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volume_3:imperialismo:le_ideologie

Le ideologie (ca. 1800-1900)

Nere Basabe Martinez and Ido de Haan

Introduzione

Il XIX secolo può essere giustamente definito il secolo delle ideologie. La Rivoluzione francese, in cui i cosiddetti “ideologi” giocarono un ruolo centrale, diede il via allo sviluppo di una serie di movimenti politici, dal liberalismo al socialismo, che avrebbero plasmato la successiva società europea. La filosofia illuminista ebbe un’importante influenza su queste ideologie moderne e l’idea di razionalità e la questione dei diritti naturali dell’uomo sono stati i loro principi fondamentali. Alla fine del secolo, tuttavia, l’attenzione per il razionalismo e per i diritti umani sembrò indebolirsi.

L’ascesa delle ideologie

L’interrogativo che si poneva nel periodo successivo alla Rivoluzione francese non era solo la questione di quale ideologia meritasse di essere sostenuta, ma anche di come ==interpretare== l’ascesa e il dominio delle ideologie. Inizialmente, l’ideologia è stata percepita in modo positivo. Il termine “ideologia” fu coniato intorno al 1795 dal filosofo e rivoluzionario francese Antoine Destutt de Tracy (1754-1836), che pubblicò Elémens d’idéologie (1801-1819), in cui definiva l’ideologia come la scienza delle idee.

L’ideologia era una dottrina di idee veritiere che servivano a creare una società giusta e a migliorare lo stato morale dei suoi membri. Destutt si basò sulle idee di pensatori illuministi come i filosofi francesi Voltaire (1694-1778), Nicolas de Condorcet (1743-1794) ed Etienne Bonnot de Condillac (1714-1780), ma anche del pensatore tedesco Immanuel Kant (1724-1804). Nel suo saggio Risposta alla domanda: Che cos’è l’Illuminismo? (1784), Kant definì come idea centrale dell’Illuminismo che l’uso autonomo della ragione umana ci permette di determinare ciò che è vero e giusto e di liberarci da pregiudizi e illusioni.

L’ascesa dell’ideologia, o “ideologizzazione”, fa parte di quella che lo storico tedesco Reinhard Koselleck ha definito la Sattelzeit, il periodo di transizione tra il 1750 e il 1850, quando molte persone in Europa abbracciarono l’idea che una società futura potesse essere organizzata sulla base di un progetto razionale, indipendente dalle tradizioni del passato. Le idee diventarono quindi movimenti. È questo che si intende con il suffisso “-ismo” (come in liberalismo, conservatorismo, socialismo, nazionalismo e così via): un movimento politico con un proprio sistema di idee e cultura politica, da cui emerge un programma che cerca di proiettarsi verso un orizzonte futuro.

La progettazione di un tale ordine razionale si basava su principi presumibilmente universali. Questi comportavano l’idea, derivata dal filosofo inglese John Locke (1632-1704) ed esposta dal pensatore francese Jean-Jacques Rousseau (1712-1778), che le regole di un governo civile derivano da un patto sociale tra individui autonomi con diritti umani inalienabili e uguali.

Una seconda idea, formulata dal filosofo francese Montesquieu (1689-1755), specifica che per limitare ogni possibile abuso di potere, i poteri dello Stato devono essere divisi in un sistema costituzionale di “pesi e contrappesi” tra potere esecutivo, giudiziario e legislativo.

Una terza idea, formulata da Rousseau, ma anche dal filosofo tedesco Johann Gottfried Herder (1744-1803), è che il potere dello Stato deriva dalla sovranità del popolo e può essere revocato.

Un’ultima idea, formulata da Adam Smith (1723-1790) ne La ricchezza delle nazioni (1776), era che una società prospera richiedesse libertà civili e uno Stato che rispettasse il principio del libero mercato del “laissez-faire”.

