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MOTI DEL 1820-21

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Carlo Alberto di Savoia. Partecipò alla battaglia del Trocadero per stroncare i rivoltosi, ma era stato per breve tempo la speranza dei moti di insurrezione piemontesi.

Cronologia

1820

1821

Premessa

Dopo la sconfitta di Napoleone nel 1815, le potenze europee riunite al Congresso di Vienna cercarono di ripristinare l’ordine monarchico e conservatore, cancellando molte delle riforme liberali introdotte durante l’era napoleonica. La Santa Alleanza, formata nel 1815 da Russia, Austria e Prussia (e successivamente sostenuta da altre potenze conservatrici come la Francia), aveva come obiettivo principale mantenere l’ordine monarchico e reprimere i movimenti liberali e nazionalisti in Europa. Tuttavia, questo tentativo di restaurazione ignorava le aspirazioni di libertà e autodeterminazione che si erano diffuse in Europa.

I moti del 1820-1821 furono tentativi di insurrezione contro i regimi assolutisti, che iniziarono in Spagna e si diffusero poi in altri paesi europei, tra cui diversi stati italiani.

Dichiarazione del giuramento prestato da Ferdinando VII alla Costituzione di Cadice

L’insurrezione in Spagna (1820-23)

Il pronunciamiento di Cadice

La data di inizio dei moti può considerarsi il 1º gennaio 1820. Nel porto della città marittima di Cadice, in Spagna, alcuni reparti militari avevano ricevuto l’incarico di imbarcarsi alla volta delle colonie spagnole, alcune delle quali si erano date governi indipendenti a seguito dell’invasione napoleonica della Spagna, della cacciata dei Borbone e della mancanza di un governo centrale saldo; con l’invio dei battaglioni si pensava di sedare così la rivolta guidata da Simón Bolívar.

Gli ufficiali rifiutarono però di imbarcarsi e diedero inizio a una rivolta, detta pronunciamiento. Seguiti dai loro reparti, essi esigevano che il re Ferdinando VII concedesse nuovamente la Costituzione di Cadice, abrogata dopo il suo ritorno sul trono.

Uno dei capi principali dei moti fu Rafael del Riego, dopo alcuni iniziali successi cominciò una marcia per molte città andaluse, con l’intento di sollevarle, intento che si scontrò con una generale indifferenza delle popolazioni. E ciò nonostante fu minima la reazione da parte dei legittimisti o del governo centrale, incapace di reagire per reprimere i reparti ribelli.

Al fallimento del pronunciamento in Andalusia, tuttavia, seguì un secondo tentativo militare, questa volta nella lontana Galizia: in molte città fu ri-proclamata la Costituzione del 1812. Poi il movimento insurrezionale si estese per il resto della Spagna.

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Ferdinando VII ritratto da Goya.

L’evento culminante ebbe luogo il 7 marzo 1820, allorché una folla circondò il Palazzo reale di Madrid, ove risiedeva Ferdinando VII. L’esercito non fu in grado di intervenire e seguirono ore di marcata tensione, fino a quando il sovrano fu indotto a giurare sulla Costituzione in accordo con la volontà generale del popolo.

Seguì, il 10, un proclama reale, «Manifiesto del rey a la Nación española», nel quale Ferdinando annunciava di aver prestato giuramento alla Costituzione il precedente 8, e aggiungeva: «Marciamo risolutamente, e io sarò il primo, per il sentiero costituzionale». Cominciava così il Triennio liberale.

La reazione assolutista

Il 9-14 ottobre 1822, al congresso di Verona, le potenze della Santa Alleanza autorizzarono la Francia reazionaria di Luigi XVIII a condurre un corpo di spedizione in Spagna, con lo scopo di reintrodurre la monarchia assoluta.

Il 7 aprile 1823 un esercito di 95.000 uomini, detti i «Centomila Figli di San Luigi» e guidati dal duca d’Angoulême (figlio di Carlo X e quindi nipote di Luigi XVIII), attraversò la frontiera sui Pirenei. Salvo alcuni scontri minori in Catalogna, il Duca poté condurre una facile marcia sino a Madrid, raggiunta il 24 maggio, ove fu trionfalmente accolto.

Nel frattempo il governo liberale che si era formato aveva preso formalmente prigioniero Ferdinando e lo aveva condotto con sé nella città-fortezza di Cadice, centro della rivolta liberale. Qui i deputati liberali delle Cortes Generales, con il pieno appoggio di Riego, si riunirono per votare la destituzione del prigioniero Ferdinando.

