodo a metà tra empirismo e razionalismo. Il limite più grande però è probabilmente l’assenza della matematica nell’elaborazione delle leggi della natura. Bacone ne sottovaluta il ruolo, errore che invece non commetterà Galileo Galilei, in quale darà vita a un metodo sia induttivo che deduttivo, ciò che ancora oggi riteniamo essere l’autentico metodo scientifico.
Francesco Bacone (Francis Bacon) nasce a Londra nel 1561. Il padre è uno stretto collaboratore della regina Elisabetta I così Bacone ha modo di frequentare sin da piccolo gli ambienti politici e di studiare in università prestigiose come quella di Cambridge e di Parigi. Ma è con l’ascesa al trono di Giacomo I Stuart che ottiene i suoi primi veri incarichi politici: diventerà lord guardasigilli, cioè ministro della giustizia del regno d’Inghilterra. Assetato di potere e di denaro, nel 1621 viene accusato di corruzione per aver ricevuto doni in denaro nell’esercizio delle sue funzioni: si riconosce colpevole e viene condannato ad una multa e alla reclusione nella Torre di Londra. Il re decide di perdonare Bacone ed evitargli i castighi ma la sua carriera politica ha termine. Si ritira a vita privata e muore nel 1626.
Bacone è considerato il profeta della tecnica perché fermamente convinto che il sapere scientifico offra agli uomini un enorme potere sul mondo, che essi hanno il dovere di sfruttare. Come sarà anche per Galilei e Cartesio, dunque, Bacone incarna perfettamente lo spirito scientifico del ‘600. In questi filosofi è evidente l’esaltazione della scienza come organo di libertà umana, di emancipazione dai vincoli della natura, ma anche come strumento per porre quest’ultima a servizio delle finalità dell’uomo.
Questa idea della scienza come potenza rappresenta una sorta di anticipazione di quel sostrato culturale a cui appartiene l’uomo occidentale e arrogante che strutta la natura senza scrupoli e non vede se stesso come parte della natura.
Obiettivo della scienza deve essere quindi il dominio dell’uomo sulla natura. Questo potrà avvenire solo grazie a una rivoluzione del sapere che riporti la mente a contatto con le cose. Secondo Bacone infatti la maggior parte delle invenzioni sono state fatte nei tempi antichi, quando gli uomini avevano un contatto diretto con la realtà, non mediato dalla cultura dei libri e dall’autorità delle tradizioni. Pertanto auspica per gli uomini il ripristino del contatto diretto della mente con la realtà se vogliono progredire nella via della verità.
Per recuperare questo contatto, la ricerca scientifica deve applicare il metodo sperimentale a tutti gli ambiti del sapere, sviluppando delle applicazioni tecniche che permettano all’uomo di controllare, prevedere e volgere a suo vantaggio i fenomeni della natura.
Testimonianza di questa concezione è l’opera la Nuova Atlantide, pubblicata postuma, in cui Bacone ricorre allo stratagemma letterario dell’utopia e in cui descrive un’isola sconosciuta come “paradiso della tecnica”, una sorta di grande laboratorio sperimentale in cui la scienza è il principio che governa l’azione politica e tutte le invenzioni vengono usate per aumentare il benessere della comunità.
Ma il progetto più grandioso che Bacone ha in mente è la stesura di un’enciclopedia delle scienze che avrebbe rinnovato completamente la ricerca scientifica. In quest’opera cerca di strutturare il sapere in modo metodico ed enciclopedico appunto, suddividendolo in diverse forme, collegate alle tre facoltà umane di base. La prima facoltà è la memoria, alla base delle discipline storiche. La seconda facoltà è la fantasia che produce i diversi tipi di poesia. La terza facoltà è la ragione. Siamo nei secoli del razionalismo, i pensatori si immolano ad essa. La ragione produce la filosofia. La filosofia per Bacone è scientifica ed essendo figlia della facoltà della ragione, è la disciplina più elevata: contiene in sé la prospettiva scientifica.
Come le altre discipline, anche la filosofia si divide in vari rami: la filosofia prima, che si occupa dei principi primi, degli assiomi comuni a tutte le scienze; la filosofia divina, cioè la teologia; la filosofia naturale che si occupa della natura e della fisica e la filosofia umana che si occupa dei meccanismi dell’anima e del corpo degli uomini.
L’opera tuttavia rimane incompiuta e l’unica parte che Bacone riesce a terminare è il Nuovo Organo, pubblicato nel 1620 e in cui prova a spiegare la logica sottesa al procedimento scientifico.