Tutte queste idee ispirarono i rivoluzionari francesi a dichiarare i diritti dell’uomo e del cittadino, a creare una Costituzione democratica, basata sulla sovranità del popolo e sullo stato di diritto, e ad abolire i privilegi aristocratici e le corporazioni che ostacolavano il libero mercato. Per preservare le conquiste della Rivoluzione francese, Destutt de Tracy e i pensatori affini si riunirono, a partire dal 1795, nella Società degli Ideologi, un gruppo di persone che si riuniva nel salotto di Anne-Catherine Helvétius (1722-1800). Come alcuni dei filosofi illuministi, gli ideologi assunsero un ruolo politico di primo piano, nella convinzione che una società governata sulla base di principi razionali e di conoscenze empiriche fosse meglio servita da un’élite illuminata che dalle opinioni volubili del popolo. Essi accolsero con favore l’ascesa al potere di Napoleone Bonaparte (1769-1821), che vedevano come il forte protettore dello spirito rivoluzionario. Ma Napoleone non ricambiò il favore: introdusse l’uso peggiorativo del termine “ideologi” e denunciò coloro che criticavano la sua invasione della libertà e della giustizia come “metafisici”, intellettuali o veri e propri imbecilli, che non comprendevano le realtà del potere. Sebbene gli ideologi intorno a Destutt siano stati poi messi da parte dal sempre più dispotico Napoleone, essi si sono comunque posti alla frontiera dell’emergere delle principali ideologie del XIX secolo.

Liberalismo e democrazia

Il liberalismo nacque nella lotta per trovare una via di mezzo tra la rivoluzione, che aveva creato libertà e licenza, e Napoleone, che aveva introdotto l’ordine rivoluzionario in tutta Europa per mezzo di un dispotismo militare. In Francia, Germaine de Staél (1766-1817) e Benjamin Constant (1767-1830) riconobbero la capacità di Napoleone di salvare la rivoluzione inserendo i diritti dell’uomo e del cittadino in una struttura giuridica stabile, ma deplorarono il soffocamento dell’opinione pubblica e i limiti alla libertà di stampa e di associazione, che consideravano essenziali per una società prospera.

Essi riformularono la nozione di libertà. In particolare, Constant distingueva tra la libertà positiva delle società guerriere, o la “libertà degli antichi”, e la libertà negativa delle moderne società commerciali, la “libertà dei moderni”. Nelle antiche società guerriere, essere liberi significava assumere l’autonomia e la responsabilità dell’autogoverno di non essere schiavi. L’essere liberi era assimilato a diritti collettivi come la partecipazione politica e l’autogoverno (un significato che, secondo l’interpretazione di Constant, è stato erroneamente applicato dalla Rivoluzione francese). La libertà moderna, al contrario, si basa su una libertà individuale libera da divieti e orientata verso la sfera privata, dove i diritti politici sono esercitati attraverso la rappresentanza. La libertà è inoltre protetta da un equilibrio costituzionale tra i diversi poteri dello Stato, in cui al potere neutrale del re viene contrapposto l’esecutivo, al potere aristocratico del senato o ai poteri intermedi della politica locale. Fortemente influenzato dalla sua compagna Germaine de Staél, Constant diede inizio a un liberalismo più moderato in Europa.

Il liberalismo francese, castigato dagli eccessi rivoluzionari, optò per una via di mezzo tra l’assolutismo e la rivoluzione: per questo i liberali dottrinari, con a capo Francois Guizot (1787-1874), si definirono gli uomini del juste milieu (la via di mezzo) e presero il potere dopo la Rivoluzione di luglio del 1830. Sostenitori della dottrina del laissez-faire, concepivano lo Stato come uno strumento al servizio della borghesia e alle richieste di suffragio universale, Guizot rispondeva semplicemente “arricchitevi” (attraverso il duro lavoro e la parsimonia) a chi voleva votare.

