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LA PRIMA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE

Acciaierie di notte a Cardiff, Lionel Walden (Public Domain)

La Rivoluzione industriale (1760-1840 circa) portò a profondi cambiamenti sociali e a un’innovazione della meccanizzazione. Iniziato in Gran Bretagna, questo processo fu caratterizzato dall’invenzione delle macchine a vapore, che furono usate nelle fabbriche dei centri urbani in continua crescita. Anche se l’agricoltura rimase un settore importante, il prodotto più esportato in Gran Bretagna divennero i tessuti di cotone. Il capitale rimpiazzò la terra come indicatore di ricchezza e la forza lavoro si diversificò, arrivando a includere un numero crescente di donne e bambini.

Definizione di una “rivoluzione”

Datare con precisione l’inizio e la fine della Rivoluzione industriale in Gran Bretagna è una questione problematica. Gli storici non concordano tutti su delle date precise, poiché la “rivoluzione” non fu un singolo accadimento drammatico, né tanto meno una serie di eventi. Si trattò, piuttosto, di un lungo e graduale processo di meccanizzazione dell’industria e dell’agricoltura, che a sua volta fu la causa di numerosi e importanti cambiamenti sociali di lunga durata, di cui il principale fu l’accelerazione dell’urbanizzazione in tutta la Gran Bretagna.

Generalmente, si prende in considerazione un intervallo di tempo che va dalla metà del Settecento alla metà dell’Ottocento. Anche se quest’ultimo è l’approccio generalmente più seguito, non tiene conto di alcuni necessari sviluppi accaduti in precedenza (per esempio, l’aumento dell’efficienza agricola) e il fatto che l’invenzione di nuove macchine (come il telefono) avvenne successivamente. Uno studio pubblicato nel 2024 dall’Università di Cambridge, che si concentra sullo studio delle attività lavorative, suggerisce una data iniziale collocabile circa nella metà del Seicento.

L’espressione “rivoluzione industriale”, coniata dallo storico Arnold Toynbee nel 1884, è fuorviante, poiché questo processo di cambiamento non fu né veloce né guidato da insurrezioni popolari. Inoltre, la parola “industriale” esclude l’importanza dei significativi cambiamenti nella vita rurale che ebbero luogo in questo periodo. Ciò che è certo, è che, anche se imperfetta, l’etichetta di “rivoluzione industriale” raccoglie in sé l’idea dei tremendi cambiamenti che hanno riguardato le città, le campagne e la vita lavorativa alla fine del XIX secolo che, agli occhi di un ipotetico visitatore di un paio di secoli prima, sarebbero apparse praticamente irriconoscibili. L’autore Thomas Hardy (1840-1928) ha osservato che le ferrovie a vapore da sole, che probabilmente sono l’elemento più visibile della “rivoluzione” per la maggior parte delle persone, hanno portato più cambiamenti rispetto a qualsiasi altro fatto accaduta dai tempi della conquista normanna dell’Inghilterra.

La Rivoluzione industriale ha avuto luogo in Gran Bretagna e quindi, quando ci si riferisce a essa con questa accezione, è spesso chiamata Prima rivoluzione industriale. Nel momento in cui il processo di meccanizzazione e urbanizzazione si è diffuso in altri paesi, viene chiamato Seconda rivoluzione industriale, come per esempio in Francia dal 1830, in Germania dal 1850 e negli Stati Uniti dal 1865.

La prima Rivoluzione Industriale, sec. 1760 - 1840 - Simeon Netchev (CC BY-NC-ND)

Le cause della Rivoluzione industriale

Le ragioni per cui la Rivoluzione industriale iniziò in Gran Bretagna sono molteplici. - Innanzitutto, l’efficiente sistema agricolo riusciva a sfamare la popolazione in forte crescita. - La Gran Bretagna poi aveva combustibile in abbondanza e a poco prezzo grazie ai suoi bacini carboniferi che, già nel 1700, producevano l’80% del carbone in Europa. - Aveva anche un altro vantaggio competitivo, cioè l’uso del coke come combustibile per produrre ferro di alta qualità. Il coke si otteneva mettendo il carbone in una fornace per rimuovere quante più impurità possibili. Il primo altoforno funzionante che impiegava il coke fu usato nel 1709 a Coalbrookdale, in Shropshire, in uno stabilimento di proprietà di Abraham Darby (1678-1717).

