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volume_3:imperialismo:imperialismo

Imperialismo

Nella seconda metà del XIX secolo ebbe luogo la transizione dall’imperialismo informale, caratterizzato dal controllo attraverso l’influenza militare e la dominanza economica, a quello del governo diretto sul territorio. È di questi anni la nascita degli Stati coloniali propriamente detti.

L’Europa era spinta in questo processo dalla nascita dei nazionalismi e da una prima grande crisi economica del capitalismo (la grande depressione economica del 1873-1895). In questo contesto alcuni storici hanno suggerito come la concentrazione sull’Africa abbia cause politiche (Fieldhous e Mommsen), legate alla guerra franco-prussiana ed al conseguente aumento di nazionalismo e revanscismo, che ebbe una valvola di sfogo proprio nel continente africano.

La tesi più consolidata tra gli storici è però quella che imputa le cause alla depressione economica, dovuta alla crisi di sovrapproduzione con conseguente impennata delle politiche protezioniste. Una soluzione a questi problemi economici interni al capitalismo occidentale risultò nell’aumentare i mercati a disposizione, lanciando campagne coloniali che avrebbero richiesto forti investimenti infrastrutturali nei nuovi paesi occupati.

Cerchiamo di esaminare nei dettagli questi aspetti.

E’ importante sottolineare che sul piano ideologico-politico l’imperialismo è dovuto all’affermarsi di atteggiamenti nazionalistici tesi ad esaltare i caratteri ritenuti originali della propria nazione che non si configurano come il nazionalismo degli inizi dell’Ottocento, e cioè caratterizzato dalle tensioni indipendentistiche, ma è ormai caratterizzato (e quindi svilito) da quel sentimento di “prestigio” tanto agognato dalle nazioni europee. Non si lotta più per l’indipendenza della propria nazione, per salvaguardarne l’originalità e le tradizioni, ma viene sostenuta la superiorità della propria nazione sulle altre.

A tutto ciò era congiunta una radicata convinzione di una superiorità biologica della propria razza rispetto alle popolazioni di quei paesi che non riuscivano a dare lo slancio alle loro economie, in particolare i popoli africani (darwinismo sociale).

Paesi che recentemente avevano conseguito un solido sviluppo economico, al quale si era aggiunto anche l’elemento di un capitalismo che non era più “industriale” ma “finanziario” (cioè sorretto da prestiti da parte di istituti di credito), ritenevano l’espansione verso territori d’oltremare una buona opportunità per mpossessarsi di beni a basso costo e per l’opportunità di investimento di capitali in territori nei quali era possibile avviare attività ad alto profitto.

E’ facile comprendere quale fosse l’atteggiamento assunto da Germania, Inghilterra e Francia in questo trentennio di storia di esasperato imperialismo, un atteggiamento di fanatico “eurocentrismo”.

Poster satirico che raffigura la regina Vittoria (Regno Unito), il kaiser Guglielmo II (Germania), lo zar Nicola II (Russia), Marianne (Francia) e un samurai (Giappone) che si spartiscono la Cina come se fosse una torta sotto gli occhi scioccati di un cinese in veste manciù.

Un fenomeno non previsto

Nella prima metà del XIX secolo tutto lasciava pensare che il colonialismo fosse ormai tramontato:

  • le colonie inglesi del Nord America erano diventate indipendenti e avevano costituito gli Stati Uniti;
  • le colonie spagnole e portoghesi dell’America centro-meridionale avevano ottenuto anch’esse l’indipendenza;
  • le poche colonie rimaste all’Europa in Asia, in Africa o nelle isole dell’America centrale sembravano poco interessanti dal punto di vista economico con la sola eccezione dell’India, saldamente dominata dalla Gran Bretagna.

Nel corso del secolo, però, la popolazione europea era aumentata e, dal 1860, grandi masse di tutte le nazioni, non trovando lavoro in patria cominciarono a prendere la via dell’emigrazione e a inserirsi non solo nelle due Americhe, ma anche in Asia e in Africa. Finanzieri e banchieri, a loro volta, cercando spazi per cercare nuovi investimenti, collocarono grandi quantità di denaro nelle miniere e nelle piantagioni di altri continenti; di conseguenza, vollero difendere i loro capitali e sorvegliare da vicino i paesi in cui li avevano impegnati.

