by Anita
I Comuni, che abbiamo visto impegnati nella lotta per le autonomie contro i diritti e i privilegi imperiali, e divisi in guelfi e ghibellini (divisioni in partito guelfo e partito ghibellino avvennero anche, come è ovvio, nell’interno di una medesima città), pervennero in questo periodo alla massima espansione economica e al completo sviluppo delle istituzioni politiche (Podestà, Capitano del popolo, Arti, ecc.).
La vita del Comune fu allora caratterizzata da una viva lotta dei partiti e delle diverse classi sociali (nobili, borghesi, popolani) per la conquista del potere, con la generale prevalenza della classe borghese; il che non escluse, ma anzi venne favorendo un notevole progresso della produzione e delle attività economiche. Si può parlare di un aumentato grado di benessere, al quale si accompagna un innegabile avanzamento della vita culturale e spirituale.
Tra i Comuni più importanti nel secolo XIII dobbiamo ricordare almeno i seguenti:
Il Comune di Firenze acquistò la propria autonomia nel secolo XII, dopo il crollo del Marchesato di Toscana.
Dopo una prima fase di governo consolare (sec. XII), anche a Firenze si passò — per naturale evoluzione — al governo del podestà (sec. XIII); ma, fino al 1250, il potere rimase saldamente nelle mani dei nobili (detti Grandi o Magnati).
I nobili erano uniti nella potente Consorteria delle Torri ma, ai primi del secolo XIII, si divisero in guelfi e in ghibellini. Come causa di questa divisione la tradizione riferisce l’episodio di Buondelmonte de’ Buondelmonti, che - promesso ad una fanciulla degli Amidei - sposò poi una Donati e venne ucciso per vendetta (1215); ma invero dietro la cronaca di questo avvenimento c’è la storia delle profonde trasformazioni sociali della vita fiorentina e la realtà di precisi interessi politici ed economici in acceso contrasto. Alla scissione e decadenza della nobiltà corrispose pertanto l’ascesa della borghesia (o popolo grasso).
Nel 1250, col prevalere in Firenze del partito guelfo, la borghesia, che era ormai diventata la classe più attiva del Comune, mirò ad assumersi decise responsabilità di potere.
Come prima conquista essa ottenne che a far parte del governo, accanto al Podestà, rappresentante degli interessi nobiliari, venisse eletto il Capitano del Popolo, coadiuvato da una guardia armata, con l’incarico di rappresentare e difendere gli interessi delle classi minori (borghesi e popolani) contro i soprusi dei Magnati. Si ebbe così quello che fu detto il Governo del primo popolo, in cui la borghesia venne ad esercitare un primo controllo sull’operato della aristocrazia.
Il temporaneo sopravvento dei ghibellini con la battaglia dì Montapertì (1260) ridiede il potere nelle mani dei nobili; ma, col 1266 (data della battaglia di Benevento), ritornò a prevalere definitivamente la parte guelfa e ripresero nuovamente vigore le aspirazioni democratiche della classe borghese.
Dopo un periodo di discordie interne tra i nobili guelfi e i borghesi, nel 1282 la borghesia fiorentina ottenne una seconda e pìu importante conquista. Accanto al Podestà e al Capitano del Popolo entrarono di diritto a far parte dei governo i Priori delle Arti maggiori, con la funzione di tutelare gli interessi del popolo grasso. Si ebbe così quello che fu detto il Governo del secondo popolo, in cui la borghesia, per mezzo dei Priori (la cosiddetta Signoria), deteneva di fatto le leve del potere, dando impulso a una sua politica autonoma.
In questo arco di tempo la continua espansione economica e i sempre più impellenti interessi commerciali portarono Firenze in lotta contro i comuni toscani: nel 1269 la vittoria sulla ghibellina Siena nella battaglia di Colle Val d’Elsa assicurò a Firenze le comunicazioni con Roma; nel 1289 le forze fiorentine sconfissero Arezzo nella battaglia di Campaldino, cui prese parte lo stesso Dante Alighieri; nel 1293, infine, la pace di Fucecchio segnò la supremazia di Firenze su Pisa, costretta a concedere lo sbocco al mare e notevoli esenzioni doganali alle merci fiorentine. Alla fine del secolo XIII il predominio di Firenze sulla Toscana si può dire realizzato. Come conseguenza di questa posizione di predominio politico ed economico di Firenze sulla Toscana abbiamo, all’interno, il rafforzamento della borghesia, sempre più industriosa ed attiva.