La Gran Bretagna, dunque, aveva sia il materiale per creare i macchinari che il combustibile per farli funzionare ancora prima che la Rivoluzione industriale vera e propria iniziasse.

La forza lavoro in Gran Bretagna era relativamente costosa a causa dell’espansione del sistema agricolo, che adesso si basava sempre di più sui “campi recintati”, cioè, sul fenomeno della recinzione dei terreni demaniali effettuate in Inghilterra a partire dal XVI secolo (le cosiddette enclosed land o enclosure) che avevano eliminato il sistema degli open field. Le fattorie avevano bisogno di più lavoratori ma, con l’aumento dell’urbanizzazione, ne erano disponibili sempre meno, e così i salari erano aumentati.

A causa di questo rincaro della manodopera alcuni inventori,iniziarono a progettare macchinari che potessero in qualche modo diminuire la necessità di forza lavoro.

La tendenza ad abbandonare le campagne per andare in cerca di lavoro, causata dal fenomeno delle enclosure, fu accelerato e sfruttato dagli imprenditori, che riuscirono a creare fabbriche meccanizzate, in particolare stabilimenti tessili. Una volta che l’urbanizzazione toccò un certo livello, le invenzioni accelerarono la “rivoluzione”, dato che sempre più macchine venivano ideate per crearne altre sempre migliori, facendo salire il tasso di meccanizzazione. La ferrovia diede un forte impulso a questo processo, generando una domanda sempre più alta di carbone, ferro e acciaio. Rapidamente il ritmo di urbanizzazione aumentò ancora, e si venne a creare un nuovo mercato di consumo per la classe media, che portò a un ulteriore aumento dell’innovazione e della produzione.

Le iniziative del Governo

Durante la prima rivoluzione industriale la Gran Bretagna implementò politiche e misure che favorivano lo sviluppo economico e l’innovazione industriale. Questo avvenne poi anche in altri paesi dove la rivoluzione industriale si avviò in ritardo rispetto alla Gran Bretagna.

  • Vennero introdotte leggi sui brevetti per proteggere le invenzioni, come il Patent Act in Gran Bretagna (1624, poi evoluto nel tempo). Questo permetteva agli inventori di avere diritti esclusivi sulle loro creazioni, incentivando gli investimenti nell’innovazione perché i capitalisti sapevano che avrebbero potuto trarre profitti senza temere imitazioni immediate.
  • Furono ridotte tasse e regolamenti sulle attività industriali e commerciali, facilitando l’avvio di imprese.
  • Si capì subito l’importanza di investire nelle infrastrutture come strade, canali e ferrovie, che favorirono il trasporto di materie prime e prodotti finiti.
  • Non esistevano leggi sul salario minimo o sulla sicurezza sul lavoro, e il lavoro minorile era comune, abbassando i costi di produzione. Anche se queste condizioni erano di vero e proprio sfruttamento dei lavoratori, consentirono alle imprese di aumentare i profitti iniziali.
  • Le banche iniziarono a fornire prestiti e capitale ai capitalisti, mentre i governi talvolta garantivano la stabilità economica o agevolavano i flussi di capitale.
  • La Gran Bretagna, in particolare, promosse politiche di libero mercato e appoggiò un sistema economico capitalista che lasciava ampio margine di manovra agli investitori.
  • Le politiche coloniali garantivano l’accesso a materie prime a basso costo e mercati protetti.
Watt & Boulton steam engine (Creative Commons Attribution-NonCommercial-ShareAlike)

Inventori e macchinari

Il motore a vapore

L’acqua, il vento e la forza fisica erano stati sfruttati per lunghissimo tempo per far funzionare macchinari pesanti come mulini a vento e ruote idrauliche. Questi primi impianti avevano permesso agli imprenditori di sostituire il vecchio modello di attività artigianale (nel quale, per esempio, i tessitori qualificati lavoravano nelle proprie case) con un sistema in cui un gruppo di lavoratori non qualificati viveva e operava in prossimità del posto in cui si trovavano le macchine. L’invenzione del motore a vapore fu il catalizzatore di un cambiamento ancora maggiore. Le macchine a vapore furono sviluppate inizialmente per permettere alle pompe di drenare le gallerie e i pozzi minerari per scavare più in profondità.

