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volume_1:religione_medievali:approfondimento_-_il_sacro_graal

La leggenda del Santo Graal è una delle storie più affascinanti e misteriose della tradizione medievale europea. Il Graal (scritto talora anche Gral) o, secondo la tradizione medievale, il Sacro Graal o Santo Graal, è la leggendaria coppa con la quale Gesù celebrò l’Ultima Cena e nella quale Giuseppe di Arimatea raccolse il sangue sgorgato dal suo costato trafitto dalla Lancia del centurione romano Longino durante la crocifissione.

La leggenda del Graal

Lo sviluppo della leggenda del Graal è stato tracciato in dettaglio dalla ricerca storiografica: si tratterebbe di una tradizione orale gotica, derivata forse da alcuni racconti sotto forma di romanzo tra la fine del XII secolo e l’inizio del XIII secolo. Gli antichi racconti sul Graal, dotato di poteri miracolosi come la guarigione, il ringiovanimento, l’abbondanza, sarebbero stati imperniati sulla figura di Parsifal e del re Pescatore di Chrétien de Troyes, per poi intrecciarsi con il ciclo arturiano. A sua volta questi racconti si intrecceranno con il racconto dell’Ultima cena presentato nei Vangeli.

Il ciclo dei romanzi del Graal

Il ciclo dei romanzi del Graal è una serie di testi medievali che esplorano la leggenda del Santo Graal e la sua connessione con i cavalieri della Tavola Rotonda di Re Artù. Questi romanzi, scritti principalmente tra il XII e il XIII secolo, rappresentano una parte significativa del ciclo arturiano e hanno influenzato profondamente la letteratura occidentale.

Il Parsifal di Chrétien Il Graal appare per la prima volta sotto forma letteraria nel Perceval ou le conte du Graal di Chrétien de Troyes (XII secolo). In questo racconto il Graal non viene definito “sacro” e non è ancora identificato col Calice contenente il Sangue di Cristo. Non si sa neppure di preciso che forma abbia perché Chrétien, descrivendo il banchetto nel castello del Re Pescatore, dice semplicemente che «un graal antre ses deus mains / une dameisele tenoit» («un graal tra le sue due mani / una damigella teneva») e descrive le pietre preziose incastonate nell’oggetto d’oro. Il Graal viene citato di nuovo in una delle scene finali, quella in cui un eremita rivela a Perceval che il Graal reca un’Ostia, nutrimento spirituale, per il padre del Re Pescatore. Il testo, tuttavia, rimane incompiuto, lasciando molti aspetti della leggenda aperti all’interpretazione e all’espansione da parte di autori successivi.

Il racconto del Re Pescatore riguarda un re zoppo la cui ferita alla gamba rende la terra sterile. L’eroe (Gawain, Percival, o Galahad) incontra il re pescatore ad una processione e vede il Graal ed è invitato ad una festa al castello. Percival dovrebbe fare domande sulla malattia del re e sul Graal per poterrompere l’incantesimo del re infermo e della terra infruttuosa. Ma non farà nessuna domanda, fallendo nella sua impresa.

Giuseppe d’Arimatea di Robert de Boron Fu Robert de Boron, nel suo Joseph d’Arimathie composto tra il 1170 e il 1212, ad aggiungere il dettaglio, non presente nei Vangeli canonici né negli apocrifi, che il Graal sarebbe la coppa usata nell’Ultima Cena, la stessa nella quale Giuseppe d’Arimatea avrebbe poi raccolto le gocce di Sangue del Cristo sulla croce, uscite dalla ferita infertagli dal centurione, poco prima che il suo Corpo venisse lavato e preparato per essere sepolto.

Giuseppe avrebbe quindi lasciato la Palestina per rifugiarsi nelle Isole britanniche, portando con sé il Sacro Graal, raggiungendo la valle di Avalon (identificata già con Glastonbury) che sarebbe diventata la prima Chiesa Cristiana oltre la Manica.

Qui lui avrebbe affidato il Graal al proprio cognato di nome Hebron, detto anche il «Re Pescatore», il quale a sua volta l’avrebbe trasmesso ai suoi discendenti, ogununo denominato col suo stesso titolo in qualità di custode della sacra reliquia.

Il Parsifal di Eschenbach Una successiva interpretazione del Graal è quella che si trova nel Parzival di Wolfram von Eschenbach (1210), secondo il quale il Graal sarebbe una pietra magica (lapis exillis) che produce ogni cosa che si possa desiderare sulla tavola in virtù della sua sola presenza.

