Il sorgere della coscienza nazionale non fu un processo unitario, lineare o coerentemente definito; diversi programmi, aspettative e ideali, a volte anche incompatibili tra loro, confluirono in un vero e proprio crogiolo: vi erano in campo quelli romantico-nazionalisti, repubblicani, protosocialisti, massoni, anticlericali, liberali, monarchici filosabaudi e papalini, laici e clericali, vi era l’ambizione espansionista di Casa Savoia verso la Lombardia, vi era la volontà di liberarsi dal dominio austriaco nel Regno del Lombardo-Veneto, unitamente al generale desiderio di migliorare la situazione socio-economica approfittando delle opportunità offerte dalla rivoluzione tecnico-industriale, superando al contempo la frammentazione della penisola laddove sussistevano Stati, in parte liberali, che spinsero i vari rivoluzionari della penisola a elaborare e a sviluppare un’idea di patria più ampia e ad auspicare la nascita di uno Stato nazionale analogamente a quanto avvenuto in altre realtà europee come Francia, Spagna e Gran Bretagna.
Giuseppe Mazzini (1805-1872) fu uno dei principali esponenti del Risorgimento italiano e un pensatore politico che promosse il nazionalismo democratico e repubblicano. Ripetutamente arrestato e condannato a morte in contumacia, dovrà vivere da esule gran parte della sua vita.
La sua visione politica si fondava su tre pilastri fondamentali: unità, libertà e democrazia. Mazzini credeva che ogni nazione avesse una missione storica e che il popolo dovesse essere protagonista della costruzione dello Stato. Il suo nazionalismo era inclusivo e democratico, in opposizione al nazionalismo aristocratico o monarchico. Riteneva che l’Italia dovesse unirsi non sotto una monarchia (come volevano Cavour e i Savoia), ma come una repubblica fondata sulla sovranità popolare.
Per Mazzini, la nazione non era solo una realtà geografica, ma un dovere morale: l’individuo doveva servire la patria per il bene comune (principio di umanità). Inoltre, vedeva l’unificazione italiana come parte di un più ampio movimento di liberazione dei popoli europei, basato sulla fratellanza tra le nazioni.
Mazzini univa politica e religione in una visione spirituale: credeva che la libertà e l’unità nazionale fossero parte di un disegno divino. Criticava sia il materialismo socialista di Marx sia il conservatorismo cattolico, proponendo invece una religione civile basata su Dio come ispirazione del progresso dell’umanità (Dio e popolo).
Fondò la Giovine Italia (1831), un movimento rivoluzionario che mirava a unire l’Italia attraverso l’insurrezione popolare. Credeva che solo il popolo potesse liberare la nazione, escludendo compromessi con monarchi o potenze straniere.
Mazzini era critico nei confronti del socialismo marxista, perché riteneva che la lotta di classe fosse divisiva e contraria all’idea di unità nazionale. Proponeva invece un’idea di giustizia sociale basata sulla cooperazione tra classi e sul lavoro come dovere morale.
Garibaldi aderisce agli ideali mazziniani della Giovine Italia (incisione al Museo del Risorgimento, Torino)
Carlo Cattaneo in una xilografia del 1887 di Edoardo Matania
Carlo Cattaneo (1801-1869) fu un filosofo, economista e politico italiano, noto per il suo pensiero federalista e repubblicano. Si oppose all’unificazione centralizzata dell’Italia sotto i Savoia, proponendo invece un modello basato sull’autonomia locale e sul progresso economico.
Cattaneo credeva che l’Italia dovesse unirsi non come uno Stato centralizzato, ma come una federazione di Stati autonomi, sul modello della Svizzera. Riteneva infatti che un governo centralizzato fosse inefficiente e inadatto a un paese con forti differenze regionali. La scelta più giusta era quella di sostenere la democrazia dal basso, con un forte ruolo delle comunità locali e dei comuni. Era contrario al modello monarchico dei Savoia e al centralismo burocratico imposto dopo l’Unità d’Italia.
Cattaneo era un convinto repubblicano, in netto contrasto con i moderati monarchici come Cavour e non accettava l’idea che l’unificazione dovesse avvenire sotto un re, perché vedeva nella monarchia un sistema arretrato e autoritario. Dimostrò personalmente la sua convinzione in queste idee partecipando attivamente alle Cinque Giornate di Milano (1848), opponendosi agli Austriaci e rifiutando l’intervento dei Savoia.
Secondo Cattaneo, l’unificazione dell’Italia doveva basarsi non solo su ideali politici, ma anche su riforme economiche e scientifiche. Era indispensabile sviluppare l’industria, le infrastrutture e l’istruzione (ricordiamo che in questo periodo l’Italia era fortemente in ritardo per quanto riguarda lo sviluppo industriale, rispetto ad altri paesi europei). Per favirure tutto questo riteneva fondamentali il libero scambio e l’innovazione.
A differenza di Mazzini, Cattaneo non credeva nelle insurrezioni armate come strumento per l’unità d’Italia. Sosteneva un processo graduale, basato su riforme politiche ed economiche e riteneva che il Risorgimento dovesse essere un processo culturale e sociale, non solo militare.