La pompa a vapore fu brevettata nel 1698 da Thomas Savery (1650 circa-1715). Nel 1710, Thomas Newcomen (1664-1729) modificò il progetto di Savery, rendendo il dispositivo più efficiente. La macchina di Newcomen riusciva a estrarre 5.000 galloni ogni ora (oltre 22.730 litri), raggiungendo una profondità di 153 piedi (46,6 metri). Il problema era la quantità di combustibile di cui la macchina necessitava. Nel 1769, il motore a vapore progettato da James Watt (1736-1819), a cui Matthew Boulton (1728-1809) aggiunse delle modifiche, soddisfò la domanda che c’era sul mercato per un potente motore che potesse essere usato ovunque. Nel 1800, la Gran Bretagna possedeva oltre 2.500 motori a vapore, la maggior parte dei quali usata nelle miniere, in fabbrica e nei cotonifici. Per fare un paragone, nello stesso momento in Francia ne esistevano 200 e poco più di dieci negli Stati Uniti. Altri inventori aumentarono la potenza di questi motori tanto che, negli anni Trenta dell’Ottocento, poterono essere usati per alimentare treni e navi a vapore.

I trasporti

In Gran Bretagna le ferrovie a vapore rivoluzionarono il modo di viaggiare e di vivere. Il 27 settembre 1825, il treno Locomotion, ideato da George Stephenson (1781-1848), trasportò i primi passeggeri da Stockton a Darlington, nel nordest dell’Inghilterra. Nel 1829, il figlio di George Stephenson, Robert Stephenson (1803-1859), creò il Rocket, e partecipò ai Rainhill Trials. I Trials erano delle competizioni pensate per individuare la migliore locomotiva da usare sulla tratta tra Manchester e Liverpool, che aprì nel 1830. Nel 1838, Birmingham fu collegata a Londra; nel 1841, i passeggeri della Great Western Railway potevano arrivare dalla capitale fino a Bristol. Nel 1845 fu inaugurata la linea tra Manchester e Londra, che durava otto ore (le vecchie diligenze ne impiegavano circa 80 ore). Le ferrovie erano in rapidissima espansione. Negli anni Settanta dell’Ottocento, c’erano oltre 15.000 miglia di binari (circa 24.000 km), su cui viaggiavano più di 300 milioni di passeggeri e oltre 150 milioni di tonnellate di merci ogni anno.

L’applicazione del motore a vapore alle navi seguì quella sui treni. L’ingegnere Isambard Kingdom Brunel (1806-1859) usò il motore a vapore sull’enorme nave SS Great Western (1838), sull’innovativa SS Great Britain (1843) - dotata di un innovativo sistema di propulsione a elica- e sulla SS Great Eastern (1858), che all’epoca era la più grande nave del mondo, lunga 692 piedi (211 m). Queste e altre navi attraversavano l’Atlantico più velocemente che mai (10 giorni contro i 32 usando la vela), e presto furono tracciate nuove ambiziose rotte per l’India e L’Australia.

Locomotiva della classe Iron Duke - Hugh Llewelyn (CC BY-SA)

### Le fabbriche

A partire dagli anni Novanta del XVIII secolo, le macchine a vapore furono utilizzate così tanto negli stabilimenti tessili industriali che, arrivati nel 1835, circa il 75% dei cotonifici usava la forza del vapore. Vennero ideate una serie di macchine che rivoluzionarono il modo di pulire, filare e tessere il cotone. Tra questi dispositivi possiamo annoverare la spoletta volante diJohn Kay (1733), la macchina per filare - la spinning jenny di James Hargreaves (1764), il telaio idraulico di Richard Arkwright (1769), il particolare filatoio chiamato spinning mule di Samuel Crompton (1779), il telaio meccanico di Edmund Cartwright (1785), la sgranatrice di cotone di Eli Whitney (1794) e il telaio semi-automatico di Richard Roberts (1822-5). A causa della meccanizzazione delle fabbriche, in Gran Bretagna, “i cotonifici erano così efficienti che surclassavano quelli di qualsiasi altra parte del mondo” (Allen,187).

Naturalmente ci furono delle proteste contro la crescente meccanizzazione, ritenuta responsabile di una diminuzione di richiesta della manodopera. Una delle reazioni più violente fu quella dei luddisti: si trattava di operai e artigiani che si opponevano all’introduzione delle macchine industriali, considerate responsabili della perdita dei loro posti di lavoro e del peggioramento delle condizioni di vita. Il nome deriva dalla figura leggendaria di Ned Ludd, un operaio simbolico, che si dice avesse distrutto un telaio per protesta. Il movimento si manifestò principalmente tra il 1811 e il 1816, con azioni violente come il sabotaggio e la distruzione di macchinari nei settori tessile e manifatturiero. I luddisti non si opponevano necessariamente al progresso tecnologico in sé, ma al modo in cui veniva utilizzato per ridurre i salari, aumentare lo sfruttamento e minare la loro autonomia professionale. Il governo rispose con una repressione dura, introducendo leggi severe e condannando molti partecipanti a pene esemplari, inclusa la pena di morte.