Nel frattempo, in Gran Bretagna, il liberalismo del XIX secolo prese la strada del radicalismo sotto il nome di utilitarismo. I suoi principali rappresentanti furono Jeremy Bentham (1748-1832) e John Stuart Mill (1806-1873). L’utilitarismo abbandonò la dottrina del diritto naturale e si concentrò sull’“utilità” sociale dei diritti individuali. Bentham concepisce il legislatore come un riformatore sociale il cui scopo dovrebbe essere quello di raggiungere “la massima felicità per il maggior numero”, armonizzando gli interessi individuali e il bene comune, anche se quest’ultimo era inteso come la somma di tali interessi individuali. Egli riteneva che la felicità fosse calcolabile in termini di piaceri empirici, benessere materiale e aspirazioni concrete degli individui. Il risultato sarebbe una società pluralistica in cui gli individui agiscono razionalmente (e sanno cosa è meglio per loro stessi, da cui la difesa del suffragio universale) sotto uno Stato neutrale che permette loro la libertà d’azione. Per limitare qualsiasi abuso di potere da parte dello Stato, aggiunse l’idea di elezioni annuali, oltre ad altre idee radicali come l’abolizione della monarchia e della Camera dei Lord, l’importanza dell’istruzione, la parità dei sessi e i diritti degli animali.

Mill, da parte sua, criticando l’utilitarismo dei suoi predecessori, rispose che la felicità non era quantificabile e introdusse aspetti sociali nel suo liberalismo economico: uno Stato interventista (senza rinunciare alla proprietà privata o al libero mercato) che non avrebbe abbandonato i membri più deboli della società. Mill era un femminista convinto, tanto che molte delle sue opere furono scritte insieme alla sua compagna, Harriet Taylor Mill (1807-1858), e criticava il principio dell’egoismo. La sua difesa della libertà e dell’individualità era comunque radicale: la sovranità dell’individuo sul suo corpo, sulla sua vita e sulla sua coscienza era inalienabile, e rivendicava il diritto al dissenso. A tal fine, introdusse i principi di proporzionalità nella rappresentanza legislativa (che avrebbe rappresentato anche le minoranze), insieme al pluralismo e al voto ponderato, cercando di unire l’idea del suffragio universale con quella della qualità sociale degli individui basata sull’istruzione e sul merito.

Mentre Bentham, Mill e Taylor erano strenui difensori del suffragio universale, compreso il voto alle donne, altri liberali erano molto più esitanti al riguardo. È il caso, ad esempio, del liberale francese Alexis de Tocqueville (1805-1859). Cresciuto in una famiglia aristocratica repressa dalla rivoluzione, Tocqueville si recò in missione governativa negli Stati Uniti nel 1831, dove le sue impressioni sulla vita politica lo ispirarono a scrivere il suo libro più famoso, pubblicato in due volumi tra il 1835 e il 1840, La democrazia in America. Più che un sistema politico basato sulla sovranità popolare, la democrazia era per Tocqueville una società in cui tutti si percepiscono come uguali. Riconosceva che la “rivoluzione democratica” era una forza irresistibile, ma si preoccupava del posto della libertà in una società in cui prevaleva l’uguaglianza. Inizialmente si preoccupò soprattutto della “tirannia della maggioranza”, ma nel secondo volume della Democrazia in America la sua preoccupazione principale divenne il fatto che in una società democratica, senza il potere intermedio dell’aristocrazia che aveva caratterizzato l’ancien régime, gli individui erano impotenti contro il “potere tutelare” dello Stato. A suo avviso, la società americana era riuscita a evitare la situazione di “dispotismo democratico” grazie alla partecipazione a reti sociali di autogoverno comunale, alle chiese, alle associazioni di volontariato e alla libera stampa. Queste istituzioni funzionavano come nuovi “poteri intermedi” che limitavano ogni possibile abuso del potere centrale. In questo modo si preservava la libertà in un regime di uguaglianza, cosa che, secondo lui, non era ancora stata raggiunta in Europa, perché il vecchio continente non aveva capito che la democrazia era una rivoluzione sociale piuttosto che politica.