Questa pietra sarebbe caduta dalla corona di Lucifero, staccatasi precisamente nello scontro fra gli angeli del bene e del male, cadendo sulla Terra.

La Queste del Saint-Graal La cristianizzazione della leggenda del Graal è proseguita dalla Queste del Saint-Graal, romanzo anonimo scritto verso il 1220, probabilmente da un monaco, che identifica il Graal con la Grazia divina.

Ciclo arturiano Il ciclo arturiano è un vasto corpus di leggende, miti e storie incentrate sulla figura del leggendario re Artù e sui cavalieri della Tavola Rotonda. Queste storie sono state tramandate attraverso la letteratura, la poesia e il folklore e hanno avuto una grande influenza sulla cultura europea medievale e successiva.

Vari cavalieri intrapresero la ricerca del Graal in racconti annessi al ciclo arturiano. Alcuni di questi racconti presentano cavalieri che ebbero successo, come Parsifal o Galahad; altri raccontano di cavalieri che fallirono nell’impresa per la loro impurità, come Lancillotto. Nell’opera di Wolfram von Eschenbach, il Graal fu messo in salvo nel castello segreto di Munsalvaesche (mons salvationis) o Montsalvat, affidato a Titurel, il primo re del Graal. Alcuni hanno identificato il castello con il Monastero di Montserrat in Catalogna.

Anche la storia del Re pescatore, legata al Graal da Chrétien de Troyes, fu più tardi incorporata nel ciclo arturiano. In principio il racconto del re pescatore fu un episodio inserito prima dell’arrivo di Parsifal a Camelot, per poi evolvere in una esplicita ricerca del Graal da parte dei dodici cavalieri della Tavola Rotonda.

La leggenda del Graal è riportata successivamente in racconti popolari gallesi, dei quali il Mabinogion è il più vecchio dei manoscritti sopravvissuti (XIII secolo). Esiste anche un poema inglese Sir Percyvelle del XV secolo. In seguito le leggende di re Artù e del Graal furono collegate nel XV secolo da Thomas Malory nel Le Morte d’Arthur (anche chiamato Le Morte Darthur) che diede al corpus della leggenda la sua forma classica.

Il Graal come Calice dell’Ultima Cena

Cristo istituisce l’Eucaristia con l’Ostia e il Calice durante l’Ultima Cena. Come raccontano i Vangeli sinottici (Matteo 26,26-29; Marco 14,22-25; Luca 22,15-20), durante l’Ultima Cena Gesù prese il pane, lo spezzò, lo diede ai suoi discepoli e disse: «Prendete e mangiatene tutti, questo è il mio corpo offerto in sacrificio per voi»; poi prese il calice, rese grazie, lo diede ai suoi discepoli e disse: «Bevetene tutti, perché questo è il Mio Sangue dell’alleanza versato per voi e per tutti in remissione dei peccati».

Fu solo dopo che il ciclo dei romanzi del Graal si fu costituito, che la coppa venne identificata con quella dell’ultima cena di Gesù Cristo, collegando l’etimologia dei termini francesi san greal («Sacro Graal») e sang real («sangue reale»).

Tra gli autori di questo collegamento vi è Jacopo da Varagine, il quale nel 1260 circa racconterà nella Legenda Aurea che, durante la prima Crociata (del 1099), i Genovesi trovarono il calice usato da Gesù nell’Ultima Cena.

Uno dei primi reperti a cui si attribuì la leggenda, poi detta “del Graal”, fu infatti quello che ad oggi viene chiamato il Sacro Catino: si tratta di un vaso, intagliato in una pietra verde brillante e traslucida, recuperato dal condottiero della Repubblica di Genova Guglielmo Embriaco Testadimaglio dalla Terrasanta, quando al fianco di Goffredo di Buglione contribuì in maniera decisiva alla caduta di Gerusalemme. Re Baldovino fece scrivere sopra la porta del Santo Sepolcro: Praepotens Genuensium Praesidium, a ricordo della incredibile impresa dei Genovesi, e riportò nel 1101 il reperto, che è ancor oggi conservato al Museo del Tesoro della cattedrale di San Lorenzo a Genova.

volume_1/religione_medievali/approfondimento_-_il_sacro_graal.txt · Ultima modifica: 2024/06/21 10:14 da luca