Ritratto di Vincenzo Gioberti, 1847
Vincenzo Gioberti (1801-1852) fu un filosofo, politico e sacerdote italiano che sviluppò un’ideologia politica nota come neoguelfismo, una delle principali correnti del Risorgimento italiano.
Gioberti sosteneva che l’Italia dovesse unirsi in una confederazione di Stati guidata dal Papa, senza eliminare del tutto le monarchie locali. Questa idea si opponeva sia alla repubblica mazziniana sia all’unificazione monarchica centralizzata sotto i Savoia.
La sua opera principale è il libro Del primato morale e civile degli Italiani (1843). La tesi sostenuta in questo testo è che l’Italia aveva un primato culturale e morale rispetto agli altri popoli, derivante dalla sua storia e dalla Chiesa cattolica. In questo contesto vedeva il Papa come il garante dell’unità nazionale, conciliando religione e progresso politico.
Gioberti era contrario al dominio austriaco in Italia e riteneva che gli italiani dovessero raggiungere l’unità senza rivoluzioni violente, ma attraverso riforme graduali e la guida morale della Chiesa. Il progresso civile e culturale dell’Italia sarebbero dovute raggiungere tramite il rinnovamento della Chiesa stessa. Non era repubblicano, ma nemmeno un sostenitore del dispotismo monarchico.
Dopo il 1848, Gioberti abbandonò l’idea che il Papa potesse guidare l’unificazione, a causa della fuga di Pio IX da Roma durante la rivoluzione. Nell’opera Rinnovamento civile d’Italia (1851), si avvicinò all’idea di un’unificazione guidata dal Regno di Sardegna, pur mantenendo una visione federalista.
Il socialismo risorgimentale rappresenta una corrente di pensiero e azione che, pur non essendo dominante nel panorama del Risorgimento italiano, ha lasciato un’impronta significativa, soprattutto nella seconda metà dell’Ottocento. Questo movimento ha una particolare attenzione alle questioni sociali ed economiche, spesso trascurate dalle élite liberali e moderate.
Il socialismo risorgimentale affonda le sue radici nelle idee di giustizia sociale, uguaglianza e emancipazione delle classi lavoratrici. Figure come Giuseppe Mazzini, pur non essendo socialisti in senso stretto, contribuirono a diffondere ideali di solidarietà e fratellanza che influenzarono anche i primi movimenti operai. Mazzini, ad esempio, credeva in una repubblica democratica che garantisse non solo libertà politiche, ma anche diritti sociali ed economici.
Tuttavia, il vero socialismo risorgimentale iniziò a prendere forma più chiaramente dopo i moti del 1848, quando le disillusioni per le promesse non mantenute di riforme sociali ed economiche portarono molti operai e contadini a cercare alternative alle élite liberali. In questo contesto, emersero figure come Carlo Pisacane, un patriota e socialista utopico, che sosteneva la necessità di una rivoluzione non solo politica, ma anche sociale. Pisacane credeva che l’unificazione italiana non avesse senso senza una redistribuzione della terra e una maggiore giustizia economica. Cercò di realizzare i suoi ideali con la spedizione di Sapri (1857), un tentativo insurrezionale per sollevare le popolazioni del Regno delle Due Sicilie contro i Borboni e promuovere l’unificazione italiana con una forte connotazione sociale. Pisacane, con circa 300 uomini, sbarcò a Sapri sperando di coinvolgere i contadini locali, ma l’impresa fallì per la mancata adesione popolare e l’intervento delle truppe borboniche. Pisacane e molti dei suoi compagni furono uccisi, ma la spedizione rimane un simbolo di coraggio e degli ideali sociali e patriottici del Risorgimento.
La morte di Carlo Pisacane, massacrato dai contadini di Sanza incitati dai filoborbonici
Il socialismo risorgimentale si caratterizzò per la sua attenzione alle condizioni delle classi più povere, in particolare contadini e operai, che spesso erano escluse dai benefici dell’unificazione. Mentre i liberali si concentravano sulla creazione di uno Stato unitario e sulla modernizzazione economica, i socialisti denunciavano lo sfruttamento dei lavoratori e l’assenza di riforme agrarie che migliorassero la vita delle masse rurali.
Una delle critiche principali del socialismo risorgimentale riguardava il fatto che l’unificazione, guidata dalle élite piemontesi, aveva favorito gli interessi della borghesia e dei grandi proprietari terrieri, trascurando le esigenze del popolo. Questo portò a tensioni e rivolte, come quelle nel Sud Italia dopo il 1861, dove il malcontento contadino sfociò nel brigantaggio, spesso interpretato come una forma di protesta sociale.
Nonostante queste tensioni, il socialismo risorgimentale non riuscì a imporsi come forza politica dominante durante il processo di unificazione. Tuttavia, gettò le basi per lo sviluppo del movimento socialista e operaio italiano nella seconda metà dell’Ottocento, con la successiva nascita di organizzazioni come la Prima Internazionale e, successivamente, il Partito Socialista Italiano.
Tratto, con modificazioni e integrazioni dalle pagine di Wikipedia relative a Giuseppe Mazzini, Carlo Cattaneo, Vincenzo Gioberti e Carlo Pisacane