L’Europa, inoltre, padroneggiava i mezzi di comunicazione intercontinentali, ma le sue navi avevano bisogno di scali sicuri per approvvigionarsi di carbone durante le sue traversate. Contemporaneamente gli imprenditori volevano allargare i propri mercati e avere serbatoi di materie prime di cui l’Europa era priva, come, per esempio, il petrolio e il caucciù. Le classi dirigenti dell’Ottocento tradussero tutte queste necessità in un processo imperialistico, cioè in una nuova forma di colonialismo che, per la prima volta, mirò sia al totale sfruttamento economico dei paesi colonizzati sia al loro controllo territoriale. Si concretizzò attraverso:

  • la conquista militare di vaste zone per prenderne il controllo ed assicurare la pace tra le popolazioni locali
  • il controllo politico delle nuove colonie attraverso funzionari europei
  • lo sfruttamento economico con lo scopo di commercializzare le materie prime e di rivenderne i prodotti finiti in Europa.

Tutto questo implica naturalmente una visione eurocentrica e non universalmente condivisibile. Sotto certi aspetti l’imperialismo portò alcuni vantaggi ai popoli colonizzati: - una parte di essi ebbe modo di imparare nuove tecnologie a discapito delle loro antiquate tecniche di lavorazione tradizionale. - Nelle colonie la legislazione diventò di tipo europeo. E’ però necessario sottolineare che non c’era assolutamente lo stesso trattamento tra un europeo e un africano o un asiatico.

La concorrenza per il rafforzamento della propria potenza creò in Europa molte rivalità. Per questo nel novembre del 1884 Bismarck, allora cancelliere dell’Impero tedesco, convocò a Berlino una grande Conferenza (1884 Conferenza di Berlino), in cui si stabilirono i criteri in base ai quali le potenze Europee si sarebbero suddivisi le colonie; nel documento conclusivo si affermava che ciascuno stato si sarebbe potuto impadronire di territori africani e asiatici, a condizione che avesse avvisato le altre potenze, le quali avrebbero potuto far valere i “propri reclami”.

La missione civilizzatrice

Oltre a motivazioni economiche, gli europei erano spinti verso altri continenti anche dalla convinzione etnocentrica di avere una responsabilità di esportare la civiltà europea. Poiché l’Europa considerava di aver raggiunto un progresso ineccepibile in molti campi, soprattutto in ambito tecnologico, sociale e medico, giudicava anche che questo stile di vita dovesse essere esportato - o imposto - nei territori considerati “più arretrati”. In particolare i diritti umani erano un campo cui, per esempio, i britannici si ritenevano chiamati ad intervenire, poiché ad esempio in India alcune sette allora praticavano ancora dei sacrifici umani in onore della dea Kālī, o in alcune parti dell’Africa Centrale era presente il cannibalismo; costumi ai quali l’intervento più o meno violento degli europei mise fine. La missione civilizzatrice era quindi intesa in questo senso oltre che a formare una élite di semi-governati autoctoni adeguatamente formati nelle scuole e nelle università d’Europa che potevano coadiuvare gli europei nel governo delle colonie.

La spartizione dell’Africa (scramble for Africa)

La spartizione dell’Africa fu un rapido proliferare delle rivendicazioni europee sui territori africani, avvenuto tra il 1880 e l’inizio della prima guerra mondiale, nel cosiddetto periodo del Nuovo imperialismo.

La richiesta di occupare l’Africa

In questi anni si verificò una forte richiesta di intervento degli Stati nelle colonie africane. Molti dei commercianti, missionari, imprenditori e militari presenti nelle colonie africane richiedevano la presenza degli Stati per rispondere a disagi e difficoltà, date dalla sensazione di “terra di nessuno” che caratterizzava l’Africa. Per stipulare un accordo commerciale, ad esempio, ci si doveva rivolgere alle autorità locali, le quali non operavano e ragionavano secondo i canoni e le leggi europee, ma secondo consuetudini locali, provocando difficoltà ed un forte senso di mancanza di tutela.