Lì giunsero anche i francesi, che cominciarono un assedio, condotto con l’appoggio di una grandissima flotta forte di 67 navi da battaglia. L’assedio si concluse il 31 agosto quando, dopo la vittoriosa conquista di due forti all’imbocco della penisola a 12 chilometri da Cadice, nota come battaglia del Trocadero, cui partecipò anche Carlo Alberto di Savoia, la città fu costretta alla capitolazione.

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Napoli, 12 settembre 1822, Giuseppe Silvati e Michele Morelli sono impiccati in seguito alla repressione dei moti carbonari napoletani

Il moto carbonaro di Napoli (1820-21)

La diffusione, nel marzo 1820, anche nel Regno delle Due Sicilie, della notizia della conquista in Spagna del regime costituzionale contribuì notevolmente a esaltare gli ambienti carbonari e massonici. A Napoli, la cospirazione (la quale non si pose mai l’intento di destituire il re, ma solo di chiedere la Costituzione) prese subito vigore e fu portata avanti soprattutto dagli ufficiali Michele Morelli e Giuseppe Silvati. Con gli insorti si schierò Luigi Minichini, prete nolano dalle idee anarcoidi.

La notte tra il 1º e il 2 luglio 1820, Morelli e Silvati diedero il via all’insurrezione disertando con circa 130 uomini e 20 ufficiali. Ben presto li raggiunse Minichini, che entrò in contrasto con Morelli: il primo voleva procedere per le campagne allo scopo di aggiungere alle proprie file quei contadini e quei popolani che credeva attendessero di unirsi alla cospirazione; il secondo, che puntava all’appoggio dei militari, voleva puntare direttamente su Avellino, dove lo attendeva il generale Pepe. Nonostante questi contrasti Il 2 luglio Morelli, Silvati e Minichini fecero il loro ingresso ad Avellino, accolti dalle autorità cittadine rassicurate del fatto che la loro azione non aveva intenzione di rovesciare la monarchia, e proclamarono la Costituzione sul modello spagnolo.

Il 5 luglio, Morelli entrò a Salerno mentre la rivolta si espandeva a Napoli, dove il generale Guglielmo Pepe aveva raccolto molte unità militari. Il giorno seguente, re Ferdinando I si vide costretto a concedere la Costituzione, sul modello di quella spagnola del 1812. In agosto fu eletto il nuovo Parlamento napoletano.

Dopo pochi mesi, le potenze della Santa Alleanza riunite in congresso a Lubiana, su richiesta di re Ferdinando, decisero l’intervento armato: circa 50.000 soldati austriaci furono inviati contro i rivoluzionari che nel Regno delle Due Sicilie avevano proclamato la Costituzione. I costituzionalisti di Napoli, cercarono di resistere e furono sconfittidalle truppe austriache. Il 24 marzo le truppe austriache entrarono a Napoli scortando re Ferdinando senza incontrare ulteriore resistenza e chiusero il neonato parlamento.

Dopo un paio di mesi, re Ferdinando revocò la Costituzione e affidò al ministro di polizia, il principe di Canosa, il compito di catturare tutti coloro che erano sospettati di cospirazione. Tra questi, curiosamente, apparve anche il giovane Vincenzo Bellini, allora studente presso il Real collegio della Musica presso il convento di San Sebastiano di Napoli, il quale ritrattò la propria aderenza ai moti e pertanto ottenne il condono. Silvati e Morelli furono impiccati a Napoli il 12 settembre del 1822

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Rientro in Napoli di Ferdinando I scortato dalle truppe austriache

I moti in Sicilia (1820-21)

L’insurrezione della Sicilia si inserisce nel contesto dei moti di Napoli. Nel 1816 il Regno di Sicilia era stato unificato con quello di Napoli dai Borboni. Questo provocò in tutta l’isola un movimento di protesta animato sia dai baroni sia dai ceti popolari. Il 15 giugno 1820, gli indipendentisti siciliani insorsero. Fu istituito un governo a Palermo e fu convocato il Parlamento siciliano, che ripristinò la Costituzione siciliana del 1812.

Il 23 luglio fu inviata una delegazione presso il governo rivoluzionario di Napoli (che era già insorta il 5 luglio) per chiedere il ripristino del Regno di Sicilia, seppur sempre a guida borbonica, la Costituzione e un proprio Parlamento. Il governo napoletano rifiutò e inviò il generale Pietro Colletta che riconquistò la Sicilia con lotte sanguinose e ristabilì il 22 novembre la monarchia, rimettendo nuovamente l’isola sotto il controllo del governo costituzionale napoletano, fino al marzo 1821, quando gli austriaci occuparono Napoli e soppressero la Costituzione.