Il socialismo e la critica marxista all’ideologia

L’ideologia costituiva una visione positiva e programmatica per i liberali della prima metà del XIX secolo. Essi ispirarono la lotta per l’uguaglianza dei diritti politici, che si manifestò su vasta scala nel movimento cartista inglese tra il 1838 e il 1857. In questo senso, i liberali si possono paragonare ai primi socialisti utopisti, come Claude Henri de Saint-Simon (1760-1825), Robert Owen (1771-1858), Charles Fourier (1772-1837) e Pierre-Joseph Proudhon (1809-1856). In effetti, c’era una notevole convergenza, prima di tutto nelle aspettative razionaliste che una società ben ordinata e giusta fosse realizzabile, ma anche nella composizione sociale dei protagonisti e dei sostenitori di questi movimenti: aspiranti borghesi e lavoratori qualificati autonomi nell’artigianato, nel commercio o nelle libere professioni. I socialisti utopisti, tuttavia, si differenziavano dai liberali, in quanto si concentravano meno sull’uguaglianza dei diritti politici e sostenevano invece che erano soprattutto l’organizzazione della produzione e la distribuzione della ricchezza a costituire la fonte più importante di ingiustizia.

Le utopie da loro tratteggiate erano proposte - e in alcuni casi anche esperimenti reali - di forme di produzione comunitarie e di modalità di distribuzione solidaristiche. Per alcuni socialisti, tuttavia, realizzare la giustizia sociale in questo modo era una chimera: seguendo l’analisi di Francois Noél Babeuf (1760-1797; noto anche come Gracchus Babeuf) e di altri rivoluzionari francesi, alcuni prevedevano che l’esempio utopico non avrebbe mai convinto le classi proprietarie a condividere la loro ricchezza. Né i proprietari dei mezzi di produzione sarebbero stati persuasi a smettere di sfruttare i lavoratori come strumento per massimizzare i loro profitti. Tutto questo sarebbe potuto cambiare solo attraverso una rivolta popolare, in cui le masse prenderebbero la loro giusta parte con la forza.

Tutto questo ottimismo utopico e populista dei primi socialisti era illusorio, secondo Karl Marx e Friedrich Engels. Essi sostenevano che la storia delle società non era determinata da idee o ideali, ma dai rapporti oggettivi di produzione: il conflitto tra le classi sociali programmato nella struttura di base della società a causa dell’inevitabile tensione tra i proprietari borghesi dei mezzi di produzione (capitale) e coloro che non avevano altra proprietà che la propria forza fisica da vendere (lavoro). Questo conflitto di classe aveva una sua logica da seguire: dal crescente immiserimento dei lavoratori, alla presa del potere statale per espropriare la borghesia, come fase intermedia verso la vera libertà per tutti nel comunismo. In questo contesto, le idee non erano altro che l’espressione di questi rapporti di produzione conflittuali e l’ideologia dominante era quindi una legittimazione degli interessi della classe dominante. In questo contesto, l’ideologia non era più una proiezione positiva di una futura società giusta, ma un ostacolo idealista all’inevitabile avvento di una società comunista, e l’opposto della natura scientifica che Marx e i suoi seguaci rivendicavano per le sue idee.

L’avvento del marxismo negli anni Quaranta del XIX secolo e il suo sviluppo nel movimento socialista e dei partiti di massa che sarebbero sorti negli anni Sessanta del XIX secolo in Germania e successivamente in altre parti d’Europa, fu tanto impressionante quanto problematico. Nella logica del marxismo scientifico, non c’era alcun ruolo attivo da svolgere per le organizzazioni dei lavoratori; la realizzazione del comunismo doveva solo aspettare il momento oggettivamente giusto nella storia del conflitto di classe. Se il marxismo aveva un ruolo da svolgere come ideologia, era solo quello di preparare la classe operaia al suo ruolo nella storia mondiale. Per molti della sinistra, questa era una visione troppo limitata. Gli anarchici tornarono alla posizione attivista dei primi socialisti radicali lanciando una campagna violenta, che culminò nell’assassinio di alcuni importanti leader europei alla fine del XIX secolo. Tuttavia, essi invocavano anche la creazione di una vera utopia nel presente e rifiutavano la deviazione marxista attraverso la dittatura del proletariato e la presa dello Stato, prima che quest’ultimo si dissolvesse definitivamente sotto il comunismo. Per gli anarchici, il problema non era solo lo Stato capitalista, ma lo Stato in quanto tale.