Da qui la richiesta della presenza degli Stati europei per importare leggi, amministrazioni ed apparati statali.

I missionari

Un ruolo importante nell’occupazione dell’Africa la ebbero i missionari, molto presenti in Africa anche nelle fasi precedenti; dopo un primo contatto con missionari cattolici portoghesi e spagnoli, nel corso del XVIII secolo furono molti i missionari protestanti. Nel corso di questi anni si verificò una nuova ondata di slancio missionario, prevalentemente cattolico (in particolare i Padri di Lione e i Missionari d’Africa, detti anche Padri bianchi).

Anche i missionari chiesero un intervento degli Stati europei, anche per ottenere una più efficace lotta allo schiavismo.

L’Africa centrale

Probabile promotore della corsa alla colonizzazione dell’Africa fu Leopoldo II del Belgio: personalmente molto interessato all’Africa e promotore di importanti spedizioni esplorative, intese realizzare nell’attuale Congo una colonia privata e personale, un impero il cui possesso aveva anche importanti risvolti economici nel controllo della raccolta della gomma, attività assai redditizia all’epoca. Per l’occupazione del Congo inviò l’esploratore Henry Morton Stanley a stipulare un trattato nella zona.

L’occupazione da parte di Leopoldo II del Congo e della fondamentale via commerciale data dall’omonimo fiume spinse la Francia ad avviare una propria corsa al territorio, poichè aveva interessi commerciali nella stessa zona. La contesa che si aprì con il Belgio di Leopoldo II per i territori e l’uso del fiume fu appianata nel 1884 da un congresso, la conferenza di Berlino, dopo che Otto von Bismarck si era offerto mediatore, dato che la contesa interessava anche altri stati, tra cui Germania e Stati Uniti d’America.

Per rifarsi dalle colossali spese sostenute per colonizzare la regione, Leopoldo II inaugurò un sistema di sfruttamento intensivo delle risorse naturali del Paese: il territorio venne affidato a diverse compagnie europee che, dopo la faticosa costruzione del tratto ferroviario fra Leopoldville e l’Atlantico, si concentrarono dapprima sulla commercializzazione dell’olio di palma e dell’avorio e in seguito su quella del caucciù. Le modalità con le quali i nativi africani dovevano raccogliere e consegnare il caucciù (sorvegliati dalle guardie delle compagnie) suscitarono scandalo in Europa: il giornalista inglese Edmund Dene Morel e il diplomatico Roger Casement documentarono le brutalità, presentarono un rapporto al Parlamento del Belgio e informarono l’opinione pubblica. Grande risonanza ebbe anche, nei medesimi anni, la denuncia contenuta nel romanzo Cuore di tenebra dello scrittore polacco-britannico Joseph Conrad, che aveva visitato la regione di persona a bordo di un battello fluviale. Nel 1905 venne istituita una commissione composta da inquirenti provenienti da diversi Paesi che visitò il Congo e certificò gli abusi sulla popolazione indigena: di fronte alle pesanti accuse, Leopoldo II dovette rinunciare al suo dominio africano. Nel 1908 il Congo venne annesso al Belgio e sottoposto alla sovranità del Parlamento belga: questa data segnò la fine del regime del terrore, anche se il lavoro forzato e le punizioni corporali continuarono ad essere diffuse nella colonia.

Conferenza di Berlino (1884-1885)

Nel 1884, su iniziativa di Bismarck, si tenne la famosa conferenza di Berlino (1884-1885), alla quale parteciparono le maggiori potenze europee, fu uno dei tentativi di mediare la situazione in Congo e contestualmente fu l’occasione per regolare la corsa all’Africa.