In realtà, su un periodo di tempo più lungo, si crearono molti più posti di lavoro nelle fabbriche di quanti fossero stati disponibili con i vecchi stabilimenti artigianali.

L’agricoltura

La Rivoluzione industriale è spesso descritta come la trasformazione della società agricola in quella industriale. L’agricoltura però rimase un settore importante nell’ economia britannica. Il sistema delle enclosures permise all’agricoltura di soddisfare i bisogni della popolazione in continua crescita. Nel giro di 55 anni, dal 1760 al 1815, in Gran Bretagna vennero recintati più di 7 milioni di acri (28.300 km²) di terre demaniali. L’uso di fertilizzanti migliori fece aumentare la resa dei raccolti. Nuovi metodi di allevamento migliorarono la qualità del bestiame.

La mobilità e il risparmio di carburante del motore di Watt permisero ai contadini di utilizzare diverse macchine su qualsiasi tipo di terreno. Nel 1737, Andrew Rodgers inventò la macchina per la vagliatura (che separava il grano dal loglio). Andrew Miele (1719-1811), nel 1787, ideò la prima trebbiatrice a vapore per separare i chicchi di grano (o di altri cereali) dalla paglia e dalla pula. Le macchine a vapore vennero utilizzate per estirpare gli alberi che “occupavano” i campi e per bonificare i terreni acquitrinosi. Gli strumenti prodotti con le macchine a vapore erano più economici, avevano lame migliori e duravano più che in precedenza. La produzione in massa permise ai coltivatori di riparare le loro attrezzature meccaniche con pezzi di ricambio, piuttosto che sostituirle interamente.

Telai meccanici in uno stabilimento tessile - J. Tingle (Public Domain)

Tutti questi fattori resero il prezzo del cibo più economico per tutti. La produzione agricola nazionale, insieme alle importazioni, permise di sfamare una popolazione che era passata dai 6 milioni del 1750 ai 21 milioni del 1851. Un aspetto negativo dell’aumento della produzione agricola fu che i canoni di affitto dei terreni schizzarono alle stelle, e i piccoli contadini dovettero spostarsi altrove o cercare una professione differente. Come nel caso dei Luddisti, ci furono violente manifestazioni anche contro la meccanizzazione agricola. Gli Swing Riots, tra il 1830 e il 1832, furono delle proteste - seppur di breve durata - durante le quali, nelle campagne, venivano distrutti i macchinari. Anche se molti partivano dalle aree rurali per cercare un nuovo lavoro e farsi una nuova vita nelle città, molti restavano nelle campagne. Nel 1841, “poco più di un quinto della popolazione, il 22% della forza lavoro del paese, lavorava la terra” (Shelley, 44).

Altre invenzioni

Altre importanti invenzioni nel corso della Rivoluzione industriale furono il cronometro marittimo, creato da John Harrison (1693-1776) nel 1770, che permise ai navigatori di misurare accuratamente la longitudine. Il primo ponte in ghisa al mondo fu costruito sul fiume Severn, in Shropshire, da Abraham Darby III (1750-89), e aperto al pubblico nel 1781. Frederick Albert Winsor (1763-1830) mostrò la sua nuova invenzione a Londra, nel 1807: l’illuminazione delle strade usando il gas a carbone, una sostanza molto utile usata anche per riscaldare le case e cucinare. La fresatrice fu inventata intorno al 1818, ma è difficile stabilire chi sia stato il vero inventore, tenendo conto del fatto che in questo periodo le idee o si condividevano, o si prestavano, o si rubavano. Le macchine riuscivano a intagliare pezzi di metallo, come bulloni e dadi, in un modo quasi impossibile da realizzare a mano. Il cemento Portland fu un cemento a presa rapida inventato nel 1824 da Joseph Aspdin (1778-1859). Il telegrafo fu inventato nel 1837 da William Fothergill Cook (1806-1879) e Charles Wheatstone (1802-1875), e rivoluzionò il modo di comunicare. Il maglio a vapore, sviluppato nel 1839 da James Nasmyth (1808-1890), permise di piegare uniformemente i pezzi di metallo necessari a motori a vapore, ponti e navi. Alla fine, il convertitore Bessemer (Henry Bessemer, 1813-1898) del 1856 permise di ridurre i costi di produzione dell’acciaio, un materiale più forte e più leggero del ferro.