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L’insurrezione di Palermo

L’insurrezione piemontese (1821)

Già da tempo in Piemonte, e in particolare a Torino, alcuni gruppi, di idee borghesi e liberali, avevano coltivato l’idea di una campagna militare, che avrebbe dovuto essere guidata dal re di Sardegna Vittorio Emanuele I di Savoia, allo scopo di liberare i territori lombardo-veneti dalla dominazione austriaca. Inoltre, essi ritenevano che il re si dovesse impegnare a concedere ufficialmente una Costituzione ai sudditi del regno, fatto che avrebbe testimoniato l’impegno dei Savoia ad allearsi con i patrioti e ad assumere la guida del movimento liberale italiano. Tuttavia, fin dall’inizio del suo mandato, Vittorio Emanuele I si impegnò a restaurare in Piemonte e negli altri territori sotto il suo controllo un soffocante regime assolutistico, che andava in direzione opposta alle idee liberali della Carboneria e della borghesia in generale.

Si pensò quindi di cercare un altro alleato, che si palesò nella figura del giovane erede al trono sabaudo, Carlo Alberto di Savoia, principe di Carignano, per indurlo ad assumere la guida dei rivoluzionari. Carlo Alberto era stato infatti l’unico esponente della famiglia sabauda a esprimere la propria solidarietà agli** universitari torinesi** che, nel gennaio 1821, avevano organizzato contro l’Austria una manifestazione pacifica e liberale contro gli arresti avvenuti il giorno precedente nei pressi di un teatro, manifestazione repressa subito nel sangue: per questo motivo, si pensò che Carlo Alberto avesse davvero a cuore la questione italiana. I primi contatti si rivelarono più che positivi e sembrava che il giovane esponente di casa Savoia avesse davvero intenzione di aderire all’impresa.

Le insurrezioni scoppiate in Spagna e in Italia meridionale nel 1820 avevano contribuito a rafforzare il patriottismo italiano, in particolare quello piemontese, i cui sostenitori pensarono che la loro rivolta sarebbe stata appoggiata e seguita, con ogni probabilità, da parte dei patrioti siciliani e napoletani.

Nella seconda metà del 1820, Santorre di Santa Rosa, uno dei principali esponenti dell’organizzazione dei moti, si incontrò spesso segretamente con dei generali, con dei politici e con il giovane principe di casa Savoia per definire la data e le modalità della ribellione. Dopo molte riunioni, si stabilì che la rivolta dovesse scatenarsi non prima dell’inizio del nuovo anno, in modo che l’esercito austriaco, ancora impegnato nella repressione dei moti di Nola e di Napoli dello stesso anno, non fosse subito pronto a intervenire in quanto bisognoso di qualche tempo per riorganizzarsi.

Carlo Alberto iniziò a mostrare alcuni tentennamenti, soprattutto sull’intenzione dei rivoltosi di dichiarare guerra all’Austria, che portarono Santorre ad avere qualche dubbio sul principe e sulle sue vere intenzioni. Tuttavia, Carlo Alberto lasciò intendere il suo appoggio e, per questo motivo, Santorre e i suoi associati fecero iniziare l’insurrezione ad Alessandria dove, il 10 marzo, venne issata la bandiera tricolore per la prima volta nella storia risorgimentale. Subito dopo l’insurrezione si estese ai presidi di Vercelli e Torino. Venne decisa l’adozione di una Costituzione, improntata su quella spagnola di Cadice del 1812, che prevedeva maggiori diritti per il popolo piemontese e una riduzione del potere del sovrano. Ma il re, Vittorio Emanuele I, piuttosto che concedere il documento, preferì abdicare in favore del fratello Carlo Felice di Savoia, che si trovava però a Modena. La reggenza fu così affidata al principe Carlo Alberto che, assunto l’incarico, dapprima fu assalito da dubbi poiché non volle prendere decisioni senza consultare Carlo Felice, ma premuto dai federati concesse la Costituzione, nominò una giunta, concesse l’amnistia agli insorti e nominò Santorre di Santarosa ministro della guerra del governo provvisorio.

Il congresso di Lubiana aveva deliberato di raccogliere delle truppe per riordinare l’Italia e Carlo Felice intimò a Carlo Alberto di raggiungere Novara con le sue truppe per unirsi all’esercito che avrebbe dovuto reprimere le insurrezioni ed egli ubbidì.

Sull’entusiasmo suscitato dai moti torinesi, Alessandro Manzoni compose l’ode Marzo 1821, celebrando quello che sembrava stesse accadendo: l’attraversamento del Ticino da parte dell’armata sarda in appoggio ai patrioti lombardi contro gli austriaci.