Tra i punti discussi ci furono:

  • la spartizione del Congo, che venne suddiviso tra Congo francese e Congo belga lungo il fiume Congo;
  • la libera navigabilità dei principali fiumi, essenziali vie commerciali, tra cui il fiume Congo ed il fiume Niger, in favore del libero scambio;
  • una risoluzione contro la schiavitù, che divenne illegale, ma restò in parte inapplicata lungo tutta l’Africa;
  • il principio di effettività, che sancisce il possesso del territorio solo previa ratifica, secondo il principio per cui chi arriva prima può vantarne i diritti;

In particolare è il principio di effettività la molla che accelera la corsa all’Africa: la necessità di giungere per primi in un dato territorio, nonché la necessità della sua occupazione reale per poterne rivendicare il possesso (la ratifica degli altri stati firmatari non è di ostacolo), portò ad una vera corsa nel tentativo di occupare un maggior numero di territori, che vennero poi delimitati dalle parti secondo trattati territoriali basati su confini astratti e fittizi.

Fu impossibile trovare un compromesso tra le rivendicazioni di tutte le potenze. Le dispute relative alla spartizione dell’Africa, ed il conseguente inasprirsi delle relazioni tra le grandi potenze dell’epoca, rientrano tra le cause del primo conflitto mondiale.

La spartizione dell'Africa

Monoculture

Una delle pratiche più deleterie per i paesi colonizzati fu la diffusione delle monoculture, che ebbero effetti dannosi da molti punti di vista. Il motivo era semplicemente che se in un determinato territorio cresceva bene un certo tipo di coltivazione (es. caffè) allora in quel territorio diventava conveniente produrre caffè. Gli effetti erano però drammatici.

  1. Vulnerabilità economica - Le monoculture, ovvero la coltivazione di un’unica specie vegetale su larga scala, hanno reso le economie dei paesi colonizzati estremamente vulnerabili alle fluttuazioni del mercato globale. Queste economie erano spesso orientate verso l’esportazione di una sola risorsa, come il caffè, il cotone o lo zucchero, il che significava che qualsiasi variazione nei prezzi internazionali di quel prodotto avrebbe avuto un impatto diretto e devastante sull’economia locale. Se i prezzi scendevano, i contadini e le comunità locali si trovavano in difficoltà economiche senza alternative.
  2. Degrado ambientale - La pratica della monocultura ha portato a un significativo degrado ambientale. La coltivazione intensiva di una sola specie esaurisce i nutrienti del suolo e riduce la biodiversità agricola. Questo porta a una maggiore vulnerabilità delle colture agli insetti e alle malattie, richiedendo l’uso intensivo di pesticidi e fertilizzanti chimici che possono avere effetti negativi sull’ambiente circostante e sulla salute delle popolazioni locali.
  3. Sfruttamento delle risorse - Venivano danneggiate le comunità locali, poiché le terre venivano sottratte ai contadini per essere dedicate alla produzione di beni destinati all’esportazione piuttosto che al sostentamento locale.
  4. Disuguaglianza sociale - Le monoculture hanno contribuito a creare e perpetuare disuguaglianze sociali all’interno delle società colonizzate. Le terre migliori venivano spesso assegnate a coloni europei o a élite locali che beneficiavano dell’agricoltura commerciale, mentre le popolazioni indigene venivano emarginate e costrette a lavorare in condizioni precarie per salari molto bassi.
  5. Perdita di autonomia alimentare - Concentrandosi sulla produzione di colture destinate all’esportazione, molti paesi colonizzati hanno perso la loro capacità di produrre cibo sufficiente per soddisfare i bisogni alimentari della propria popolazione. Questo ha portato a una dipendenza dall’importazione di cibo, rendendo queste nazioni ancora più vulnerabili agli shock economici globali.

Conseguenze dell’imperialismo

Conseguenze politiche

Sul piano politico l’espansione coloniale finì per favorire la formazione o il risveglio di nazionalismi locali, ad opera soprattutto dei nuovi quadri dirigenti, che si formarono nelle scuole europee e vi assorbirono gli ideali democratici e i principi di nazionalità (es. Gandhi).