Nel Nuovo Organo Bacone contrappone la nuova logica del procedimento tecnico scientifico a quella aristotelica: con la vecchia logica si vince l’interlocutore avversario, ma con la nuova logica si vince la natura. La vecchia logica mirava a sistematizzare la scienza, la quale doveva essere solo uno studio disinteressato della natura. Per Bacone invece non si fa scienza per la bellezza, la scienza non è un’arte, una speculazione fine a se stessa, ma è utile.
La scienza, come si accennava, dev’essere posta interamente al servizio dell’essere umano, e l’essere umano diventare ministro e interprete della natura, colui che la governa. Con l’esperienza e la riflessione l’uomo comprende l’ordine naturale, le leggi della natura, e grazie a questa conoscenza estende il proprio potere su tutto il mondo: “sapere è potere”.
Ma l’intelligenza umana ha bisogno di strumenti efficaci per penetrare la natura e questi strumenti sono gli esperimenti, pensati e adattati allo scopo che si deve raggiungere.
Infatti, gli organi di senso da soli non bastano per una reale conoscenza: essi registrano passivamente ciò che la natura comunica, mentre nell’esperimento è lo scienziato ad interrogare attivamente la natura, in modo tale che essa riveli i suoi misteri. Gli esperimenti quindi sono i veri interpreti della natura. Ma perché la mente non faccia errori deve liberarsi dai pregiudizi dovuti all’anticipazione.
L’anticipazione della natura è un meccanismo spontaneo della mente umana, una generalizzazione non fondata. Essa prescinde dall’esperimento e consiste in un passaggio teorico immediato dall’esperienza dei casi particolari alle regole generali. Questo procedimento è spesso alla base della tradizione, del sentito dire, delle opinioni tramandate acriticamente.
L’interpretazione della natura invece è il procedimento corretto, che si basa sul metodo sperimentale. Si addentra con ordine e rigore e con gli strumenti giusti nell’esperienza e scende gradualmente dai casi particolari alle leggi più generali, al fine di comprovare delle ipotesi. Con l’interpretazione si passa dagli eventi particolari ad assiomi gradualmente più generali, grazie agli esperimenti. Un esempio di ipotesi generale che non supera le prove sperimentali e dunque non può diventare un assioma è l’omeopatia, perché gli studi scientifici non hanno mai comprovato l’efficacia dei metodi omeopatici. Essa pertanto non può essere considerata una scienza.
La via dell’anticipazione è inutile e sterile: gli assiomi che stabilisce non servono ad inventare nulla di utile. La via dell’interpretazione, cioè quella dell’approccio laboratoriale sperimentale, è utile e feconda: gli assiomi che deduce dai casi particolari portano a nuove conoscenze, applicabili e produttive.
Per delineare la nuova scienza dell’interpretazione, Bacone deve identificare ed eliminare le “anticipazioni” della mente. A questo obiettivo è dedicato il Nuovo Organo.
Per indicare le anticipazioni della mente, Bacone usa il termine idòla, termine che nella filosofia antica indicava le immagini degli oggetti sensibili che colpiscono gli organi di senso. Le anticipazioni sono infatti dei “simulacri” della realtà, dei pre-giudizi che anticipano l’esperienza, quindi degli ostacoli alla conoscenza.
Bacone ne distingue quattro tipi, in base alla loro origine.
Gli idòla tribus o “idoli della tribù”, sono quei pregiudizi che dipendono dalla natura dell’intelletto umano (della tribù o famiglia umana) e dalla limitatezza dei nostri sensi ai quali sfuggono le più profonde forze della natura. Essi, pertanto, sono inclinazioni naturali comuni a tutti gli esseri umani. Alcuni esempi sono la tendenza a intravedere nel mondo un’armonia e un ordine maggiori rispetto a quelli realmente esistenti. Essendo i nostri sensi insufficienti, non facciamo mai esperienza della natura nella sua totalità, ma solo di singoli eventi: l’orizzonte, un certo suono, una pallina che rotola, certe caratteristiche fisiche, alto, basso, caldo, freddo ecc. Eppure il nostro intelletto “anticipa” un giudizio universale, globale.
Altri esempi sono la disposizione a dare più importanza a ciò che colpisce da vicino la fantasia piuttosto che a ciò che è nascosto e lontano, a negare l’esistenza di ciò che la mente umana non riesce a spiegare nell’illusione che essa non abbia limiti ecc.
Gli idòla specus o “idoli della spelonca” dipendono dalla mente, dal corpo e dalla personalità dei singoli individui, e pertanto sono legati all’educazione ricevuta, alle abitudini acquisite nel tempo, ai casi fortuiti e alle esperienze vissute da ciascuno. Ad esempio, se all’esperienza x è sempre seguita l’esperienza y tenderò a credere che anche stavolta sarà così. Queste idee, assorbite nel tempo, le usiamo per giudicare le cose che avvengono e per anticipare le cose che avverranno.