Di ritorno nella capitale, il nuovo sovrano Carlo Felice revocò la Costituzione e impose a Carlo Alberto di rimettersi al suo volere, abbandonando Torino e recandosi a Novara, rinunciando definitivamente alla sua carica e alla guida del movimento di rivolta. Nella notte del 22 marzo, mentre alcuni, tra cui lo stesso Santorre di Santa Rosa, annunciavano una prossima guerra contro l’Austria, Carlo Alberto fuggì segretamente a Novara, abbandonando gli insorti al loro destino. Poche ore dopo Santorre, alla guida di un piccolo reparto, si recò nella città piemontese per tentare di convincere il principe e le sue truppe a tornare dalla sua parte, ma la missione si rivelò del tutto infruttuosa.

Privi di un appoggio, i costituzionali decisero di sciogliersi. Fu proposto un nuovo tentativo di insurrezione a Genova, ma subito si decise di non intervenire. Inoltre giunsero a Torino, come supporto all’esercito regio, plotoni austriaci che inflissero una pesante sconfitta ai costituzionali: il neonato governo cadde dopo neppure due mesi e il sogno dei rivoluzionari si infranse.

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Il conte Santorre di Santarosa, che guidò l’insurrezione piemontese.

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Ritratto di patriota in carcere. Dipinto del 1830 di Vincenzo Niccolini, con i colori delle stoffe viene mostrato il tricolore

Moto decabrista in Russia nel 1825

Nel dicembre 1825, in Russia, scoppiò un nuovo moto insurrezionale, il cosiddetto moto decabrista dal nome del mese, che fu però immediatamente represso. Il giorno della rivolta, il 14 dicembre, le truppe, guidate da alcuni ufficiali del reggimento Preobraženskij, si riunirono nella Piazza del Senato, a San Pietroburgo, ma la Guardia reale, fedele allo zar Nicola I, aprì il fuoco sui soldati ribelli e l’insurrezione fu immediatamente sedata. Dopo una reclusione nella fortezza di Pietro e Paolo e un breve processo, il 25 giugno 1826 i cinque esponenti principali furono impiccati, mentre gli altri, per un totale di circa 600 persone, furono mandati in esilio in Siberia.

La Guerra d’indipendenza in Grecia

Iniziata nel 1821, la guerra vide la ribellione dei greci contro l’Impero Ottomano, che aveva governato la regione per secoli. La rivolta fu sostenuta da potenze europee come la Gran Bretagna, la Francia e la Russia, che intervennero militarmente e diplomaticamente. La guerra culminò con il Trattato di Costantinopoli del 1832, che riconobbe l’indipendenza della Grecia. Questo evento segnò la nascita del moderno stato greco e fu un punto di svolta nella storia dell’Europa sud-orientale.

La lotta dei greci contro l’Impero ottomano suscitò grande simpatia in Europa, soprattutto tra gli intellettuali e i liberali. Figure come Lord Byron (che morì in Grecia combattendo per l’indipendenza) e altri rappresentanti del Romanticismo europeo videro nella causa greca una lotta per la libertà e la civiltà contro il dispotismo ottomano. La Grecia era infatti vista come la culla della civiltà occidentale, e molti europei consideravano la sua liberazione un dovere morale. Questo sostegno popolare mise pressione sui governi conservatori della Santa Alleanza, costringendoli a prendere posizioni meno rigide.

La guerra di indipendenza greca segna un significativo indebolimento della Santa Alleanza. Esistevano infatti divisioni interne a causa dei diversi interessi. La Russia aveva interessi strategici e religiosi nel sostenere i greci ortodossi contro l’Impero ottomano musulmano. Lo zar Alessandro I (e poi Nicola I) era diviso tra il dovere di mantenere l’ordine monarchico (principio della Santa Alleanza) e il desiderio di espandere l’influenza russa nei Balcani e nel Mediterraneo orientale. Al contrario, l’Austria di Metternich e la Prussia erano più rigide nel voler reprimere qualsiasi movimento nazionalista, temendo che potesse destabilizzare i loro imperi multietnici.

Francia e Gran Bretagna, pur non facendo parte della Santa Alleanza, simpatizzavano per la causa greca, sia per ragioni umanitarie che per interesse geopolitico (controllo del Mediterraneo). La loro crescente ingerenza nella questione greca minò ulteriormente l’autorità della Santa Alleanza.

L’intervento navale congiunto di Francia, Gran Bretagna e Russia nella battaglia di Navarino (1827), che distrusse la flotta ottomana, dimostrò che le potenze europee erano disposte a sostenere attivamente la causa greca, oltrepassando i principi della Santa Alleanza.

Crediti

Tratto, con modificazioni e integrazioni, dalla pagina Wikipedia: https://it.wikipedia.org/wiki/Moti_del_1820-1821