L’Europa si trovò ad esportare quello che meno avrebbe desiderato: il bisogno di autogovernarsi e di decidere del proprio destino. I nuovi governanti che si trovarono ad amministrare le nazioni indipendenti nell’era post-coloniale travisarono completamente gli ideali di democrazia e giustizia acquisiti studiando in Europa. Essi sedotti dal potere grazie alla loro istruzione poterono soggiogare in breve tempo le popolazioni locali formando delle dittature. I principi egualitari di cui tanto l’Europa si vantava non furono assorbiti o meglio le nuove élite di governanti capirono come sfruttare a loro favore gli strumenti appresi in Europa nonostante durante le guerre per l’indipendenza spesso si nascondessero dietro la bandiera dell’oppressione europea e dell’antidemocraticità, bandiera che non tardò ad essere eliminata una volta che l’indipendenza veniva raggiunta.

Effetti positivi?

La questione degli effetti positivi dell’imperialismo di fine Ottocento è complessa e controversa. È importante affrontare l’argomento con cautela, considerando diversi punti di vista e partendo comunque dal punto di vista che qualsiasi eventuale beneficio deve essere valutato nel contesto più ampio dello sfruttamento e dell’oppressione che caratterizzarono l’imperialismo.

Alcuni storici e analisti hanno identificato alcuni aspetti che potrebbero essere considerati “positivi”, pur tenendo presente che questi vanno sempre contestualizzati:

  • sviluppo infrastrutturale: in alcune colonie, le potenze imperiali costruirono infrastrutture come ferrovie, porti e strade, che in alcuni casi hanno avuto benefici a lungo termine
  • istruzione e sanità: in certe aree colonizzate furono introdotti sistemi educativi e sanitari moderni, anche se spesso limitati e discriminatori
  • scambi culturali: l’imperialismo portò a scambi culturali, linguistici e tecnologici, sebbene spesso unidirezionali e forzati
  • unificazione amministrativa: in alcuni casi, l’amministrazione coloniale unificò regioni precedentemente frammentate, creando le basi per futuri stati nazionali
  • modernizzazione economica: in alcune colonie furono introdotte nuove tecniche agricole e industriali, anche se principalmente a beneficio delle potenze coloniali.

Tuttavia, è fondamentale sottolineare che:

  • questi “benefici” furono spesso incidentali e non l’obiettivo primario dell’imperialismo
  • i costi umani, culturali ed economici dell’imperialismo furono enormi e duraturi
  • molti di questi presunti effetti positivi mascheravano forme di sfruttamento e dominazione
  • l’imperialismo interruppe e distorse lo sviluppo naturale di molte società

La maggior parte degli storici contemporanei tende a vedere l’imperialismo come un fenomeno complessivamente negativo, con conseguenze dannose che si estendono fino ai giorni nostri in termini di disuguaglianze globali e tensioni internazionali. È importante approcciarsi a questo tema con un’analisi critica, considerando le voci e le prospettive dei popoli colonizzati e riconoscendo la complessità delle eredità coloniali.

Teoria leninista sull’imperialismo

Nel 1916 Lenin scrive L’imperialismo, fase suprema del capitalismo. Il saggio è una sintesi dell’interpretazione di Lenin delle teorie formulate da Karl Marx ne Il Capitale (1867).

In questo testo Lenin ha sviluppato una teoria influente sull’imperialismo, che considerava come lo stadio più avanzato del capitalismo. Ecco i punti chiave della sua analisi:

  • concentrazione della produzione e del capitale: Lenin sosteneva che l’economia capitalista tendesse naturalmente verso la formazione di monopoli e oligopoli
  • fusione del capitale bancario con quello industriale: questo processo portava alla creazione di una “oligarchia finanziaria” che controllava gran parte dell’economia
  • esportazione di capitali: i paesi capitalisti avanzati esportavano sempre più capitali invece di merci, cercando profitti più alti nei paesi meno sviluppati
  • formazione di cartelli internazionali: le grandi imprese si dividevano il mercato mondiale tra loro
  • spartizione territoriale del mondo: le potenze capitaliste si contendevano il controllo di territori per risorse e mercati

Lenin vedeva l’imperialismo come una fase inevitabile del capitalismo, caratterizzata da conflitti tra potenze per il dominio globale e lo sfruttamento delle colonie. Secondo lui, questo sistema era intrinsecamente instabile e avrebbe portato a guerre e rivoluzioni. La sua analisi mirava a spiegare i conflitti internazionali del suo tempo e a sostenere la necessità di una rivoluzione socialista globale.