Nel nostro approcciarci alla conoscenza della natura, ognuno di noi mette in campo le sue propensioni per il vecchio o per il nuovo, per ciò che è semplice o per ciò che è complesso, per le somiglianze o per le differenze ecc. Come se ogni soggetto avesse dentro di se una spelonca, una caverna che distorce la luce proveniente dal mondo esterno.
Bacone porta l’esempio di Aristotele che ha letto la fisica con le lenti della logica da lui inventata, rendendola sterile. Lo stesso afferma di Gilbert, medico e scienziato inglese, che eresse un’intera filosofia sulle sue scoperte nel campo del magnetismo. Ma possiamo pensare anche alla cultura popolare, alle superstizioni, alla falsa medicina o semplicemente alla nostra tendenza a collegare eventi che si sono sempre presentati in associazione in passato.
Gli idola fori o “idoli della piazza”, luogo di commerci e relazioni, dipendono dal linguaggio, cioè dalle convenzioni linguistiche necessarie per consentire la comunicazione tra esseri umani. Bacone osserva che gli uomini credono di dominare il linguaggio imponendo le loro regole ma talvolta sono le parole a dominarli.
Alcune parole infatti, col tempo, acquistano un significato indipendente e lontano da quello originario e questo genera equivoci e incomprensioni. Questi pregiudizi dipendono dall’uso di termini che designano cose inesistenti (ad esempio “fortuna” o “primo mobile”, termini originati da false teorie) o dall’uso di termini che designano cose esistenti ma definite in modo confuso e vago (ad esempio “umido”, “generare”, “corrompere”, “leggero”, “denso”, “grave” ecc.), che non hanno una precisa aderenza alla realtà e ognuno le usa a modo suo. Le lingue stesse, poi, non sono neutre, ogni lingua implica un’interpretazione della realtà e quelle parole portano con sé concetti e visioni del mondo.
Con questi concetti relativi e queste parole imprecise non costruiamo conoscenze ma approssimazioni e produciamo pregiudizi linguistici.
Gli idòla theatri o “idoli del teatro” derivano da dottrine erronee o dimostrazioni fallaci, diffuse da grandi personalità che si sono imposte nel tempo. Si tratta delle grandi narrazioni, le filosofie e le religioni, elaborate nella storia che influenzano la nostra visione del mondo. Ad esempio l’ideologia platonica, cristiana, ebraica, aristotelica… sono delle lenti attraverso cui guardiamo il mondo. Bacone li chiama così perché paragona questi sistemi filosofici a vere e proprie favole o rappresentazioni teatrali, per tanto fittizie.
Classifica queste false teorie in tre categorie: la filosofia sofistica, di cui il maggior esempio è il sistema di Aristotele che cercò di adattare il mondo naturale a categorie logiche create apriori, facendo derivare tutte le sue letture della realtà da definizioni logico-verbali e senza cercare la vera natura delle cose; la filosofia empirica ad esempio l’alchimia, la magia o il pensiero di Gilbert che pretendono di spiegare la natura mediante pochi e ristretti elementi e reazioni chimiche; la filosofia superstiziosa che mescola la razionalità alla teologia, come accade in Pitagora o in Platone, ed è la categoria più pericolosa. Bacone, infatti, definisce Platone un cavillatore pieno di sé, che ha duplicato il mondo attraverso un’astrazione, nulla di scientifico.
Una delle principali cause per cui gli uomini non riescono a liberarsi da questi pregiudizi è l’atteggiamento reverenziale che si ha nei confronti della sapienza antica. Ma dovrebbe essere il contrario: è nella nostra epoca che la conoscenza è più vasta e più certa rispetto al passato, poiché raccoglie tutti gli esperimenti e le osservazioni arricchiti e perfezionati nel tempo. Noi siamo nani sulle spalle di giganti e per questo riusciamo a vedere più lontano di loro: una persona qualunque che vive nostro tempo può avere conoscenze molto più solide di un’enorme autorità del passato. Pertanto, la verità è “figlia del tempo”, non dell’autorità, afferma Bacone.
L’approccio alla conoscenza della natura viene esemplificato da Bacone col ricorso a un’efficace metafora: da una parte ci sono i ragni, cioè i “razionalisti”, coloro che pretendono di trarre il sapere dalla stessa mente umana, come i ragni ricavano da se stessi la loro tela, e procedono per via deduttiva, usando solo l’intelletto. Dall’altra parte ci sono le formiche, cioè gli “empirici”, coloro che si limitano ad accumulare dati ed esperienze senza ordinarli e interpretarli adeguatamente e usano un metodo induttivo ingenuo, che non raggiunge risultati accettabili e universalmente validi. Tanto l’approccio dei ragni, quanto quello delle formiche sono inadeguati, bisogna invece prendere a modello le api, che raccolgono sì, materiale esterno, il polline, ma lo rielaborano come cera o miele: il metodo giusto è dunque quello dell’empirismo sperimentale, quello cioè di chi raccoglie i dati sensibili dal mondo esterno ma poi li ordina in modo da formulare ipotesi sulle loro cause e controllarle sperimentalmente.