L’impatto positivo della Rivoluzione industriale

L’impatto delle Rivoluzione industriale fu enorme. Le macchine a vapore ridussero i costi di produzione, generando profitti più alti, e permisero di produrre beni per il consumo di massa a basso costo. La rivoluzione dei trasporti favorì questa tendenza, dato che un singolo treno trasportava 20 volte il carico di una chiatta e arrivava a destinazione 8 volte più velocemente. La meccanizzazione e l’espansione delle ferrovie furono il volano per le industrie di estrazione del carbone, del ferro e dell’acciaio. Nacquero tutta una serie di nuovi lavori, per esempio nelle stazioni ferroviarie, nei cantieri e nelle fabbriche. Le donne ottennero un’indipendenza finanziaria maggiore: nelle fabbriche tessili costituivano oltre la metà della forza lavoro. Molte persone poterono permettersi di fare un’escursione in treno al mare una volta l’anno. Il telegrafo aumentò enormemente la velocità delle comunicazioni.

Telegrafo - Science Museum, London (CC BY-NC-SA)

Il tasso di alfabetizzazione aumentò in relazione all’incremento delle opportunità di accedere a un’istruzione di base, e anche perché i libri divennero un prodotto economico, grazie alle macchine per la stampa e alle tecniche di fabbricazione della carta. Gli abitanti delle città si sposavano a una età inferiore, facendo più figli. Un miglioramento della dieta e nuovi vaccini innalzarono l’aspettativa di vita, ma molto dipendeva dal lavoro che si faceva, e il tasso di mortalità infantile in alcuni periodi poteva essere comunque alto.

La classe media urbana si espanse, arrivando al 25% della popolazione nel 1800. Spesso viveva nei più piacevoli e verdeggianti sobborghi delle città. Le classi medie avevano la possibilità di andare nei negozi che aprivano sempre più numerosi, che si riempivano continuamente di un’ampia gamma di merci provenienti dalla Gran Bretagna e dal suo impero. Venivano convinte a spendere il loro reddito da nuove strategie di commercializzazione dei prodotti, come campagne pubblicitarie di massa ed eleganti saloni espositivi, come quello del vasaio Josiah Wedgwood (1730-1795). Potevano permettersi di avere la servitù e di mandare i loro figli in scuole migliori o di affidarli a precettori privati. Durante la Rivoluzione industriale, il tenore di vita aumentò per molte persone, in media del 30% circa, ma le classi più basse sperimentarono questa crescita solo negli anni Trenta dell’Ottocento.

L’impatto negativo della Rivoluzione industriale

I benefici della “rivoluzione” ebbero comunque delle conseguenze negative. Le industrie tradizionali, come la tessitura manuale e il trasporto con le diligenze, vennero praticamente eliminate con l’arrivo delle macchine a vapore. La domanda di forza lavoro a basso costo divenne insaziabile, dato che i profitti attiravano un numero sempre maggiore di imprenditori. Dal 1800 al 1850, i bambini costituirono tra il 20 e il 50% dei lavoratori nelle miniere, iniziando a lavorare più o meno a otto anni. Sfruttati con paghe più basse rispetto agli adulti, ma costretti a fare ugualmente turni da 12 ore, i lavoratori minorenni furono usati in tutte le industrie. Nel 1851 una commissione di inchiesta stabilì che “un terzo dei bambini sotto i 15 anni lavorava fuori da casa” (Horn, 57). Questi bambini non ricevevano alcuna istruzione, e spesso morivano giovanissimi. I bambini rappresentavano comunque una forza lavoro preziosa: - venivano pagati meno degli adulti; - le loro dimensioni ridotte permettevano loro di lavorare in spazi stretti, come le miniere o per accedere a zone difficoltose di macchinari industriali; - la loro condizione di subordinazione li rendeva più facilmente manipolabili dai datori di lavoro.