Secondo Lenin la forma dominante del capitale non è più quella industriale, ma è quella finanziaria, se «per il vecchio capitalismo, sotto il pieno dominio della libera concorrenza, era caratteristica l’esportazione di merci, per il nuovo capitalismo, sotto il dominio dei monopoli, è caratteristica l’esportazione del capitale […] la necessità dell’esportazione di capitale è determinata dal fatto che in alcuni paesi il capitalismo è diventato più che maturo e al capitale […] non rimane più un campo di investimento redditizio».

L’imperialismo nell’antichità

Nell’antichità, nonostante non sia ancora possibile parlare di un vero e proprio fenomeno di imperialismo, si può tuttavia trovare qualche primo tentativo di espansione su un territorio più vasto possibile e di sfruttamento delle popolazioni locali, per esempio durante il dominio romano.

L’imperialismo antico è un fenomeno che ha caratterizzato le civiltà dell’antichità e consisteva nell’espansione di un popolo o di uno Stato su territori e popoli vicini per ottenere controllo politico, economico e militare. In altre parole, è la tendenza di una civiltà a costruire un impero attraverso la conquista e il dominio su altri popoli.

Caratteristiche principali dell’imperialismo antico:

Le potenze imperiali cercavano di ampliare i loro territori, spesso attraverso guerre di conquista. L’obiettivo era ottenere più risorse naturali, terreni agricoli, schiavi, e accesso a rotte commerciali. Le popolazioni conquistate venivano sottomesse al controllo del potere centrale dell’impero, che imponeva le proprie leggi e strutture di governo. Spesso, le élite locali venivano integrate nel sistema imperiale, ma sotto il controllo del conquistatore.

Molti imperi antichi, come quello romano o quello persiano, promuovevano una certa assimilazione culturale. Questo significava imporre o promuovere la lingua, la religione e le tradizioni del popolo dominante, anche se, a seconda dell’impero, si potevano tollerare le differenze culturali.

Le terre conquistate spesso diventavano fonti di ricchezza per l’impero dominante. I popoli soggetti pagavano tributi e tasse, e le risorse naturali delle loro terre venivano sfruttate per sostenere l’economia e l’esercito dell’impero.

Esempi di imperialismo antico:

  • Impero persiano: Fondato da Ciro il Grande nel VI secolo a.C., l’Impero achemenide divenne uno dei più vasti e potenti imperi dell’antichità, estendendosi dall’India all’Egitto e fino alla Grecia. L’impero persiano era noto per una certa tolleranza verso le diverse culture all’interno dei suoi confini, pur mantenendo un controllo centralizzato.
  • Impero romano: Uno degli esempi più noti, Roma espanse il suo dominio in gran parte dell’Europa, Nord Africa e Medio Oriente tra il III secolo a.C. e il V secolo d.C. L’imperialismo romano fu motivato sia dal desiderio di conquista militare che dalla necessità di espandere il proprio mercato e le risorse economiche.

Cause dell’imperialismo antico:

Le motivazione che stavano alla base dell’imperialismo antico erano la ricerca di nuove risorse economiche: terre fertili, metalli preziosi, e schiavi. La conquista di nuovi territori aumentava il prestigio del sovrano o della città-stato conquistatrice, consolidando la sua autorità interna e proiettando una immagine di potenza verso i nemici.

Spesso, inoltre, gli imperi cercavano di conquistare territori vicini per motivi di sicurezza: cercavano di creare una “zona cuscinetto” contro altre potenze. Espandersi serviva a proteggere i propri confini.

Effetti dell’imperialismo antico:

Anche se spesso violenta, l’espansione imperiale contribuì alla diffusione di idee, tecnologie e culture. Ad esempio, la cultura greca si diffuse in tutto il Mediterraneo e il Medio Oriente attraverso le conquiste di Alessandro Magno.
Gli imperi antichi collegavano regioni diverse, facilitando il commercio e lo scambio di beni, conoscenze e idee tra popoli distanti. Non tutte le popolazioni accettavano passivamente il dominio imperiale. Ci furono molte ribellioni e rivolte, spesso soffocate con durezza, ma che a volte riuscirono a indebolire o persino a distruggere gli imperi.