Infatti, per Bacone la ricerca scientifica non può fondarsi né soltanto sull’intelletto, che produrrebbe nozioni arbitrarie e infeconde, né soltanto sui sensi, che darebbero indicazioni disordinate e inconcludenti. La scienza vera e feconda può nascere solo da una collaborazione tra esperienza sensibile e intelletto, tra osservazione e ragionamento. Il procedimento che meglio rispecchia questa collaborazione è l’induzione. Un’induzione scientifica si fonda sull’osservazione dei casi particolari, sulla scelta e la progressiva eliminazione di alcuni di essi grazie all’esperimento. Si tratta di un processo senza salti e per gradi, che risale dai fatti particolari ai principi via via più generali. Soltanto in questo modo si arriva a determinare la vera natura di un fenomeno.
Nello specifico, il metodo sperimentale si compone di diverse fasi. Innanzitutto lo scienziato deve procedere alla raccolta e alla descrizione dei fatti particolari. Questa fase è definita da Bacone “storia naturale e sperimentale”, perché assomiglia alla raccolta di dati in cui è impegnato lo storico, che però guarda agli eventi del passato anziché a quelli della natura. I dati vanno raccolti in modo empirico, direttamente in natura, ad esempio, si osserveranno attentamente i mammiferi, i pianeti, i fiori, i corpi che si muovono nel vuoto ecc.
Questa raccolta però non può avvenire in modo casuale, ma i fenomeni osservati devono essere ordinati e classificati. Questo è lo scopo dell’uso delle tavole, che sono dei cataloghi di tutti i casi che sembrano riferirsi allo stesso fenomeno e si dividono in diverse categorie.
-Le tavole della presenza raccolgono i casi in cui un certo fenomeno (ad esempio il calore) si presenta (ad esempio le fiamme, i raggi solari, i fulmini).
-Le tavole dell’assenza raccolgono i casi in cui quel fenomeno non si presenta, pur verificandosi in condizioni simili a quelle notate nelle prime tavole.
-Le tavole dei gradi o comparative raccolgono i casi in cui il fenomeno si presenta in diversi gradi di intensità.
Nelo studio degli insetti, ad esempio, essi vengono catalogati a seconda di presenza o assenza di antenne, di ali, alla gradazione nella grandezza, nel colore ecc.
Comparando queste tavole si avvia una prima fase negativa, che consiste nell’escludere quelle cause che risultano incompatibili col fenomeno in questione.
Dopodiché si procede alla “prima vendemmia”, cioè alla formulazione di una prima ipotesi sulla natura del fenomeno, ad esempio, tutti gli insetti con queste caratteristiche possono vivere in acqua ecc.
Questa ipotesi verrà poi messa alla prova mediante ripetuti esperimenti che Bacone chiama istanze prerogative. Con esse, lo scienziato “interroga” la natura, controllando empiricamente se si verifichino davvero i fatti particolari che si possono dedurre dall’ipotesi.
Tra le istanze necessarie per verificare un’ipotesi c’è l’istanza cruciale, la più importante. Quando si è in dubbio tra due o più possibilità che paiono ugualmente probabili, l’istanza cruciale risolve questa situazione di impasse, dimostrando la connessione tra il fenomeno e una delle due cause ipotizzate. Se l’esperimento cruciale prova l’ipotesi, lo scienziato potrà formulare una legge scientifica.
Riprendendo l’esempio del calore, dopo aver escluso che la sua causa sia la luce (poiché la luce lunare, ad esempio, è fredda), si può ipotizzare che la causa di tale fenomeno sia il movimento rapido degli elementi di un corpo, essendo questo movimento presente in ogni corpo caldo, e che esso aumenti o diminuisca la sua velocità in proporzione all’intensità del calore. Se questa ipotesi supererà le diverse istanze prerogative e l’istanza cruciale, allora si potrà ritenere corretta.
Così Bacone descrive il suo metodo a metà tra empirismo e razionalismo. Il limite più grande però è probabilmente l’assenza della matematica nell’elaborazione delle leggi della natura. Bacone ne sottovaluta il ruolo, errore che invece non commetterà Galileo Galilei, in quale darà vita a un metodo sia induttivo che deduttivo, ciò che ancora oggi riteniamo essere l’autentico metodo scientifico.
Scritto dalla Prof.ssa Giulia Mochi