Le leggi che erano state gradualmente introdotte per tutelare i minori erano ancora insufficienti, come ad esempio: - il Factory Acts (leggi sulle fabbriche): una serie di leggi promulgate nel Regno Unito tra il 1802 e il 1878, che miravano a regolamentare l’impiego di donne e bambini, limitando le ore di lavoro e imponendo standard minimi di sicurezza. Il Factory Act del 1833, ad esempio, proibiva il lavoro dei bambini sotto i 9 anni e limitava le ore lavorative dei bambini tra i 9 e i 16 anni a 48 ore settimanali. - il Mines Act del 1842: vietava il lavoro sotterraneo ai bambini sotto i 10 anni e alle donne. - il Compulsory Education Act (1870): sebbene introdotta dopo il 1851, questa legge rese l’educazione obbligatoria per i bambini, sottraendoli gradualmente al lavoro.

Le fabbriche offrivano molte nuove tipologie di lavoro, ma la maggior parte erano non qualificati, monotoni e ripetitivi. La paga era regolare, ma la giornata lavorativa era scandita dall’orologio della fabbrica. Non c’era un salario minimo, né tantomeno le paghe erano legate all’inflazione; i lavoratori erano sempre sotto la costante minaccia di licenziamento immediato. Gli operai possedevano poche abilità trasferibili, e così rimanevano sempre allo stesso livello. Inoltre, nel sistema industriale, gli operai si concentravano solo su una specifica parte del processo di produzione. Pertanto, avevano un minor senso di soddisfazione verso il prodotto finito, al contrario di quanto accadeva nel vecchio sistema artigianale.

Per i lavoratori, senza distinzione di sesso ed età, le fabbriche costituivano luoghi pericolosi e insalubri. I cotonifici erano sempre tenuti al buio e mantenuti umidi, per proteggere i filamenti di cotone; la situazione però era deleteria per i polmoni degli operai. Anche le miniere presentavano moltissimi pericoli. I macchinari erano pericolosi, e potevano causare infortuni seri in caso di rottura o quando erano in movimento. Le fabbriche erano anche ambienti rumorosi, e ciò causava spesso problemi di udito. L’uso comune di sostanze tossiche come piombo e mercurio costituiva un altro pericolo per la salute. I responsabili imponevano regole severe e comminavano multe salate. I tentativi di creare delle organizzazioni sindacali andarono incontro al divieto del governo dal 1799 al 1824. Negli anni Trenta dell’Ottocento, vennero gradualmente attuate delle riforme e le condizioni e i diritti dei lavoratori migliorarono: la giornata lavorativa venne fissata a dieci ore e i datori di lavoro furono obbligati a prestare più attenzione all’igiene e alla sicurezza dei luoghi di lavoro.

L’urbanizzazione fu un fenomeno che accelerò molto nel corso della Rivoluzione industriale. Il censimento del 1851 rivelò che, per la prima volta, viveva più gente nelle città che nelle campagne. Questa tendenza causò una serie di nuovi problemi. Le città diventarono affollate, e gli operai spesso vivevano in alloggi poveri, condividendo la proprietà tra famiglie. Le strade erano inquinate e non sanificate e nel 1837, 1839 e 1847 ci furono delle epidemie di tifo; nel 1831 e nel 1849, invece, di colera. Anche l’aria era inquinata dal fumo che sbuffava dagli altiforni a carbone delle numerose fabbriche. Il tasso di criminalità aumentò, anche se in gran parte si trattava di reati minori, dovuti al crescente numero di poveri nelle città, nelle quali era più facile restare nell’anonimato. Lo Stato fece un timido tentativo di aiutare i disoccupati creando le case di lavoro (le cosiddette workhouses), delle istituzioni dove coloro che non erano in grado di supportarsi finanziariamente trovavano alloggio ed impiego. Tuttavia, fin troppo spesso le condizioni di vita in queste strutture erano persino peggiori di quelle dei lavoratori che venivano pagati di meno. Nonostante tutti i problemi, il processo di urbanizzazione continuò: entro il 1880, solo il 20% dei cittadini della Gran Bretagna viveva nelle aree rurali, mentre la proprietà della terra era concentrata nelle mani del 5% della popolazione.

Housing in London c. 1870s by Gustave Doré- Public domain

Il fenomeno delle “workhouse”

Le workhouse erano state un tentativo di affrontare la povertà in un’epoca di rapidi cambiamenti economici e sociali, nate in base alla Poor Law Amendment Act del 1834. Tuttavia, le condizioni rigide e l’approccio punitivo riflettevano una visione della povertà basata sulla colpevolizzazione dei poveri, piuttosto che su un autentico sostegno.