Nel 1293 la borghesia fiorentina ottenne la sua terza e definitiva conquista con l’approvazione degli Ordinamenti di Giustizia di Giano della Bella (un nobile convertitosi alla causa popolare). La possibilità di accedere al Priorato, ormai unico detentore del potere esecutivo, venne riservata soltanto a coloro che facevano parte delle Arti, cioè in pratica soltanto ai borghesi. Un’altra innovazione di carattere democratico fu la chiamata al governo anche dei rappresentanti delle Arti medie (beccai, calzolai, fabbri, rigattieri, lavoratori della pietra e del legno) e la creazione di una nuova carica, il Gonfaloniere di giustizia, anch’esso a difesa degli interessi popolani e con l’incarico di eseguire le sentenze contro i nobili che violassero gli Ordinamenti di Giustizia. Si ebbe così la piena conquista del potere da parte della borghesia e delle corporazioni artigiane. I nobili vennero esclusi dal governo; le Arti minori e i proletari rimasero ancora senza diritti politici.
La borghesia fiorentina era stata unita nella ’lotta contro i nobili; ma, raggiunto il potere, intorno al 1300 si divise nei due partiti dei Bianchi e dei Neri.I Bianchi avevano a capo Vieri de’ Cerchi e rappresentavano più esplicitamente gli interessi del popolo grasso nelle sue tendenze più democratiche; i Neri avevano a capo Corso Donati e godevano le simpatie dei nobili, che aspiravano a rientrare al governo, e del popolo minuto.
Inoltre bisogna aggiungere che, pur essendo entrambi i partiti di ispirazione guelfa, i Neri tenevano un atteggiamento di marcata sottomissione al Papato, mentre i Bianchi avanzavano esigenze di relativa autonomia dalla politica pontificia.
Il dissidio tra le due fazioni giunse in diverse occasioni alla lotta aperta (10 maggio, e 23 giugno 1300), tanto che i Priori, tra cui era anche Dante, si risolsero ad inviare in esilio i capi delle due parti (tra cui Guido Cavalcanti); ma i Neri, traendo profitto dall’intervento di Bonifacio VIII, che voleva estendere la sua autorità su tutta la Toscana e che inviò a Firenze Carlo di Valois, fratello del re di Francia, ebbero alfine la prevalenza e si impadronirono del potere, cacciando in esilio e perseguitando gli avversari, tra cui Dante (1301-1302).
La vittoria della parte nera ridiede animo ai nobili, che tentarono di abrogare gli ordinamenti democratici, ma nel 1308 il popolo grasso, fatto uccidere il tracotante Corso Donati, riprese il potere nelle sue mani.
Gli esuli bianchi tuttavia, che avevano inclinato in qualche modo al ghibellinismo non tornarono in patria, e Dante dovette rassegnarsi a vivere lontano dalla sua diletta Firenze.
In questa atmosfera di lotte animose e di vivace attività economica matura la grande civiltà fiorentina. Sono gli anni in cui Arnolfo di Cambio inizia la costruzione della grandiosa cattedrale di Santa Maria del Fiore, mentre Giotto, Dante, la scuola poetica del dolce stil novo lasciano un segno indelebile nella storia dell’arte e della letteratura.
Venuta meno l’influenza dell’Impero e della Chiesa, la vita politica italiana del Trecento è caratterizzata, particolarmente nell’Italia settentrionale, dalla formazione delle Signorie e da un attivo processo di evoluzione sociale e politica per cui si attua, sul piano economico, un tipo di economia che si può chiamare precapitalistica (aumento degli scambi commerciali, sviluppo della produzione e della tecnica, industrializzazione delle imprese, largo impiego di capitali, ecc.); mentre, sul piano politico, si registra una inarrestabile tendenza all’unificazione regionale.