DIFFERENZE TRA IMPERIALISMO ANTICO E MODERNO

Per prima cosa la tecnologia utilizzata e i metodi: l’imperialismo antico utilizzava metodi tradizionali di conquista militare, mentre quello della fine dell’Ottocento si avvaleva della tecnologia industriale, con effetti sicuramente più disastrosi.

Economicamente gli obiettivi erano diversi, soprattutto a livello di intensità e capacità di sfruttamento: entrambi cercavano risorse economiche, ma l’imperialismo moderno era più focalizzato sulla creazione di mercati globali per i prodotti industrializzati e le moderne tecnologie consentivano uno sfruttamento totale delle zone colonizzate. Dal punto di vista ideologico l’imperialismo antico giustificava le sue azioni con motivazioni culturali o religiose, mentre il nuovo imperialismo era spesso sostenuto da ideologie razziste o socialdarwiniste.

Approfondimento sullo sfruttamento

La motivazione principale delle potenze imperiali nell'acquisire colonie era economica, e in nome del profitto spesso brutalizzavano e sfruttavano le popolazioni native. Anche quando credevano che le loro intenzioni fossero benevole e avrebbero migliorato la vita degli africani, degli asiatici e degli isolani del Pacifico, i loro mezzi erano spesso crudeli. Mentre le potenze coloniali sottraevano ricchezze dalle terre che sfruttavano, spesso causando significativi danni ambientali e distruggendo innumerevoli vite, i residenti non accettavano pacificamente la perdita della loro indipendenza.

Brutalità e Sfruttamento

Mentre tutte le grandi potenze erano capaci di brutalità e le persone venivano sfruttate in tutte le colonie, un trattatamento tra i più crudeli era risevato ai sudditi di Re Leopoldo II nello Stato Libero del Congo. Nonostante le sue affermazioni che il suo interesse per l'Africa risiedesse esclusivamente nel desiderio di migliorare la vita delle persone, in realtà Leopoldo era un padrone senza scrupoli. Lo Stato Libero del Congo era considerato suo possesso personale e quindi immune dall'intervento del governo belga. Leopoldo ne traeva profitto affittando porzioni del territorio a società private e individui.

Questi intermediari brutalizzavano i popoli del Congo dal momento in cui arrivavano. Sbarcando dai battelli a vapore che li portavano su per il fiume Congo, gli europei catturavano gli africani e li costringevano a trasportare i loro numerosi beni nell'entroterra. A volte, diverse centinaia venivano coscritti per trasportare il carico di una barca, marciando in fila indiana con collari di ferro intorno al collo, attaccati a catene per assicurarsi che non scappassero.

Gli europei usavano gli africani nello Stato Libero del Congo per tutte le forme di lavoro, ma principalmente per raccogliere avorio e raccogliere gomma dalle liane degli alberi di gomma selvatica. La quantità di gomma che erano tenuti a raccogliere ogni giorno era così grande che, invece di incidere le liane che producevano gomma e lasciare che il liquido fluisse nei secchi, tagliavano le liane e lasciavano che il lattice liquido coprisse i loro corpi. Alla fine della giornata, la gomma indurita doveva essere raschiata dalla loro pelle. Per questo lavoro, ricevevano una paga bassa, se non nulla, spesso solo il cibo che veniva loro dato.

Interi villaggi potevano essere svuotati di uomini costretti al servizio, con le loro mogli e figli tenuti in ostaggio per assicurarne l'obbedienza. I malati e i feriti venivano lasciati morire, e coloro che non collaboravano o erano lenti venivano frustati, a volte fino a perdere conoscenza o addirittura fino alla morte. La disciplina era mantenuta dalla Force Publique, un esercito indigeno comandato da ufficiali europei. Questo esercito uccideva coloro che resistevano al lavoro forzato o cercavano di scappare e poi tagliava una mano da ogni vittima per tenere il conto dei morti. Se la quota di gomma da raccogliere stabilita dagli ufficiali non veniva raggiunta, le mani venivano tagliate ai vivi.