Per alcuni aspetti la loro istituzione può essere vista in modo positivo, in quanto fornivano un rifugio, cibo e cure mediche essenziali a chi era in estrema povertà e non aveva altre risorse. In questo modo offrivano un’alternativa alla mendicità e all’elemosina per coloro che non erano in grado di mantenersi autonomamente. Non sempre, ma in alcuni casi le workhouse offrivano accesso a trattamenti medici e servizi sanitari che altrimenti sarebbero stati fuori portata per i più poveri. Inoltre i giovani ospitati potevano accedere a un’istruzione di base, che in alcune situazioni rappresentava un’opportunità per migliorare la propria condizione futura.

D’altro canto però gli ambienti delle workhouse erano intenzionalmente progettati per essere sgradevoli, come deterrente per evitare che troppe persone vi si affidassero. Chi entrava nelle workhouse era spesso visto con disprezzo, associato alla povertà e al fallimento personale. Gli ospiti erano costretti a svolgere lavori pesanti e ripetitivi, come rompere pietre o disfare vecchie corde, spesso senza un reale scopo produttivo. In molte workhouse si verificarono episodi di maltrattamenti, abusi e sfruttamento da parte del personale nei confronti degli ospiti.

Pranzo alla workhouse di St Pancras, Londra, 1911 - Public domain

Una nuova visione della povertà

La rivoluzione industriale trasformò la povertà da un fenomeno agricolo e locale a una realtà urbana e nazionale. Questo cambiamento spinse le società a rivedere il modo di affrontare la questione, con approcci che oscillavano tra punizione e assistenza.

La concezione tradizionale della povertà (pre-industriale) era quella di un fenomeno naturale o ciclico. Nelle società agricole, la povertà era considerata parte integrante della vita: un destino ineluttabile per molte persone a causa di cattivi raccolti, carestie o disastri naturali. Il problema veniva affrontato con un senso di responsabilità collettiva: era diffusa l’idea che i membri della comunità, spesso attraverso la parrocchia, avessero il dovere morale e religioso di assistere i poveri (la cosiddetta “carità cristiana”).

Con la rivoluzione industriale la concezione della povertà cambiò drasticamente. Le città si riempirono di lavoratori poveri, che vivevano in condizioni precarie, in quartieri sovraffollati e malsani. La povertà urbana divenne quindi visibile su scala molto più ampia, rendendo evidente che non era più solo un problema individuale ma anche sociale. Con l’ascesa del capitalismo, si diffuse l’idea che il successo economico dipendesse dall’impegno personale e dalla capacità di adattarsi al lavoro industriale. I poveri vennero spesso accusati di pigrizia o incapacità. Di conseguenza si passò da una concezione più compassionevole a una visione moralistica e punitiva.

Gli economisti classici, come Adam Smith e Thomas Malthus, influenzarono il dibattito sulla povertà. Malthus sosteneva che la povertà fosse inevitabile a causa della crescita della popolazione, che avrebbe superato le risorse disponibili. Secondo lui, l’assistenza ai poveri poteva persino aggravare il problema, incoraggiando l’aumento della popolazione. Questa visione giustificò politiche che scoraggiavano il sostegno ai poveri, come il sistema delle workhouse, ispirato dall’idea che l’aiuto doveva essere deterrente. L’accesso alle workhouse era accompagnato da condizioni di vita così dure da scoraggiare chiunque dall’affidarsi all’assistenza pubblica.

Con il progredire della rivoluzione industriale, alcuni pensatori iniziarono però a riconoscere che la povertà non era sempre causata da difetti individuali ma poteva essere il risultato di problemi strutturali, come salari bassi, cattive condizioni di lavoro e mancanza di opportunità. Movimenti come il socialismo e il sindacalismo cominciarono a contestare le narrative dominanti, chiedendo giustizia sociale e migliori condizioni per la classe lavoratrice.

La diffusione della Rivoluzione industriale

Altri paesi in seguito imitarono la Gran Bretagna. Le idee riguardanti le tecnologie, l’industria e la coltivazione oltrepassarono facilmente i confini. Alcuni paesi che avevano una manodopera a bassissimo costo o un prezzo del combustibile elevato dovettero attendere che i macchinari diventassero meno costosi e più efficienti. La diffusione delle ferrovie si rivelò un buon indicatore di questo processo. Negli Stati Uniti, la prima ferrovia funzionante fu completata nel 1833 (da New York a Philadelphia). La prima linea ferroviaria dell’Europa continentale fu realizzata in Belgio, nel 1835 (da Bruxelles a Malines). Entro il 1870, la ferrovia si diffuse in Canada, Australia, India e in gran parte dell’Europa. Le altre innovazioni si diffusero allo stesso modo. Nel XX secolo, direttamente o indirettamente, sono rimasti solo pochi stati a non essere stati toccati dai tentacoli del “progresso” portato dalla Rivoluzione industriale.