In Piemonte si venne affermando la dinastia dei Savoia; a Milano i Visconti avviarono a buon punto un processo di espansione territoriale che si spinse oltre i confini della Lombardia; anche Venezia e Firenze pervennero alla formazione di uno stato di ambito regionale; decaddero invece, per varie ragioni, Genova, lo Stato pontificio e l’Italia meridionale.
Le continue lotte politiche e sociali che agitavano la vita del Comune provocarono una profonda crisi degli ordinamenti e delle istituzioni comunali, che - di fronte a una nuova realtà sociale, che imponeva nuove prospettive di politica interna ed estera (aspirazioni ad una maggiore giustizia di classe; tendenze espansionistiche ad ambito regionale, ecc.) - si rilevavano ormai deboli e superate.
Le contraddizioni interne del Comune (instabilità dell’ordine pubblico; divergenze di interessi economici; situazioni di privilegio, ecc.) resero così naturale il passaggio alla nuova forma di governo della Signoria, in cui il potere era detenuto di fatto da un uomo solo, messosi generalmente in luce per le sue qualità personali.
L’evoluzione dal Comune alla Signoria avvenne, in molti casi, col concorso della stessa volontà popolare: i cittadini, stanchi delle continue lotte interne, affidavano il potere al capo del partito vittorioso; oppure riconoscevano Signore un capo imparziale (generalmente un Podestà, o un Capitano del popolo), che si era imposto per le sue doti individuali, e prometteva di dare maggiori garanzie di sicurezza ed equilibrio politico. Si dava però anche il caso, seppure più raro, di un passaggio dall’una all’altra forma di governo che avveniva in base a una conquista violenta (il cosiddetto colpo di stato), per opera di qualche potente feudatario o di un condottiero.
In un primo tempo la Signoria ebbe generalmente carattere elettivo, e il Signore manteneva in vigore, almeno formalmente, i vecchi organi del governo comunale (Podestà, Capitano del popolo, Consiglio maggiore, ecc.). In pratica però il Signore aveva nelle sue mani l’effettivo potere, e dava corso a una sua politica personale; amministrava, in un certo qual modo, con maggiore giustizia, e conduceva una politica estera, in generale, più energica ed intraprendente.
Consolidato il suo dominio, il Signore si poneva come primo obiettivo di rendere ereditario il suo titolo e dargli un fondamento giuridico, sollecitando la nomina e l’investitura da parte dell’imperatore o del papa.
Il Signore venne così ad assumere il titolo di vicario imperiale o papale, di conte, marchese o duca; il dominio personale si trasformò in una dinastia stabile e duratura; la Signoria si venne mutando in un vero e proprio Principato, a carattere dinastico e autoritario, ormai svincolato del tutto da ogni base popolare.
Tra le principali Signorie e Principati ricordiamo i Visconti a Milano, gli Scaligeri a Verona ,gli Estensi a Ferrara, i Gonzaga a Mantova, ecc.
Per mantenersi saldo nello Stato il Signore aveva necessità di una forza militare permanente; fu quindi costretto a sostituire le antiche milizie comunali con formazioni militari di nuovo tipo, a carattere mercenario: le cosiddette Compagnie di ventura, composte di soldati volontari al comando di un condottiero, pronte ad arruolarsi al servizio dei vari Signori, e, naturalmente, di chi poteva meglio pagarle.
Esse furono dapprima formate quasi esclusivamente di stranieri (svizzeri, tedeschi, ecc.); e tra esse ebbero particolare rinomanza le Compagnie dell’inglese Giovanni Acuto, del francese Fra’ Moriale, e del tedesco Gualtieri di Urslingen.
Tra le Compagnie di ventura italiane furono famose quelle di Alberico da Barbiano, Jacopo dal Verme, Facino Cane, Francesco Bussone, conte di Carmagnola, Bartolomeo Colleoni, ecc.
Altri grandi condottieri furono Niccolò Piccinino, Braccio da Montone, Muzio Attendolo Sforza, suo figlio Francesco Sforza (che pervenne al Principato), e così via. La storia italiana del secolo XV è tutta piena delle loro imprese audaci e violente.