Tuttavia, molto più influenti furono i socialdemocratici revisionisti, in particolare Eduard Bernstein (1850-1932), uno dei fondatori del Sozialdemokratische Partei Deutschlands (SPD, 1890), che si guadagnò la ribalta del movimento socialista in gran parte d’Europa delineando un ruolo molto attivo per le organizzazioni delle classi lavoratrici. Formulando riforme concrete (tra cui il suffragio universale, la giornata lavorativa di otto ore, l’assicurazione sociale contro i rischi del lavoro pesante, una buona istruzione e una pensione dignitosa) e mobilitando attivamente la classe operaia a sostegno elettorale del proprio partito, la SPD sperava di creare una maggioranza parlamentare in grado di legiferare pacificamente per realizzare il socialismo.

Dal liberalismo al darwinismo sociale

Nei loro sforzi riformisti, alla fine del XIX secolo i socialdemocratici trovarono un certo sostegno da parte dei liberali progressisti che, sulle orme di John Stuart Mill e Harriet Taylor Mill, riconoscevano i diritti e i bisogni delle classi lavoratrici e, in molti casi, anche quelli delle donne. Tuttavia, questi liberali sociali costituirono un’eccezione rispetto alla svolta conservatrice che la maggior parte dei liberali intraprese in risposta all’ascesa della classe operaia come forza politica con cui fare i conti.

Già negli anni Cinquanta del XIX secolo, molti liberali persero la fiducia nel potenziale del progresso razionale. Erano scoraggiati dall’ascesa delle masse e aborrivano la manipolazione degli ideali democratici. La loro paura delle masse fu confermata dall’ascesa e dal dominio dell’imperatore Napoleone III (1808-1873) in Francia, che creò un regime autoritario con il pretesto della legittimazione democratica - elezioni, referendum, plebisciti - e legittimato dall’ideologia nostalgica del bonapartismo. Tendenze simili si stavano sviluppando nel neonato Impero tedesco, dove il governo del cancelliere Otto von Bismarck (1815-1898) era fondato su dimostrazioni di forza militari interne. Allo stesso tempo, però, liberali e imprenditori borghesi si sentivano attratti dalle politiche attive di investimento dello Stato imperiale, sia all’interno dell’Europa che, sempre più spesso, anche al di fuori di essa, nelle parti del mondo che aveva colonizzato.

Questi cambiamenti nella visione liberale furono accompagnati da un riorientamento intellettuale. A partire dalla metà del secolo, il liberalismo si evolse verso una confluenza con le nuove teorie scientifiche, ricevendo una nuova svolta conservatrice. Il positivismo di Auguste Comte (1798-1857) cercava una soluzione “scientifica” ai problemi politici e sociali, sul modello delle scienze naturali. Egli abbandonò ogni idea di individualismo, rivoluzione o democrazia, optando per il famoso slogan “Ordine e progresso”. L’idea di progresso, concetto centrale del liberalismo illuminista (la fede che l’umanità stesse avanzando in una perfettibilità infinita) era ora frenata dall’idea conservatrice di “ordine sociale”, contrapposta ai nuovi movimenti operai. In Gran Bretagna, attraverso Herbert Spencer (1820-1903), il positivismo prese la forma dell’evoluzionismo alla luce delle nuove scoperte di Charles Darwin. Ben presto si trasformò in “darwinismo sociale”: sulla base di presunte argomentazioni biologiche, l’evoluzione dell’umanità era ora intesa come una lotta per la sopravvivenza in cui avrebbe prevalso il più forte (“la sopravvivenza del più adatto”). Il darwinismo sociale giustificava quindi le disuguaglianze, rifiutando qualsiasi idea di politica redistributiva come intervento statale che avrebbe interrotto quello che era considerato un processo evolutivo “naturale”, basato sulla competizione per le risorse e sulla sopravvivenza del più adatto.