Per capire come la rivoluzione industriale si diffuse nel resto del mondo è interessante analizzare brevemente la situazione nei vari Paesi.

Europa continentale

  • Francia - La Rivoluzione Industriale in Francia fu più lenta rispetto alla Gran Bretagna a causa di fattori come le guerre napoleoniche, che rallentarono lo sviluppo economico, e la priorità data all’agricoltura rispetto all’industria.Tuttavia, nel XIX secolo, con la fine delle guerre e il consolidamento del potere politico, la Francia sviluppò settori come il tessile, la metallurgia e le ferrovie. Tutto questo venne facilitato anche dalla disponibilità di risorse naturali, come il carbone nelle regioni settentrionali.
  • Germania - La Germania industrializzò rapidamente nella seconda metà del XIX secolo, dopo la sua unificazione (1871). Il paese beneficiava di vaste risorse naturali, come il carbone della Ruhr e il ferro della Saar. Il forte investimento nell’istruzione tecnica e scientifica contribuì allo sviluppo di settori avanzati, come la chimica e l’ingegneria meccanica. Le ferrovie furono un fattore cruciale per collegare i mercati interni e promuovere l’industria pesante.
  • Belgio - Fu uno dei primi Paesi europei, dopo la Gran Bretagna, a industrializzarsi. Grazie alla presenza di abbondanti risorse minerarie, come il carbone e il ferro, il Paese divenne un centro per la produzione di acciaio e tessili.La posizione geografica strategica favorì il commercio e l’integrazione economica con altri Paesi europei.
  • Italia - L’Italia iniziò la sua industrializzazione in ritardo, nella seconda metà del XIX secolo, con grandi differenze tra il Nord, più industrializzato, e il Sud, prevalentemente agricolo. La Valle del Po divenne un importante centro per l’industria tessile e meccanica, mentre regioni come il Piemonte e la Lombardia guidarono lo sviluppo economico. Il vero boom dell’industrializzazione italiana fu il periodo giolittiano (1903-1914).

La diffusione al di fuori dell’Europa

  • Stati Uniti - La Rivoluzione Industriale arrivò negli Stati Uniti all’inizio del XIX secolo, con l’industria tessile del New England tra i primi settori a svilupparsi. L’abbondanza di risorse naturali, come ferro, carbone e legno, unita a una popolazione in crescita e all’immigrazione, creò un contesto favorevole per l’industrializzazione. La costruzione di ferrovie e canali, come il Canale Erie (584 Km), facilitò il commercio interno e l’espansione dei mercati. Nella seconda metà del XIX secolo, gli Stati Uniti divennero un leader mondiale nella produzione di acciaio e nel settore manifatturiero, con innovazioni come la catena di montaggio.
  • Giappone - Il Giappone intraprese un processo di industrializzazione accelerato dopo la Restaurazione Meiji (1868), durante la quale il governo adottò politiche di modernizzazione per competere con le potenze occidentali. Si svilupparono settori come il tessile (soprattutto la seta) e l’industria pesante, con il sostegno del governo che favorì la costruzione di infrastrutture e la formazione di conglomerati industriali (zaibatsu). L’industrializzazione giapponese rappresentò un caso unico in Asia, poiché combinò tradizioni locali con tecnologie occidentali.
  • Russia - La Russia cominciò a industrializzarsi nella seconda metà del XIX secolo, con uno sviluppo concentrato nelle regioni occidentali e nei centri urbani come Mosca e San Pietroburgo. La costruzione della ferrovia Transiberiana favorì l’integrazione del vasto territorio russo e facilitò lo sfruttamento delle risorse naturali. Tuttavia, la Russia mantenne una forte dipendenza dall’agricoltura e soffrì di disparità economiche tra la popolazione.

CREDITS

Adapted from British Industrial Revolution by Harrison Mark, published on World History Encyclopedia under a Creative Commons Attribution-NonCommercial-ShareAlike license. https://www.worldhistory.org/British_Industrial_Revolution/

volume_2/700/la_prima_rivoluzione_industriale.txt · Ultima modifica: 2025/01/12 08:00 da luca