Colonial Discipline in the Congo Free State. These photos from about 1900 to 1905 show civilian children and adults mutilated by Free State authorities acting for Belgian king Leopold II. (credit: “Mutilated Congolese children and adults” by Alice Seeley Harris/Wikimedia Commons, Public Domain)

Nel 1899, Joseph Conrad pubblicò il suo romanzo breve “*Cuore di tenebra*”, basato su ciò che aveva visto nello Stato Libero del Congo. Il libro suscitò richieste di intervento tra i britannici e, in seguito a un rapporto dettagliato di un funzionario britannico, fu fondata la Congo Reform Association (CRA). Molti importanti pensatori britannici e americani ne erano membri, e fecero pressione sui governi per porre fine alle sofferenze del popolo congolese. Nel 1908, il Parlamento belga tolse il Congo a Leopoldo II, lo rinominò Congo belga e ne assunse l'autorità.

Sebbene lo Stato Libero del Congo sia diventato famoso per il trattamento brutale subito dal suo popolo, differiva dalla maggior parte delle altre colonie principalmente per grado, non per tipo. I lavoratori forzati faticavano in Egitto per costruire porzioni del Canale di Suez. Nelle colonie africane del Portogallo, le persone erano costrette a coltivare riso e cotone e venderlo agli agenti governativi a prezzi stabiliti dal governo. Dove gli europei governavano attraverso leader locali, come nelle colonie dell'Africa occidentale francese, il lavoro forzato poteva essere mascherato come una forma di lavoro comunitario tradizionale ordinato da un capo villaggio o un capo.

L'imperialismo danneggiò i popoli dell'Africa, dell'Asia e delle isole del Pacifico anche in altri modi. I visitatori europei e statunitensi alla fine del diciannovesimo secolo spesso portavano malattie infettive. L'introduzione del morbillo a Fiji nel 1875 provocò la morte di circa un quarto della popolazione. I moderni metodi di viaggio diffusero ulteriormente le malattie. Le ferrovie costruite per spostare merci e materie prime in India contribuirono a scatenare epidemie di colera, vaiolo e peste bubbonica. La domanda di cotone da parte dei produttori tessili portò allo scavo di canali di irrigazione in luoghi come l'Egitto, che fornirono ambienti di riproduzione ideali per le zanzare portatrici di malaria.

Bibliografia

John A. Hobson, L’imperialismo. [1902] A cura di Luca Meldolesi, trad. L. Meldolesi e Nicoletta Stame, Collana Classici dell’economia politica n.12, Isedi, Milano 1974; ristampa Collana Grandi Tascabili Economici, Newton & Compton, Roma, 1996

Immanuel Ness e Zak Cope (a cura di), The Palgrave Encyclopedia of Imperialism and Anti-Imperialism, New York, Palgrave Macmillan, 2016.

Eric Hobsbawm, L’Età degli Imperi. 1875-1914 (The Age of Empires), traduzione di Franco Salvatorelli, Laterza, Roma-Bari, 1976-1987 ISBN 88-420-2948-3; Collana Universale, Laterza, 1991; Collana Saggi, Oscar Mondadori 1995-1996 ISBN 88-04-40976-2; Collana Biblioteca Storica, Laterza 2000 ISBN 8842059641; Collana Economica, Laterza 2003-2012 ISBN 88-42-07670-8

Fonti

Liberamente tratto dai contenuti di Wikipedia

La parte sul Congo è tradotta e riassunta da: World History, Volume 2: from 1400 - SENIOR CONTRIBUTING AUTHORS: ANN KORDAS, JOHNSON & WALES UNIVERSITY - RYAN J. LYNCH, COLUMBUS STATE UNIVERSITY - BROOKE NELSON, FORMERLY CALIFORNIA STATE UNIVERSITY - JULIE TATLOCK, MOUNT MARY UNIVERSITY - “Access for free at openstax.org.”

volume_3/imperialismo/imperialismo.txt · Ultima modifica: 2024/10/15 18:14 da luca