Il nuovo liberalismo fin-de-siécle, quindi, abbandonò la premessa dei diritti umani naturali per abbracciare il nuovo darwinismo. In opposizione all’idea marxista di lotta di classe, pensatori reazionari come Arthur de Gobineau (1816-1882) professarono una lotta di popoli e di razze, e così i liberali reazionari che adottarono la sua linea di ragionamento furono avvicinati al nazionalismo e all’imperialismo. L’“utopia liberale” di società commerciali pacifiche, sempre più interconnesse e in continuo progresso (molti liberali nella prima metà del secolo sostenevano persino progetti di unificazione europea) si trasformò infine nella distopia dello sfruttamento coloniale, degli scontri nazionalistici e della militarizzazione. Se il liberalismo è stato una forza rivoluzionaria di fronte all’assolutismo monarchico, in seguito è diventato una corrente reazionaria contro la spinta della democrazia e dei movimenti operai.

CONCLUSIONI

In the aftermath of the French Revolution, Europe saw a proliferation of ideologies that shaped the political and intellectual life on the continent. Their common denominator was a new idea of society as something that could and should be planned and shaped along rational principles. The political, social and economic upheavals over the course of the century sparked ideological reactions and counter-reactions that added to this abundance. At the dawn of the twentieth century, the intellectual landscape of Europe was thoroughly ‘ideologised’, preparing the ground for the violent political and ideological clashes that would characterise the coming decades. ++++ All’indomani della Rivoluzione francese, in Europa si assistette a una proliferazione di ideologie che modellarono la vita politica e intellettuale del continente. Il loro comune denominatore era una nuova idea di società come qualcosa che poteva e doveva essere pianificata e modellata secondo principi razionali. Gli sconvolgimenti politici, sociali ed economici che si sono verificati nel corso del secolo hanno scatenato reazioni e controreazioni ideologiche che si sono aggiunte a questa ricca speculazione. All’alba del XX secolo, il panorama intellettuale europeo era profondamente “ideologizzato”, preparando il terreno per i violenti scontri politici e ideologici che avrebbero caratterizzato i decenni successivi.

Questioni per discutere

  1. Qual era la principale critica di Marx ed Engels alle ideologie? Sei d’accordo con loro?
  2. In che modo la politica odierna è ancora plasmata dalle ideologie del diciannovesimo secolo?
  3. “L’Unione Europea è un progetto liberale.” Sei d’accordo con questa affermazione? Perché o perché no?

Letture suggerite:

Burrow, John W., The Crisis of Reason: European Thought, 1848-1914 (Connecticut: Yale University Press, 2002).

Fawcett, Edmund, Liberalism: The Life of an Idea, Second Edition (Princeton: Princeton University Press, 2018).

Head, Brian W., Politics and Philosophy in the Thought of Destutt de Tracy (Oxford: Routledge, 1987).

Jaume, Lucien, Tocqueville: The Aristocratic Sources of Liberty (Princeton: Princeton University Press, 2013).

Morina, Christina, Die Erfindung des Marxismus: Wie ein Idee die Welt eroberte (Miinchen: Siedler Verlag, 2017).

Singh Mehta, Uday, Liberalism and Empire: A Study in Nineteenth-Century British Liberal Thought (Chicago: University of Chicago Press, 1999).

Sperber, Jonathan, Karl Marx: A Nineteenth-Century Life (New York: Liveright, 2013).

FONTI

Jan Hansen, Jochen Hung, Jaroslav Ira, Judit Klement, Sylvain Lesage, Juan Luis Simal and Andrew Tompkins (eds), The European Experience: A Multi-Perspective History of Modern Europe. Cambridge, UK: Open Book Publishers, 2023, https://doi.org/10.11647/OBP.0323

volume_3/imperialismo/le_ideologie.txt · Ultima modifica: 2024/10/10 10:16 da luca